Milano.X

Milano: è rivolta in seguito all'omicidio di un ragazzo nord africano

Di Teo Todeschini (corsari-milano)

14 / 2 / 2010

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Arriviamo sul posto poco dopo lo scoppio della ribellione per l'omicidio a coltellate di un diciannovenne egiziano, Hamed Mamoud El Fayed Adou, a opera di un gruppo di sudamericani incontrati sull'autobus. Lo scenario che ci troviamo davanti è davvero sconvolgente. Macchine rovesciate, cartelli stradali divelti, vetrine in frantumi e gruppi di 30 persone che girano con pali in mano, sassi e bastoni, come se aspettassero il momento migliore per ricominciare la rivolta. Poco dopo ci rendiamo conto che è solo l'inizio. Inizialmente se la prendono con i negozi dei sudamericani in particolare, ma dopo poco la rabbia dilaga, e se la prendono con tutto e tutti. Decidiamo di stare li, è il nostro quartiere, alcuni di noi ci sono cresciuti e vogliamo vedere cosa succede. Il cellulare squilla continuamente, ''Attenzione che sui giornali dicono che se la prendono anche con italiani'', ci guardiamo intorno ma devo dire che nessuno ci sta guardando male, anzi... Ci sentiamo tranquilli, non abbiamo neanche per un momento il timore di essere allontanati o aggrediti. Continuiamo a girare per le vie intorno al casoretto, a via leoncavallo, via padova, la polizia non capisce bene cosa fare, si spostano continuamente da un posto all'altro senza riuscire a controllare la situazione. I gruppi si muovono a bande di 30, sono dei fulmini, colpiscono e si dileguano, conoscono il territorio meglio della polizia, parlano la loro lingua, nessuno li capisce. Una cosa ci colpisce: la rapidità dei movimenti. Per circa un ora sono completamente incontrollati dalla polizia, che fatica a trovarli. Abbiamo solo un momento di difficoltà con loro, nei pressi del consolatoegiziano, uno di loro ci scambia per la polizia scientifica, vedendo la macchina fotografica. Ma bastano due parole e non ci sono piu problemi. Ecco che si muovono, sirene spiegate con già caschi in testa, ma quando arrivano non c'è piu nessuno, si vede solo in lontananza qualcuno che si dilegua, la polizia cammina in mezzo a macchine rovesciate e fioriere spaccate. I gruppi dopo essersi frammentati si ricompattano poco più distanti e ricominciano a rovesciare macchine, sradicare cartelli stradali e raccogliere pietre. Ad un certo punto si ha la netta sensazione che la rabbia contro i sudamericani si sia trasformata in rabbia contro simboli istituzionali e contro la polizia. Noi non sentiamo quello che molti  giornali hanno scritto e ripreso piu volte: ''morte agli italiani'', è vero le bande sonotante e le strade dove si riversano anche, quindi non possiamo aver visto tutto.Inizia un assalto contro il consolato egiziano, la polizia è nel panico totale e non riesce a intervenire. Qui ci rendiamo conto che in realtà quello che sta succedendo è un qualcosa di annunciato da anni. Sono decine e decine i ragazzi che si uniscono alle bande che girano con sassi e bastoni, si distrugge e si rovescia tutto quello che si trova in giro a portata di tiro. Non so ma ho come l'impressione che molti che si stanno unendo al riot non sappiano nenache bene il perchè. Notiamo che hanno un bisogno di protagonismo particolare, tesimoniato anche dalleinnumerevoli interviste rilasciate a volto scoperto.Dopo un po' tutti si dirigono in fondo a via Padova dopo il ponte della ferrovia, dove è stato ammazzato il ragazzo. Chiediamo il perché e ci rispondono, molto pacatamente: ''E' l'ora della preghiera, dobbiamo vegliare sul nostro fratello''. Vediamo le camionette della polizia che arrivano di corsa, i celerini che scendono e corrono in mezzo alle macchine, ma quando arrivano nei pressi della preghiera si fermano e si mantengono a timoros a distanza. A quel punto ci spostiamo verso il casoretto, vediamo una macchina rovesciata davanti all'Aler, e un ristorante distrutto. Ci fermiamo e conosciamo dei ragazzi sud americani che lavorano al ristorante, uno si chiamaMichele, ci racconta i fatti, quando sono arrivati lui stava cucinando, orail locale è completamente distrutto, e Michele è li assieme adaltri amici e con molti residenti a commentare l'accaduto. Cerchiamo di intervistarlo, ha voglia di protagonismo: ''Italia agli italiani non hai negri'' rimaniamo allibiti: ''ma te sei di colore Michele!?'' ''volete dare l'Italia in mano a queste bestie?'', ad un certo punto siinnervosisce e mi dice: ''sei comunista? eh? sei comunista?'' ''io sono fascista''. L'aria s'è fatta davvero pesante ci spostiamo, iniziano a guardarci male tutti, Michele viene richiamato da dei signori, hanno tutti l'accento calabro. Ci spostiamo e raggiungiamo un altro punto dove si stanno rimuovendo lemacchinerovesciate, si sono formati un sacco di capannelli di residenti. Di lì a breve si innesca la classica dinamica vista altre volte: gruppi di cittadini italiani che ai margini della strada commentano l'accaduto, e ne sentiamo di ogni: ''italia agli italiani, animali, a casa, tornate a casa, siete delle bestie''. Sembra di essere a Rosarno e per un momento ci scorrono nella mente le orrende immagini dei rispettaibli cittadini di Rosarno che incitavano all'odio razziale. Ma invece siamo in via Leoncavallo, a 10 minuti di motorino da piazza Duomo. Siamo a Milano, la vetrina d'Italia che ospiterà Expo 2015.

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