#29N Benevento - Giù le mani dai nostri territori!

29 / 11 / 2015

L’alluvione che il mese scorso ha sconvolto la città di Benevento e successivamente altri territori in Calabria e Sicilia, ci mostra in tutta la sua drammaticità come i cambiamenti climatici e le loro conseguenze sulla vita sono una realtà con cui dobbiamo fare i conti.

Alluvioni, inondazioni, frane sono infatti fenomeni divenuti sempre più frequenti in territori che invece si presentano totalmente impreparati ad accoglierli e mal gestiti dalle amministrazioni scellerate che permettono la costruzione di edifici e strutture non assolutamente consone.

Se chi amministra ha tutto l’interesse a derubricare tali fenomeni nelle fila delle fatalità, con tutto il portato di imprevedibilità che ne consegue, è innanzitutto nostro dovere far emergere la verità evidenziando in primo luogo il nesso che sussiste tra la diffusione di tali fenomeni e l’intervento dell’uomo sulla natura non mirato ad un miglioramento delle proprie condizioni di vita bensì allo sfruttamento e al depauperimento della stessa a fini speculativi e tendenzialmente legati all’accumulazione di profitto.

Per migliaia di anni le civiltà hanno saputo convivere con l’ambiente circostante perchè anche un intervento su di esso era finalizzato a rispondere ad un' esigenza o al soddisfacimento del bisogno di vita dell’uomo stesso mantenendo più o meno costanti e stabili le condizioni climatiche. Con l’affermazione di un modo di produzione che esalta altresì la corsa al profitto senza alcun rispetto per l' ambiente circostante, assistiamo ad una trasformazione tendenziale e repentina delle condizioni climatiche con un’intensità senza precedenti nella storia dell’uomo.

Gli ultimi fenomeni che hanno interessato in quest’autunno molte popolazioni del sud Italia non possono quindi essere viste come fenomeni isolati, ma sono il frutto dei cambiamenti climatici determinati dal riscaldamento della superficie terrestre e dallo scioglimento progressivo della calotta glaciale di cui il sistema capitalistico è l’unico responsabile.

L’assalto del capitale all’ambiente, ai beni comuni ai territori inteso come estensione dell’imperativo di produzione e dell'accumulazione di profitto agli spazi vitali e ad ogni aspetto della vita umana,ci mostra con tutte le conseguenze e devastazioni tragiche come tale modo di produzione sia totalmente incompatibile anzi un evidente limite alla sopravvivenza del genere umano.

Se nella fase della sua affermazione il sistema capitalistico è stato fattore e motore di progresso e di avanzamenti epocali, facilitando la vita dell’uomo nel nostro pianeta è oggi invece evidente come il mantenimento di determinati rapporti di produzione estesi a tutti gli aspetti vitali non solo rappresenti un limite alla naturale propensione cooperante dell’uomo e al dispiegarsi di libere relazioni, ma soprattutto un attentato alla vita stessa e al proseguimento del genere umano.

La sussunzione reale della vita al capitale ha con sé un potenziale autodistruttivo del genere umano stesso che soltanto un' inversione di rotta e quindi una messa in discussione radicale dello stato di cose possono fermare.

E' necessario dunque comprendere e riconoscere le cause della devastazione ambientale di cui sono oggetto i nostri territori e le nostre comunità;

l’alluvione del mese scorso non è un fenomeno imprevedibile. Le violente precipitazioni atmosferiche che hanno determinato disastri in gran parte del meridione dipendono dai cambiamenti climatici avvenuti repentinamente negli ultimi decenni mentre gli effetti distruttivi che esse hanno avuto su territori sempre più antropizzati e mal preparati a ricevere e gestire tali fenomeni, trovano nelle politiche neo-liberiste di austerity la causa principale.

L’assalto ai beni comuni, attraverso politiche di privatizzazione e sfruttamento a fini speculativi dei territori ci indicano le priorità del capitalismo odierno che adatta la logica perversa della massimizzazione dei profitti e della riduzione dei costi anche al campo della natura e dei beni necessari al mantenimento della vita stessa. Le politiche di prevenzione ambientale, di tutela e manutenzione degli alvei fluviali e delle comunità montane comportano soltanto “inutili” costi per le amministrazioni locali deprivate di qualsiasi ruolo di progettazione e intervento sui territori al fine di rispondere ai bisogni e alle esigenze dei cittadini, declassate come sono ad un ruolo di meri esecutori di diktat economici imposti da altri ambiti decisionali.

Il pareggio dei conti e dei bilanci impone ai comuni e agli enti di praticare tagli alla spesa sociale e ambientale, portando allo stesso tempo tutte le imposte alle massime aliquote favorendo altresì la dismissione dei patrimoni pubblici comunali che vengono esposti a manovre speculative. Fette sempre più grandi di territorio vengono svendute per la realizzazione di grandi opere o attività produttive che nel nome di un fantomatico sviluppo prendono dalle nostre comunità senza mai restituire nulla in termini di ricaduta sociale.

L’alluvione che ha colpito il Sannio evidenzia responsabilità politiche decennali di amministrazioni locali di qualsiasi colore politico che non hanno mai fatto nulla in termini di progettazione territoriale e ambientale al fine di prevenire al meglio tali fenomeni.

Non scopriamo oggi che la città di Benevento sia a rischio alluvioni non a caso proprio tre anni fa, il geologo Salvatore Soreca, con uno studio ufficiale metteva in guardia: “sui possibili rischi determinati da una piena del fiume Tammaro a seguito di “bombe d’acqua”, che a causa delle variazioni climatiche non sono più eventi eccezionali”. Proprio quel fiume, protagonista dell’alluvione del 15 Ottobre, con i suoi torrenti pieni di sabbia, pietre, alberi e rifiuti rappresentava un pericolo incombente sulla città poiché la mancata manutenzione dei corsi d’acqua e le autorizzazioni a costruire case ed industrie lungo gli argini potevano determinare danni notevoli alle strutture e alle persone.

