Le ferite di Genova

Utente: settina
31 / 8 / 2011

“La notte che disonorò l'Italia agli occhi del mondo intero, in cui i diritti fondamentali dell'uomo furono sospesi”. Così hanno scritto i giudici italiani nella sentenza del processo Diaz, uno degli episodi oscuri avvenuti a Genova nell'estate 2001.

Come sempre accade, nel luglio di dieci anni fa parallelamente al vertice G8 di Genova vennero organizzate manifestazioni di protesta. Tutti in Europa avevamo negli occhi le immagini del movimento nato a Seattle poco prima e quello di Genova sembrava un appuntamento a cui non si poteva mancare, l'occasione per affermare di non essere una generazione senza ideali.

La tensione nei giorni precedenti era palpabile: un pacco bomba esploso in una caserma dei carabinieri, uno nella sede di un notiziario di destra, la città occupata da 11mila uomini delle forze dell'ordine e, secondo la BBC, l'acquisto da parte del governo italiano di 200 body bag, i sacchi in plastica in cui si mettono i corpi dei militari morti in guerra.

Venerdì 20 luglio a Genova vi fu una vera e propria battaglia. Un corteo autorizzato di 15mila tute bianche, pronte a rispondere solo se attaccate, venne improvvisamente caricato dai carabinieri. Guardando le immagini si stenta a credere che siano girate in Italia: poliziotti che picchiano manifestanti sanguinanti e sdraiati in terra, medici con la pettorina della croce rossa presi a manganellate, mezzi della polizia lanciati a tutta velocità contro la folla, lanci di sassi ed oggetti da parte dei manifestanti in una reazione che, secondo i giudici, trovò “giustificazione” di fronte ad “un'aggressione ingiusta da parte dei carabinieri”. In quelle ore morì il ventitreenne Carlo Giuliani, ucciso da un colpo di pistola sparato da un carabiniere coetaneo, che poi con il suo defender passò due volte sul corpo del ragazzo. “Uno a zero per noi. Speriamo che muoiano tutti”, commentò via radio una poliziotta ad un collega.

Poco prima, un gruppo di forze dell'ordine era entrato in Piazza Manin, dove erano radunati i pacifisti della rete Lilliput: vennero picchiati, insultati, alcuni fermati. La dottoressa Marina Pellis Spaccini, che ottenne un risarcimento pecuniario da parte dello Stato per le percosse subite in quella piazza, nota: “da questa esperienza sono stata segnata tremendamente, e se lo sono io che sono adulta, con tutta una vita alle spalle, immagino quanto una cosa del genere possa essere distruttiva su dei ragazzi, che forse per la prima volta riuscivano ad esprimere festosamente i propri ideali”. E ha ragione: a me la rabbia riempie gli occhi di lacrime quando rivedo le immagini di quei giorni, e ci sono uomini di trentanni che ancora piangono mentre raccontano la loro esperienza alla caserma di Bolzaneto o alla scuola Diaz. Per anni molti ragazzi che erano stati a Genova si sono svegliati urlando di notte, pensando di essere ancora in quell'inferno.

Malgrado tutto, all'appuntamento del giorno seguente eravamo 300mila, alcuni molto giovani come ero io allora, altri più anziani. Dai cattolici ai ragazzi dei centri sociali, tutti dietro a striscioni che dicevano “voi G8, noi 6.000.000.000”. Il sole batteva forte e si marciava, si cantava, si raccoglievano gli applausi della gente affacciata alle finestre. Poche ore dopo, quelle stesse persone furono testimoni dalle loro case di un altro giorno di follia: ancora ragazzi, medici e giornalisti picchiati selvaggiamente, anziani con le teste sanguinanti. “Non c'era una distinzione tra coloro che hanno operato la violenza e gli esponenti del Global Forum”, dichiarò Berlusconi, che era premier già all'epoca, manifestando la solidarietà del suo Governo alle forze dell'ordine.

In quei giorni a Genova vennero sparati 20 colpi di pistola e 6200 lacrimogeni, quasi mille i manifestanti feriti, uno ucciso e 250 gli arrestati. Alcuni di questi, scelti a caso tra quelli che erano stati picchiati, vennero portati alla caserma di Bolzaneto.

“Mi sembrava di essere in un incubo”, ha dichiarato una studentessa e fotografa di Indymedia, fermata nel bagno di un bar, picchiata, insultata (“puttana comunista, vi uccideremo tutti”) e trasportata a Bolzaneto. “1,2,3 viva Pinochet” cantavano le forze dell'ordine mentre sottoponevano i manifestanti a torture fisiche e psicologiche. I ragazzi che si ritrovarono a Bolzaneto vennero percossi, minacciati di essere uccisi e violentati, costretti a marciare in fila facendo il saluto fascista.

