Double dip, una crisi di crisi

19 / 8 / 2011

 Gli analisti sostengono che gli andamenti di borsa anticipino temporalmente i cicli economici e che pertanto possiedano un potere predittivo. Quanto sta accadendo nei mercati, azionistici e della valuta, sta evocando ciò che il Fondo Monetario chiama spettro del double deep ovvero una ricaduta dopo il crollo del 2008.

La crisi è globale per estensione e per le ricadute che ha, impattando, anche se in misura diversa, ciò che fu Unione Europea, gli Stati d'America, ma anche Brasile, Cina, Russia.

Non solo, ma già ora la Borsa di Chicago sta prevedendo un'ondata di aumento irragionevole nei prezzi delle materie prime, che, a partire dal riso thailandese, potrà provocare una crisi alimentare devastante – e molti soldi per alcuni investitori, ca va san dire.

Se si volessero altre prove del “doppio crollo” si osservino gli acquisti di questi mesi delle valute rifugio (franco svizzero - ma anche il cinese renminbi), dell'oro (il cui prezzo per oncia è alle stelle), dei terreni agricoli; tutti questi sono i cosiddetti “beni rifugio” dei manuali di economica politica e tutti crescono senza soluzione di continuità testimoniando un eccesso di domanda.

Chi scrive non ambisce a trovare i razionali complessivi che interpretino questo ravvicinato doppio salto nel vuoto dell'economia globale, né questo sarebbe il momento per provare a farlo; proviamo però a condividere in forma aperta alcuni elementi di riflessione nel mezzo della crisi cominciando a descriverla come una crisi composta di molteplici crisi ed assumendola come un potenziale spartiacque epocale.

Si è dispiegata un'enorme crisi della sovranità così come essa era definita nelle costituzioni materiali successive all'89; ne scriveva lo stesso Guido Rossi sul Sole di domenica 14 agosto, lamentando la necessità di una nuova Bretton Woods da costruirsi attorno ad una Rule of Law che riporti all'obbedienza la “bestia capitalistica”. Ma lo si vede anche nella generale incapacità della “politica” di gestire la crisi: la “critica della casta” non va lasciata al dizionario del grillismo, ma può essere una prospettiva di critica politica della crisi della democrazia liberale.

La messa in mora del processo costituente dell'Unione Europea è un'altra cruciale risultante. Mi sembra che il percorso -peraltro sconnesso e giustamente contestato- che aveva portato alla Carta di Nizza, venga risolta dalla spinta franco -tedesca di questi giorni che limita gli interventi politici alla governance monetaria per la difesa dell'euro ed alla costituzionalizzazione nazionale dell'obbligo al pareggio di bilancio. Cosa rimane della politica europea? Solo il guscio vuoto, ed inefficace, di una moneta senza sostanza.

L'incapacità dell'Occidente di risolvere questa crisi ne ha messo a nudo la non autosufficienza: altro che “washington consensus”, senza il beneplacito -ovvero la liquidità- di Pechino, Obama non ha neppure i soldi per le truppe in Afganistan.

La crisi ambientale -in novembre vi sarà la conferenza di Durban- chiude alla possibilità di investimenti anticiclici sui settori tradizionali della ripresa come quello dell'auto, ma in generale di tutti i prodotti ed energie ad alto impatto ambientale. Anzi, proprio la concentrazione in questi settori dei sussidi anti-crisi è stato il peggior ostacolo alla riconversione del sistema economico mondiale verso processi produttivi e prodotti sostenibili.

Da ogni punto di vista la crisi in corso è non solo radicale, ma complessiva: di sistema appunto.

E da essa se ne esce solo con un ripensamento radicale del modello, che la ha generata.

La manovra in corso di approvazione in Parlamento fa esattamente l'opposto: aumenta il disequilibrio sociale ed ambientale, produce povertà, non colpisce seriamente la rendita, né mobiliare né immobiliare, interpreta in modo conservativo il debito, scaricandolo sul lavoro vivo come se esso sia una colpa originaria da imputargli, come se sia stato generato per indebita appropriazione.

E definisce lo statuto di povertà-inteso come assenza di diritti e di contrattazione collettiva- per tutti i TQs (http://www.generazionetq.org/chi-siamo/). Evidenziamo anche l'enorme ipoteca sulla composizione giovane, sapiente e precaria, per la quale l'Art.18 dello Statuto del Lavoro è stato solo un miraggio, visto che non si applica alle collaborazioni in partita iva; non valorizziamo solo la campagna in difesa delle sacrosante pensioni di anzianità, ma reclamiamo fin da ora una battaglia redistributiva della ricchezza socialmente prodotta anche per chi non ha mai neppure saputo cosa significhi malattia, maternità, previdenza ed assistenza.

L'autunno che ci aspetta chiama ad una mobilitazione generale e complessiva, che sia socialmente ricompositiva attorno ad un programma alternativo, radicalmente altro, di uscita dalla crisi.

Lasciamoci alle spalle la “falsa alternativa tra privato e statale” e percorriamo la sperimentazione della gestione trasparente dell'autogoverno e della condivisione dei beni comuni.

Di pari tempo, alla crisi della sovranità si può far corrispondere un percorso aperto di ricerca di nuova democrazia; Viale1 quando ci descrive l'ipotesi della conversione ecologica ricorda che essa si costruisce dal basso, sul territorio, “fabbrica per fabbrica, campo per campo, quartiere per quartiere, città per città. Chi ha detto che la programmazione debba essere appannaggio di un organismo statuale centralizzato e non il prodotto di mille iniziative dal basso?”.

I tumulti londinesi, gli eventi della primavera mediterranea, ma anche il romano 14 dicembre e la stagione spagnola degli indignados, sono stati i prolegomeni di una costituente di movimento in un nuovo spazio europeo.

Il percorso di mobilitazione verso lo sciopero generale appare come la prima possibilità di convergenza. Alla crisi di sistema in corso dobbiamo iniettare il codice ribelle che faccia crescere la speranza dell'alternativa comune. Di qua dal fiume è rimasta solo la barbarie.


1Vedasi l'utilissimo testo “La conversione ecologica”, NdA, 2011