Riflessioni su di una categoria discussa ma poco approfondita

La decrescita della dipendenza

30 / 10 / 2009

Sulla decrescita non ci sono dubbi: la crescita della produzione legata alle necessità del capitale esercita una pressione insostenibile sulle risorse naturali e su tutta la biosfera.

Questo, però, non significa tout court che noi tutti si debba sussumere lo stesso limite legando il benessere individuale e collettivo ai destini e ai meccanismi della (ri)produzione del capitale.

Andando con ordine, cerchiamo di sostanziare la prima affermazione senza indulgere nella lunga orrorifica elencazione che solitamente accompagna questi ragionamenti: tanto di barriera corallina persa, tanto di biodiversity smarrita, poco di petrolio rimasto, eccetera[1]. I vari numeri – ognuno dei quali è soggetto ad una operazione di definizione e misura e, quindi, di revisione – indicano uno stato attuale di pressante emergenza ma, in sé, possono portare anche a partorire ossimori ingannevoli come lo sviluppo sostenibile. A noi, invece, interessa visualizzare in modo semplice perché l'accumulazione capitalista è intrinsecamente incompatibile con un mondo finito, indipendentemente dal fatto che sia più o meno green e che il collasso sia più o meno distante nel tempo.

La chiave della faccenda è la crescita esponenziale, ovvero il fatto che l'accumulazione di ricchezza continua ad aumentare stabilmente di un certo fattore ogni anno. Non è scorretto assumere che mediamente le risorse impiegate e l'energia richiesta aumentano anch'esse nella stessa proporzione. Supponiamo che il fattore di crescita sia il 5%: ciò significa che l'anno prossimo si consumerà, in un anno, il 5% di energia in più di quest'anno, e l'anno successivo circa il 10% in più, per arrivare a raddoppiare il consumo annuale fra 14 anni. Il tempo necessario al raddoppio è detto tempo di raddoppiamento: maggiore è il fattore di crescita, minore il tempo di raddoppiamento. La cosa stupefacente è che durante un tempo di raddoppiamento viene consumata una quantità di energia doppia rispetto a quella mai utilizzata prima. Se la fonte di questa energia non viene ricostruita, qualunque essa sia è quindi destinata a finire nel giro di pochi tempi di raddoppiamento: se ad un certo momento, per ipotesi, ne fosse disponibile il 90% (per esempio il 90% di tutto il petrolio conosciuto e accessibile in modo vantaggioso), dopo solo due tempi di raddoppiamento ne sarebbe rimasto il 30% ed essa finirebbe prima del terzo tempio di raddopiamento. Anche se ne venisse scoperto un giacimento pari a tutta quella nota fino ad allora, ebbene, non rimarrebbe che un mezzo tempo di raddoppiamento e anche quel tal nuovo ipotetico giacimento sarebbe esaurito.

È vero, ad esempio, che si continuano a scoprire giacimenti di combustibili fossili (petrolio e gas naturale), ma è vero altrettanto che nessuno crede che ne esistano di sconosciuti così grandi da contenere tanto petrolio e gas quanto finora scoperto in tutta la storia.

E anche scoprendoli, durerebbero un solo tempo di raddoppiamento.

Fino al 1973 il tasso di crescita del consumo di petrolio è stato di circa il 7%; se fosse rimasto tale, le riserve allora conosciute sarebbero finite più o meno ora. Rallentando il consumo[2], accrescendo l'efficienza energetica e aggiungengo un po' di nuovi giacimenti, si sono guadagnate qualche decina d'anni, supponiamo pure il tempo di vita medio di un bambino che nascesse oggi.

Sia pure, il dato interessante non è il catastrofismo cronometrico, prevedere in quale esatto momento il petrolio non potrà più essere estratto: ciò che è centrale è che, comunque, la crescita esponenziale dell'impiego di risorse è ridicolmente incompatibile con la finitezza delle risorse a disposizione[3].

