Una domenica pomeriggio a Patrasso (o come la società greca resiste al razzismo)

di Telòni Dòra-Dimitra Ricercatrice associata dell’Istituto Universitario Tecnico di Patrasso (TEI Pàtras)

Utente: giansandro
21 / 8 / 2012

manifestazione contro le aggressioni naziste

 Intorno alle 7 di sera fa molto caldo, mi fermo al mini market del mio quartiere, a Zavlàni, e mi metto a parlare con la proprietaria quando all’improvviso si sentono delle voci “avranno accoltellato qualche migrante...”, commenta lei turbata...

Fortunatamente non è così...però... un migrante del Bangladesh si trova steso su una sedia e tiene le mani sugli occhi, soffre, intorno a lui ci sono i suoi connazionali impauriti e preoccupati. Poco fa due uomini in macchina si sono fermati al semaforo vicino alla zona Kurtèssi, se ho capito bene, e gli hanno spruzzato sugli occhi qualche sostanza chimica irritante. Lo hanno portato di fronte al mini market i suoi amici, che abitano in questa zona, e sono venuti a chiedere aiuto. Il ragazzo soffre e il quartiere si mobilita subito, vedo delle donne e degli uomini che arrivano, li sento dire: “Chiamiamo un’ambulanza, chi è stato?”

Saranno quelli là, i fascisti”. Quando affermo che a Patrasso siamo ormai pieni di fascisti, un uomo mi risponde a voce bassa: “Che c’è da dire figlia mia, ormai abbiamo paura che anche il nostro vicino di casa sia uno di loro”.

Una signora si avvicina e dice: “Ma che hanno combinato a questi ragazzi? Non si vergognano proprio questi vermi, picchiano dei poveri ragazzi... come se non bastasse la loro povertà, adesso hanno pure quelli che li picchiano”. Penso che in questo quartiere la gente sa cosa vuol dire povertà e non sfoga la sua rabbia sullo “straniero”. Al contrario di tutti i tentativi dei media di indirizzare la rabbia colletttiva per la nostra povertà contro i migranti, qui sembra che ci siano ancora dei riflessi di solidarietà anzichè di odio.

Chiamo l’ambulanza, passano venti minuti e il ragazzo si sente peggio. Vomita e quasi sviene. L’ambulanza non arriva, richiamo “Non ne abbiamo una libera in questo momento, mi dispiace”, mi dicono al telefono. Lo capisco, sappiamo tutti che ormai hanno distrutto gli ospedali.

Lo porto in macchina all’ospedale militare che è di turno quel giorno. Là, mi trovo di fronte a due nuove sorprese... un pomeriggio pieno di sorprese! La prima è spiacevole: c’è anche un altro caso, un tunisino diciassettenne, più o meno la stessa storia. Qualcuno fingendosi poliziotto ha chiesto al ragazzo di avvicinarsi e gli ha spruzzato quella sostanza irritante sugli occhi. Gli attachi, quindi, sono sistematici...

La seconda dà speranza: mi ricorda che la solidarietà e l’umanità non si mostrano in Tv, non fanno propaganda, di solito sono discrete e forse invisibili, ma esistono e sono forti e stabili. I medici e il personale dell’ospedale sono tutti gentili e preoccupati.

Sento i medici dire: “Ancora un altro? Ma che succede, sono usciti e picchiano la gente?”. Un’infermiera si avvicina e mi dice: “Abbiamo proprio dimenticato che i nostri nonni erano dei migranti. Che vergogna...” Un altro impiegato afferma: “Ci hanno fatto diventare dei razzisti, a noi greci che non lo eravamo. Lo hanno fatto proprio loro, i politici, perchè è molto più comodo vedere il male nello straniero che non in noi stessi che li votiamo da tanti anni. Come ci hanno ridotto così? Non riesco proprio ad arrivare a fine mese con i soldi che prendo e mi chiedono anche di pagare le tasse...”. In due frasi ha riassunto tutto... Avrei bisogno di almeno 15minuti per descriverlo.

Alla fine, con l’aiuto dei medici, il migrante sta meglio, servono però dei farmaci che i dottori non possono procurargli in nessun modo. Cidispiace, manonliabbiamoproprio..”. Li capisco: tu vuoi svolgere il tuo mestiere di medico, perchè il povero greco o lo straniero hanno diritto all’assistenza sanitaria, ma non hai i mezzi per farlo.

Il farmacista da cui mi reco per comprare i farmaci (non so se vuole che venga pubblicato il suo nome), appena gli racconto la storia, rifiuta di prendere soldi. “Ognuno di noi fa quello che può per aiutare. Lo so, sono usciti in giro i 'bravi ragazzi' e danno la caccia ai migranti. Quello che ognuno di noi può fare, lo fa”. Le sue parole mi fanno venire in mente periodi bui...Torno indietro. “Che vergogna!”, dice la proprietaria del mini market. “Anche loro sono poveri”.

La povertà non ha colore. Ma gli attachi contro quelli il cui colore della pelle è diverso dal nostro aumentano. Ci sono dei motivi politici per questi fenomeni e le spiegazioni a livello sociologico non riguardano la ragione di questo testo, che è quella di raccontare l’altra faccia della società greca. Che almeno oggi era un pò diversa. Ho vissuto una rete spontanea di umanità e di solidarietà partendo dal mio quartiere, un quartiere popolare, poi all’ospedale e poi nel centro della città. C’è anche questa Grecia che ha la memoria dell’emigrazione e quella della solidarietà nei periodi di povertà. Vedo questa Grecia che ha paura di parlare apertamente, di denunciare, ma capisce, vede e parla con gli atti di solidarietà, lasciando a quelli irrazionali gli assalti contro le parti più deboli di una società che soffre...

Un pomeriggio dolce e amaro...

Per la cronaca: il migrante vive da 10 anni in Grecia e manda i soldi a casa per sostenere la sua famiglia (come facevano anche i nostri parenti..). Oltre che nei campi della zona, lavora anche ai semafori. Però ha paura di denunciare l’incidente..

19 Agosto 2012