Richard Moth, un ragazzo di Londra, ricorda di essere stato privato di cibo e sonno per più di trenta ora, senza neanche sapere di cosa fosse accusato. “La gente andava in giro con gravi ferite alla testa, che dovevano essere curate in ospedale. C'era un clima di terrore, eravamo in balia di un potere arbitrario”. Una sensazione simile è descritta dal giornalista italiano Lorenzo Guadagnucci: “Nessuno poteva venirti a salvare: la polizia era già lì, erano saltati tutti i punti di riferimento. Il momento in cui ho ricominciato a tornare alla normalità è stato quando è arrivato il magistrato; è paradossale perchè il magistrato veniva per accusarmi, ma io mi sono sentito sollevato perchè in quel momento significava tornare nell'ambito di una legge, di un ordine”.

Guadagnucci si trovava insieme ad un centinaio di persone nella scuola Diaz, messa a disposizione come dormitorio per i manifestanti, la notte del 21 luglio 2001, quando le forze dell'ordine fecero irruzione e picchiarono brutalmente tutti i presenti. L'irruzione, definita poi dai giudici “al di fuori di ogni regola e principio di umanità”, venne documentata in diretta dal palazzo di fronte, sede del Genoa Media Center e del Genoa Legal Team, prima che le forze dell'ordine entrassero anche nei loro locali per spaccare tutto.

Durante il processo il vicecomandante di Polizia Michelangelo Fournier testimoniò: “Fu una scena da macelleria messicana. C'erano quattro o cinque poliziotti che infierivano sui feriti”. Lena Zühlke, una ragazza tedesca che si trovava nella Diaz, racconta: “Sono caduta dopo il primo o secondo colpo, poi hanno iniziato a picchiarmi e a prendermi a calci. Quando sono caduta avevo intorno almeno dieci o quindici poliziotti, mi prendevano a calci sulla schiena, nello stomaco e nelle gambe. Mi piacchiavano sul fianco destro e sentivo le costole spezzarsi. Mi colpivano alla testa e sentivo il sangue caldo colarmi sul viso. Poi mi trascinarono giù dalle scale tenendomi per la testa, e mi picchiarono di nuovo”.

Furono 87 le persone ferite alla Diaz, tra loro il giornalista inglese Mark Covell, che passò quattro giorni in coma con otto costole rotte, una mano fratturata e un polmone perforato. I ragazzi che si erano addormentati nella scuola Diaz, in quella notte da molti definita “cilena”, uscirono quasi tutti in barella.

Il pretesto con cui le forze dell'ordine giustificarono l'operativo fu che la scuola era un covo di black block, come se questo giustificasse una violenza tanto brutale su delle persone addormentate. Ad ogni modo, i 97 ragazzi della Diaz che vennero accusati di devastazione e saccheggio sono stati tutti scagionati, e le prove esibite dalla polizia si rivelarono fabbricate dalla polizia stessa.

Perchè? Ci chiediamo ancora. Chi ordinò l'irruzione alla scuola Diaz e le torture nella caserma di Bolzaneto? Chi comandava in quei giorni?

In questi dieci anni la giustizia ha messo in moto i suoi lenti ingranaggi per trovare e punire i colpevoli. “Non credo che il Governo processi se stesso” ha dichiarato alla televisione italiana Arnaldo Castaro, 62enne picchiato alla Diaz. Infatti, tentativi di pilotare i processi in modo da non coinvolgere i massimi vertici della polizia sono stati numerosi, e i giudici aprirono un'inchiesta al riguardo. Due alti funzionari (tra cui l'ex capo della polizia Gianni De Gennaro) sono stati condannati a più di un anno di carcere per istigazione alla falsa testimonianza ma, malgrado questo, sono stati entrambi promossi: De Gennaro è oggi capo dei servizi segreti italiani.

Mario Placanica, il carabiniere accusato di aver ucciso Carlo Giuliani, è stato prosciolto per “legittima difesa”. Secondo i giudici, Placanica ha sparato in aria, il proiettile ha colpito un sasso lanciato da un dimostrante ed è poi rimbalzato contro il volto di Giuliani, uccidendolo.

Tutti i 44 imputati per le torture alla caserma di Bolzaneto sono stati considerati responsabili civilmente ed obbligati a risarcire le vittime. Sul piano penale, però, per 37 di loro è scattata la prescrizione ancor prima di arrivare all'ultimo grado di giudizio. Destino simile hanno avuto gli imputati per i fatti della Diaz: 25 sono stati condannati in secondo grado, ma per tutti il reato potrebbe cadere in prescrizione prima di giungere alla condanna definitiva. Dieci dirigenti che hanno ottenuto gravi condanne per i fatti avvenuti in quei giorni sono stati promossi.

Lo scorso 23 luglio 50mila persone hanno marciato a Genova, per chiedere verità e giustizia, e perchè tutti ricordino quello che è successo dieci anni fa. Noi che c'eravamo non lo dimenticheremo mai.

Emma Volonté (http://www.towardfreedom.com/activism/2520-police-brutality-in-italy-remembering-genoa-a-decade-later)