Il clima è uscito dai gangheri - II parte

9 / 11 / 2009

Ciò spiega l’interesse tutto speciale che Venezia presta alle questioni energetiche e ambientali, al punto da produrre, tra le prime città in Italia, un Piano energetico comunale (PEC) all’insegna del “riduci i consumi, migliora la vita” direttamente ispirato agli obiettivi di sostenibilità di Kyoto (dal tipo energia usata al suo risparmio, dalla crescita di verde pubblico

a una mobilità che tenda a superare la motorizzazione privata) o, nell’ambito dell’amministrazione provinciale, da applicare nello sviluppo di politiche ecologiche radicalmente innovative le più avanzate modalità di analisi e di intervento in materia ambientale, come l’analisi energetica (una metodologia termodinamica che valuta sia gli aspetti economici che ambientali di un sistema uniformandoli al comune denominatore dell’energia solare e considerando perciò i “servizi” svolti dall’ambiente: in pratica, la misura dell’energia solare equivalente, o energia, immagazzinata in un prodotto; tanto è maggiore e tanto più grandi sono l’energia solare consumata e il costo ambientale) e come l’analisi dell’impronta ecologica (un indicatore che misura la necessità di capitale naturale di un’economia, cioè la superficie degli ecosistemi ecologici produttivi - foreste, bacini idrici, pascoli, ecc. - necessari per mantenere le attività di un individuo o di una comunità, un paese o del mondo intero: in pratica il peso che una data popolazione fa sopportare alla natura e la misura del carico che si può imporre senza degradare e compromettere la capacità riproduttiva di un ecosistema).

Ciò spiega l’interesse tutto speciale che Venezia presta alle questioni energetiche e ambientali, al punto da produrre, tra le prime città in Italia, un Piano energetico comunale (PEC) all’insegna del “riduci i consumi, migliora la vita” direttamente ispirato agli obiettivi di sostenibilità di Kyoto (dal tipo energia usata al suo risparmio, dalla crescita di verde pubblico

Ciò spiega l’interesse tutto speciale che Venezia presta alle questioni energetiche e ambientali, al punto da produrre, tra le prime città in Italia, un Piano energetico comunale (PEC) all’insegna del “riduci i consumi, migliora la vita” direttamente ispirato agli obiettivi di sostenibilità di Kyoto (dal tipo energia usata al suo risparmio, dalla crescita di verde pubblico

Ciò spiega l’interesse tutto speciale che Venezia presta alle questioni energetiche e ambientali, al punto da produrre, tra le prime città in Italia, un Piano energetico comunale (PEC) all’insegna del “riduci i consumi, migliora la vita” direttamente ispirato agli obiettivi di sostenibilità di Kyoto (dal tipo energia usata al suo risparmio, dalla crescita di verde pubblico

Ciò spiega l’interesse tutto speciale che Venezia presta alle questioni energetiche e ambientali, al punto da produrre, tra le prime città in Italia, un Piano energetico comunale (PEC) all’insegna del “riduci i consumi, migliora la vita” direttamente ispirato agli obiettivi di sostenibilità di Kyoto (dal tipo energia usata al suo risparmio, dalla crescita di verde pubblico

L’alba del giorno dopo

Queste politiche “dal basso”, come quelle auspicabili sul piano europeo, tentano di misurarsi, reagendo alla crisi in corso, con la prospettiva dello sviluppo sostenibile, vero feticcio e vera chiave di volta di un’alternativa concepita a suo tempo come graduale ma progressivamente capace di produrre la necessaria svolta di sistema prefigurata da troppi documenti ufficiali e da innumerevoli dichiarazioni di principio. Lester Brown l’ha chiamata “Rivoluzione ambientale” sostenendo che, qualora avvenisse, “verrà ricordata al pari della Rivoluzione agricola e della Rivoluzione industriale” come “una delle più grandi trasformazioni economiche e sociali della storia umana”.

A volte, in questo dibattito, “rivoluzione ambientale” viene intesa come sinonimo di “sviluppo sostenibile”, altre volte come il mezzo per produrlo, quello sviluppo. O anche viceversa. Così, in qualche modo, l’aveva  pensato chi, nel corso degli ultimi vent’anni in particolare, aveva indicato nella “sostenibilità” il mezzo, il processo, in grado di rispondere alla contraddizione ambientale e al suo nesso con la questione della giustizia economica e sociale. E’ stata la Commissione mondiale per l’ambiente e lo sviluppo, istituita dalle Nazioni Unite nel 1987 e presieduta da Gro Harlem Brundtland, a utilizzare per la prima volta in modo impegnativo il concetto nel famoso rapporto Our Common Future (apparso in Italia da Bompiani nel 1988 con il titolo Il futuro di noi tutti). L’idea di “sviluppo sostenibile” era sembrata allora la sintesi nuova, la chiave capace di aprire la porta di una nuova epoca. Nel 1992 all’Earth Summit di Rio de Janeiro era  poi diventata la parola d’ordine di tutti o, come dirà Kofi Annan, “il principio organizzativo per le società di ogni parte del mondo”.

In realtà, diventa soprattutto una nuova retorica, quando non un vero e proprio inganno. L’omaggio che il vizio (industrialismo, consumismo, liberismo sfrenato) rende alla virtù (la “compatibilità ambientale”) per poter continuare sulla strada di sempre, come sempre distruttiva e oppressiva (anzi, spingendo la colonizzazione neoliberista fino a nuovi territori: all’essenza stessa del vivente, alla sua manipolazione e commercializzazione). Con la patina nuova dello “sviluppo compatibile” si sono spesso riverniciate le solite vecchie logiche, esattamente come, spesso, la tecnica della valutazione di Impatto Ambientale (VIA) viene pilotata e asservita ai soliti vecchi sistemi e alle solite devastanti opere distruggi-territorio e divora-risorse.