Peccato che in questi tre anni non solo non sono stati presi in considerazione gli avvertimenti di studi ufficiali fatti da esperti del settore, senza adottare alcune misure di salvaguardia e manutenzione dei letti fluviali ma nello stesso tempo sono state conferite ulteriori autorizzazioni all’ampliamento di attività industriali e produttive nell’area Asi del comune di Benevento, che sorge proprio accanto al letto del Fiume Tammaro. Gran parte delle attività produttive colpite dall’alluvione, come ad esempio l’area del centro commerciale I Sanniti, sorgono in corridoi ecologici, in aree destinate originariamente al Parco Fluviale, in zone alluvionali inedificabili per decreti ambientali, tutte opere realizzate appunto nella migliore delle ipotesi in deroga ai piani urbanistici o peggio ancora senza tener conto alcuno dei vincoli posti dagli stessi.

Un disastro annunciato dunque che ancora una volta ha chiare responsabilità politiche.

Responsabilità che purtroppo si tendono a mascherare accendendo i riflettori sulla macchina della solidarietà che la città di Benevento in maniera del tutto autorganizzata, (con l’intervento della Protezione civile e dell’Esercito sopraggiunto soltanto dieci giorni dopo ai tragici eventi) ha saputo mettere in piedi. Una solidarietà e capacità di reazione alla catastrofe nata inizialmente dal basso che allo stesso tempo poneva interrogativi e domande sulle responsabilità e per questo motivo troppo rischiosa per chi gestisce i processi di governance. Per questo motivo il volontariato nato in maniera spontanea all’indomani dell’alluvione è stato “regolamentato” e monopolizzato dalla Caritas diocesana, che ha relegato e mortificato tale protagonismo sociale declinandolo in una chiave assistenziale e caritatevole, come cristiano sforzo agli sfortunati colpiti dal naturale disastro. 

La catastrofe deve essere una imprevedibile fatalità alla quale reagire con spirito cristiano e caritatevole senza porsi troppe domande e interrogativi sui perché e sulle decisioni politiche di questi anni. Non è per niente casuale dunque l’esaltazione da parte degli amministratori di questa macchina della solidarietà gestita dalla Caritas, a colpi di raccolta fondi e contributi volontari mai giustificati e resi pubblici e trasparenti ma effettuata con lo scopo preciso di non accendere i riflettori sulle responsabilità politiche enormi e sulle cause che hanno generato i disastri del 15 Ottobre.

Disastri che oggi vengono strumentalizzati dagli stessi responsabili, perchè paventati come occasione e ulteriore opportunità di “sviluppo” per il nostro territorio, lo stesso tipo di sviluppo che in questi decenni ha favorito gli interessi di pochi speculatori mortificando e umiliando le esigenze e le vocazioni della nostra comunità.

La catastrofe ancora una volta diviene occasione per attirare finanziamenti esterni da utilizzare per ulteriori manovre di speculazione ed estrazione di profitto, finanziamenti per ricostruire ancora una volta in barba a vincoli ambientali o urbanistici. infine la catastrofe diviene opportunità per farci piombare nell’ennesima “emergenza”, parola che le popolazioni della Campania conoscono bene perché sinonimo di centralizzazione dei processi decisionali, riduzione e chiusura degli spazi di democrazia, mortificazione dei protagonismi e delle autonomie territoriali.

Non è un caso infatti che ancora una volta è la figura del Commissario ad essere riproposta come modello di gestione dell’emergenza sia rispetto alle scelte da compiere sia rispetto alla gestione dei finanziamenti utili alla ricostruzione; una scelta paventata in nome della lotta agli sprechi e alle politiche clientelari, come se una sola persona, che gestisce i finanziamenti, non sia parimenti corruttibile come l'intera classe politica locale. Una decisione dunque presa nel nome della “legalità” e non a caso invocata a gran voce anche da una parte dell' universo pantastellato, che non riesce ancora a discernere cosa si cela dietro a queste scelte. 

La figura del Commissario, che accentra gran parte dei poteri decisionali in merito alla “emergenza alluvione”, in realtà non è che lo smacco finale ad una comunità deprivata ancora una volta della possibilità di scegliere il proprio futuro o di come ridisegnare il proprio territorio in base alle proprie esigenze. L’alluvione così si ripresenta non solo in veste di catastrofe troppo poco naturale per le ragioni esplicate sino ad ora, ma anche in veste di emergenza permanente, come paradigma autoritario che chiude gli spazi di democrazia e con il quale vogliono imporci di imparare a convivere.

Per questo motivo è necessario rifiutare tale paradigma e costruire e ampliare gli ambiti di partecipazione che invece raccontino la narrazione di chi immagina e ridisegna il proprio territorio sui bisogni di chi lo vive.

Un osservatorio permanente sull’alluvione, sulle cause che lo hanno generato e ampliato gli effetti distruttivi, sulle responsabilità e sulla ricostruzione dunque può essere la giusta risposta a chi vuole imporre le proprie scelte in maniera autoritaria ed antidemocratica.

La giornata internazionale di mobilitazione sui cambiamenti climatici quindi rappresenta l’occasione e vuole essere lo spunto per lanciare una riflessione collettiva ed un' esortazione a costruire un vero spazio democratico di discussione e azione che possa restituire dignità alle popolazioni colpite dall’alluvione, quella dignità, quell’indignazione e quella rabbia che il giorno 15 Ottobre è scesa nella strade a spalare e ad aiutare i cittadini e i commercianti in difficoltà, e che non può essere derubricata o declassata a mero assistenzialismo cristiano.