Abbiamo sbagliato, discutiamone

21 / 10 / 2011

Un'occasione unica. Il 15 ottobre sarà ricordato come la data in cui per la prima volta in tutto il mondo l'egemonia culturale della governance globale è stata incrinata. Le politiche messe in campo per risolvere la crisi sono ritenute inadeguate in ambienti molto più ampi del perimetro sul quale siamo abituati a ragionare. Si è consumato il divorzio tra modello di sviluppo capitalista e democrazia liberale, rendendo ancor più evidente l'incapacità culturale del modello dominante di riassorbire la crisi come in passato. Per continuare a creare plus valore il sistema capitalista è costretto a liquidare quei diritti che sono parte anche del patrimonio di valori di una democrazia liberale. In questo campo non c'è una proposta credibile che possa consentire il salvataggio della democrazia. Si apre uno spazio immenso. L'enorme simpatia che l'opinione pubblica affida ai movimenti indignati contro l'austerità imposta per salvare le banche ed il sistema finanziario responsabile della crisi del 2007 misura il consenso sulla necessità di cambiare sistema. Questo è un fatto di una rilevanza storica sul quale dobbiamo ragionare e segnala una potenzialità enorme dei movimenti che oggi rappresentano un'insorgenza democratica decisa a modificare il paradigma di civilizzazione, a partire dai modelli di partecipazione e produzione.
Nel nostro paese il coinvolgimento dei movimenti e dei cittadini è stato il più ampio. Altra buona notizia che segnala la vitalità della nostra società sempre più in movimento e sempre più incalzante sui temi della partecipazione e della democrazia. La cattiva notizia è che quel corteo è stato impedito da chi ha utilizzato pratiche che non possono trovare cittadinanza tra chi vuole costruire un movimento di massa, partecipato e plurale che fa della democrazia e della partecipazione il suo tema costituente. Su questo dobbiamo essere chiari ed allo stesso tempo evitare semplificazione o ambiguità. Chi utilizza come scudo il corteo per sfasciare vetrine e incendiare macchine è ingiustificabile da qualsiasi punto di vista. Interessante l'analisi su questo dell'economista Brancaccio: «I demolitori hanno colpito veloci come gli speculatori finanziari». Come gli speculatori finanziari i demolitori non creano ricchezza ma finiscono sempre per depredare il popolo. Chi fa dell'azione un rito apologetico senza una piattaforma politica esprime solo inconsistenza. La rivolta così concepita oltre ad essere inefficace ed innocua finisce per favorire le parti autoritarie del sistema dominante e crea l'alibi per dispositivi repressivi, come stiamo vedendo. Altra cosa rispetto all'analisi politica è la lettura sociale. La mescolanza di apatia, nichilismo e rabbia vista in piazza sono prodotti di questi tempi. Non ci si deve sottrarre alla questione ma non certo può essere il centro del dibattito del movimento. Ai ragazzi che sfogano la loro rabbia in forme sbagliate bisogna che a dare risposte sia un'intera società e non una parzialità.
Dal canto nostro possiamo solo cercare di far capire a quei giovani che ci hanno privato del diritto a manifestare che esiste un modo positivo di fare politica e di costruire relazioni nella società. Per questo dobbiamo essere chiari e mai ambigui. Nel paese c'è un'enorme richiesta di cambiamento che la vittoria referendaria ha ben espresso. Nuovi valori e nuova istituzionalità sociale sono il terreno sui cui costruire pratiche e proposte. Apriamo su questo un dibattito. Abbiamo sbagliato a non averlo fatto prima, dobbiamo prenderne atto ed ammetterlo con umiltà. Il coordinamento 15 ottobre non avendo voluto fare sintesi politica ha compiuto l'errore di trasformarsi in un bus sul quale hanno viaggiato posizioni evidentemente discordanti ed incompatibili tra loro. Così come è stata sottovalutata la portata della manifestazione e la necessità di presentare una piattaforma politica all'altezza per contribuire a fare chiarezza, rendendo condivisi percorso e pratiche. Forse sono questi i limiti da superare e sui quali ragionare. Alcune analisi appaiono ancora fragili o troppo primitive. Come sui temi del debito e dei beni comuni, due questioni al centro delle nostre riflessioni, con proposte non ben supportate e spesso confuse. Questi elementi di debolezza vanno rimossi per arrivare a dialogare attraverso proposte e pratiche credibili con l'insieme della società nel suo complesso che mai come prima d'ora ci guarda con interesse. Magari sarà molto faticoso, come tutti i processi reali. Ma la chiarezza nelle proposte e nelle pratiche non potrà che produrre un cambiamento reale nelle forme e nella sostanza. Quello di cui tutti e tutte abbiamo bisogno. Le ragioni del 15 sono immutate.
* Portavoce A Sud