Dove tutto è cominciato

31 / 5 / 2011

Una tramvata bestiale, una di quelle che dopo chi l’ha presa barcolla e ride stupidamente senza neppure rendersi conto, una di quella che fanno sghignazzare gli astanti come se avessero avuto parte nel fatto. Così il centro-destra sconfitto rovinosamente ai ballottaggi ciancia ancora di riflessione e di maggioranze coese, invita gli elettori ingrati a pregare e pentirsi, minimizza gli effetti del voto locale sulla scena nazionale. Così si affollano presunti vincitori (i fans di Morcone e Boeri, gli astuti tessitori delle provinciali di Macerata, i segretari con le maniche rimboccate, i veltroniani autosufficienti) a rivendicare un successo che mai si sarebbe ottenuto a seguire le loro ideuzze tattiche. Miserie di un protagonismo politico che assomiglia al librarsi degli avvoltoi sul campo dopo la battaglia. Più interessante studiare il comportamento dei veri attori, di quanti già si preoccupavano dell’incombente crisi italiana (nell’ultimo mese la produzione industriale è cresciuta dello 0,1% a occupazione ovviamente declinante) ma si consolavano con la cinica constatazione che tanto non si registravano dissensi politici o rivolte di piazza. Certo, Berlusconi faceva loro schifo e il fatto di avere una coppia di leader impresentabili e palesemente stroncati dal sesso fuori stagione (chissà perché nessuno ricorda mai l’ictus bossiano) risultava persino imbarazzante, ma il vantaggio di un’opinione pubblica passiva era impagabile. Adesso la pacchia è finita e Pigi Battista –banderuola infallibile per cogliere lo spirare del vento– lo scrive senza ambagi: il guaio non è il ridimensionamento di Berlusconi, perfino auspicabile per la borghesia milanese e il gruppo Rcs, ma il fatto che la Lega non ha recuperato i voti persi. Insomma, che la caduta del Sultano si trascini dietro il crollo del centro-destra nel suo complesso (comprendendovi anche il flop del centrismo di Fini e Casini). Ancor più che la personalizzazione berlusconiana renda difficilissima la successione. Ha un bel piagnucolare De Bortoli che il caro leader deve scegliere fra il garantirsi un futuro individuale e il provvedere al futuro della coalizione, l’onda lunga del dissenso non si impiglia in siffatte distinzioni ma procede impetuosa. Vero che anche la sinistra parlamentare non ha molto da ridere, anzi in un certo senso è anch’essa travolta da quell’onda che non ha suscitato e solo a volte (Milano, non Napoli) è riuscita a cavalcare. E parliamo non solo di Bersani (D’Alema e Veltroni lasciamoli perdere), ma anche di Vendola a Napoli. Per capire come stanno le cose, basta vedere come il candidato ufficiale del Pd a Torino, Fassino, sia andato dietro a Marchionne, mentre un veterano Fiat (ma anti-Marchionne) come Romiti sia andato dietro al non pieddino Pisapia. La vita è complicata.

Da dove viene l’impulso al cambiamento, da dove ha preso forza e dove deve tornare a prender forza? Ma certo: l’insieme degli effetti della crisi (siamo materialisti, no?), l’indignazione, la rivolta morale della borghesia riflessiva milanese e del Vomero, la difesa della Costituzione, le primarie. Non sottovalutiamo niente. Ma la scintilla, la svolta, il disoccupato ambulante che si dà fuoco, i primi capannelli a piazza Tahrir e alla Puerta del Sol? Ormai siamo esperti in dinamica dei tumulti. E allora ricordiamolo alle anime belle e ai distratti, ai golpisti letterari e ai neoliberisti democratici, ai gelminiani ritrosi della meritocrazia di sinistra e ai trafficanti del centrismo: tutto è cominciato quel 14 dicembre, quando studenti e precari sono scesi in piazza contro la riforma Gelmini e al contempo è fallito lo scombinato assalto parlamentare al premier che era comprata la fiducia, tutto è cominciato con la resistenza operaia guidata dalla Fiom all’offensiva selvaggia di Marchionne, tutto è cominciato con la resistenza popolare alla gestione camorristica dei rifiuti e alle speculazioni “rispettabili” della Tav o dei privatizzatori dell’acqua. O pensate veramente che la disfatta di Berlusconi sia opera dei bravi giudici, che dobbiamo mettere Ruby e Lele Mora sulle bandiere della riscossa?

Tutto è cominciato nelle lotte e il seguito passerà per le lotte. Ciò non significa che la politica si riduca a manif. E’ molto più complessa e, a cominciare dalla campagna referendaria, occorrerà inventarsi strategie e consensi adeguati, ma proprio il realismo ci insegna che alla composizione precaria della moltitudine e alle sue forme di resistenza e contrattacco bisogna sempre mantenere il riferimento, misurando i rapporti di forza senza illusioni politicistiche e senza sopravalutare per quantità e qualità pezzi di opposizione (i centristi) che hanno di sicuro contribuito allo sfaldamento del sistema berlusconiano ma ora cercano disperatamente di saltare sul carro di un futuro centro-destra. Realismo è prendere atto dell’ingorgo istituzionale e politico per cui la caduta di Berlusconi e del sistema bipolare avviene senza ricambio immediato: in questa fuggevole congiuntura si aprono spazi di iniziativa democratica radicale che potrebbero molto presto rinchiudersi e per cui occorre un’iniziativa autonoma dai partiti di sinistra (e da una confusa Cgil).

La stessa fiducia popolare concessa a singole figure indipendenti con accenti di riflessività borghese (Pisapia) o di populismo plebeo e giustizialista (De Magistris) è indice, allo stesso tempo, di persistente personalizzazione pseudo-carismatica e di sfiducia nella rappresentanza tradizionale. Il secondo aspetto riflette il contagio e la risonanza tumultuaria, mostra come il tumulto possa produrre istituzione. Certo, è solo il momento più tangibile e imperfetto, rispetto alla difesa e al consolidamento delle forme di vita (questo intendiamo per istituzioni del comune), ma è anche uno dei passaggi da rivendicare. Adesso ci aspettano nucleare e acqua. E non “dopo”, ma già da tempo urge la questione precaria e migrante che traversa tutta l’Europa e il Mediterraneo.