 Costretto ad affacciarsi sull'insostenibile pesantezza dell'esponenziale, il capitale è in crisi anche su questo: i picchi di produzione sono stati raggiunti (o lo saranno a breve) per le fonti energetiche principali e per materie prime chiave (come rame o litio), l'impatto antropico sul clima e sulla biosfera non è più ignorabile e le sue conseguenze iniziano ad erodere in modo insostenibile  i profitti (o la stessa possibilità di mantenerci produttivi e di continuare la exploitation delle risorse): dal 5% al 20% del PIL mondiale andrà perso da ora in avanti ogni anno[4] se l'impatto antropico continuerà a crescere ai ritmi attuali, mentre i cambiamenti climatici sconvolgeranno l'acceso a fattori primari per la vita – acqua, cibo, salute – ovunque nel mondo.

A fronte di questo, la geopolitica “tradizionale” naufraga: ciò che abitualmente consideriamo “Nord” del mondo – ricco e con un accesso privilegiato e garantito alle risorse naturali primarie – divverrà improvvisamente tanto “Sud” e precario quanto la più miserabile delle regioni di oggi: il “Global South”è ormai veramente globale e nessuno può ritenersi al riparo dalle conseguenze della follia sviluppista sulla biosfera.

 A fronte di ciò il capitale – che non può rinunciare alla crescita – è  afasico e incapace di pensare ad altro che a soluzioni di business (il carbon trade) o a cambiamenti di paradigma tecnologico (il cosiddetto green capitalism, che all'interno dello sviluppismo non è una soluzione ma un semplice differimento).

 A questo punto è necessario sottrarsi. Ai miraggi, innanzitutto: in primis quello del capitalismo verde, ma a seguire anche quello della decrescita dei consumi personali e degli stili di vita slegata da una sottrazione delle ragioni del bios dalla sfera della produzione. Crogiolarsi nell'estetica del pauperismo energetico individuale e collettivo senza intaccare i nessi profondi del rapporto fra capitale e risorse naturali serve solo a garantire la sopravvivenza dello sviluppismo. Soffrendo, per di più.

 È necessario invece sottrarsi radicalmente ai meccanismi intrinseci dell'accumulazione e dell'exploitation, costruendo, praticando e reclamando indipendenza.

 Indipendenza della ratio nell'accesso al Comune Naturale, alle risorse e alla produzione di energia innanzitutto, reclamando il diritto ad un accesso e una produzione determinati dalle necessità di vita e non dell'accumulo e, quindi, sotto il diretto controllo delle comunità locali che vivono le risorse di un territorio in un rapporto circolare.

Reclamare cambiamenti tecnologici strutturali – possibili e in parte già percorsi – localizzare la produzione di cibo e di energia e slegarla dal controllo centralizzato, reclamare il diritto all'indipendenza e al benessere per tutti come dato di partenza.

Costruire indipendenza praticandola nel percorso per la costruzione del comune: tutto

[1]Decine di osservatorii, biologi, geologi e associazioni varie accumulano da anni expertises e specifiche conoscenze tecniche nel valutare e misurare l'impatto antropico sul clima, sulla biosfera e sullo stock di risorse naturali; ad esempio,  http://ipcc.ch http://www.milleniumassesment.org,  http://peakoil.net

[2]Come del resto prevede un modello realistico di sfruttamento che tenga conto della complessitò di fattori al contorno (ad esempio, la curva di Hubbert da cui si ricava la famosa previsione del picco del petrolio).

[3]..cosa assolutamente ovvia a chiunque abbia una minima preparazione tecnica ma platealmente ignorata dall'ideologia sviluppista.

   Forniamo un ultimo dato all'immaginario. Supponiamo di avere a disposizione una riserva di energia sufficiente per un milione di anni se il consumo rimanesse quello attuale (l'equivalente di circa 90 milioni di barili di petrolio al giorno).

   Ebbene, se il consumo crescesse di un modesto 2% annuo, come l'agenzia internazionale dell'energia prevede per la domanda mondiale di energia per i prossimi 30 anni, quello stesso giacimento durerebbe 2000 volte in meno, ovvero meno di 500 anni. Se la crescita fosse del 7% annuo quello stesso giacimento basterebbe 150 anni. Una riserva che sarebbe parsa praticamente infinita si arrende velocemente alla vorace crescita esponenziale.

[4]http://www.hm-treasury.gov.uk/sternreview_summary.htm : “[..] the benefits of strong and early action far outweigh the economic costs of not acting. [..] Climate change will affect the basic elements of life for people around the world ? access to water, food production, health, and the environment. Hundreds of millions of people could suffer hunger, water shortages and coastal flooding as the world warms”