Sarebbe interessante anche vedere come la retorica dello “sviluppo sostenibile” abbia rappresentanto l’altro polo del discorso “umanitario” più generale che ha sedotto, abbindolato e ipnotizzato buona parte dell’opinione pubblica in questi anni. Esattamente come la retorica dei “diritti umani” ha prodotto nuove guerre “giuste” e nuove colonizzazioni “democratiche”, così la retorica dello “sviluppo sostenibile” ha dato l’abbrivio a una nuova stagione di consumi e di investimenti finalizzati a riprodurre e rilanciare il modello liberista. Il neoliberismo, e il suo sistema globale, hanno trovato in queste retoriche un linguaggio di copertura, un’ideologia di forte e rinnovata suggestione. Ma sono stati i fatti, e i misfatti, i disastri di queste stagioni, è stata la ripresa impetuosa dei movimenti di critica e di lotta, in ogni angolo del mondo, su infinite scene locali, spesso invisibili, altre volte di grande impatto globale (come a Seattle o a Genova o a Cancun o Bombay), a rivelarne la vera natura.

La critica a questo improbabile “sviluppo sostenibile”, così come la critica dell’ingannevole “ideologia umanitaria”, specie dopo le “guerre preventive” di Bush e dei suoi alleati, rappresentano la base indispensabile di ogni vero e nuovo ambientalismo. Un approccio che, comunque, in questi  anni, si è fatto strada, con la percezione, sempre più diffusa, che non è più in discussione l’eventualità di un cambiamento climatico ma il grado in cui si produrrà. E che dunque non si tratta più di discutere se è anche necessario un cambiamento nel sistema di produzione e  di consumo, nelle modalità di alimentazione energetica, negli stili di vita, bensì se questi cambiamenti avverranno in seguito a eventi traumatici, catastrofici, o in seguito a una grande diffusa e nitida presa di coscienza generale. Cosa prevarrà, in questa gara cruciale? La consapevolezza conquistata oppure il diktat delle cose, la violenta eloquenza dei fatti? La grande ripresa di spazio da parte dell’opinione pubblica mondiale, la tenuta e la maturità di grandi movimenti collettivi che chiedono esplicitamente una svolta lasciano sperare che possa prevalere un orientamento nuovo, guidato dalla ragione, dall’intelligenza, dallo stesso istinto di conservazione della specie che sente insidiato il proprio habitat e che finalmente reagisce.

Perfino negli Stati Uniti, e perfino in luoghi inattesi, vediamo all’opera questa consapevolezza, anche se a volte in modi ambigui ma ugualmente significativi. Specialisti nell’immaginare spettacolari apocalissi (e a guadagnarci sopra), ad esempio, gli strateghi della fabbrica di sogni e di incubi che è Hollywood hanno appena realizzato un kolossal ecologico ispirato proprio dalla crisi climatica, The day after tomorrow (“L’alba del giorno dopo”, regia di Roland Emmerich). Il film racconta gli effetti sulla nostra vita dello scioglimento della calotta polare a causa dell’effetto serra. Forse avrebbe potuto iniziare, esattamente come l’opuscolo che state leggendo, proprio con la scena dei ricercatori russi alla deriva sopra l’iceberg staccatosi dal pack… Il film è basato sulle previsioni catastrofiche, ma assolutamente attendibili, elaborate dagli scienziati e dagli istituti di ricerca più avanzati e mette esplicitamente sotto accusa le politiche energetiche e ambientali degli Stati Uniti. E’ sperabile che il film, quando uscirà, riesca almeno a influire, data la concomitanza, sulla campagna per l’elezione del prossimo presidente costringendo i contendenti (lo stesso George W. Bush e lo sfidante democratico John F. Kerry) a misurarsi anche sulle politiche ambientali ed energetiche. E che riesca infine, data la grande influenza di Hollywood sull’opinione pubblica planetaria, a rilanciare in termini globali la questione. Certo, più affidabile, meno effimero e ambiguo, sarà comunque contare su chi, da molti anni, con denuncie e proposte rigorose e coerenti, cerca di far si che “l’alba del giorno dopo” non sia, se non l’alba della catastrofe, un’altra alba di spreco, di degrado e di crisi ecologica. L’alba di un giorno, di un tempo, davvero e per sempre “fuori dai gangheri”.

Venezia, marzo 2004

*Gianfranco Bettin, veneziano, ha pubblicato alcuni romanzi e volumi di saggi e d’inchiesta, tra i quali Dove volano i leoni. Fine secolo a Venezia (Garzanti 1991), Petrolkimiko. Le voci e le storie di un crimine di pace (Baldini e Castoldi, 1998), Duemilauno. Politica e futuro (con Massimo Cacciari, Feltrinelli 2001), Petrolkiller (con Maurizio Dianese, Feltrinelli 2002). Tra i fondatori dei Verdi italiani, è stato deputato al Parlamento e prosindaco di Venezia. Attualmente consigliere regionale del Veneto.

Nota. Questo testo nasce da alcuni interventi e conferenze tenute soprattutto nel Nordest all’inizio del 2004 e qui rielaborate, è stato pubblicato da Nottetempo nell’estate del 2004 ed è qui liberamente scaricabile per espressa volontà dell’Autore e gentile concessione dell’Editore, che ringraziamo.