Ruflessioni in occasione della giornata contro la violenza sulle donne

Mappe della libertà

contro la violenza sulle donne, welfare e reddito per tutte

24 / 11 / 2011

Mentre noi scriviamo c’è un’immagine che sta facendo il giro di tutti i social network e di alcuni media main stream. È l’immagine brutale di una giovane donna diciannovenne aggredita da un poliziotto mentre prendeva parte alle proteste contro la crisi di  Seattle. La donna era incinta, e i calci nello stomaco ricevuti dal celerino hanno comportato l’interruzione della gravidanza. Ci è sembrato necessario partire da quest’immagine così violenta, che tanta indignazione sta provocando in tutto il mondo, per provare a declinare un ragionamento intorno al 25 novembre - giornata internazionale contro la violenza sulle donne - che provi a scardinare la ritualità di questa data e che quindi la inserisca con forza all’interno delle contraddizioni del mondo che subisce la crisi. Sappiamo bene che attraverso l’assetto emergenziale con cui i governi europei, e non solo, affrontano la crisi si stanno producendo devastanti arretramenti sul piano dei diritti, dell’accesso ai servizi, del welfare e delle garanzie. Sappiamo bene inoltre che questi arretramenti uniti alla crescente disoccupazione producono l’ effetto di una  povertà sempre più larga e che proprio contro questa disperazione sociale si mobilitano, in tanti paesi, donne e uomini per riscattare la propria esistenza. In questo quadro estremamente recessivo, da una parte manca una prospettiva di genere che racconti gli effetti della crisi sul corpo delle donne, sui tempi e sugli spazi di vita, dall’altra manca che questa prospettiva si faccia presa di parola politica e quindi assunzione di rivendicazioni nel merito delle questioni suddette. Le scelte dei governi europei e dei poteri finanziari in materia di lavoro e politiche sociali va in una direzione troppa chiara e univoca: abolizione dei contratti collettivi nazionali, depotenziamento delle possibilità conflittuali dei sindacati, disciplinamento e controllo del comportamento sui luoghi di lavoro, allungamento dell’età pensionabile, cancellazione dell’articolo 18 e quindi della tutela dal licenziamento senza una giusta causa, aumento del tasso di disoccupazione e delle forme schiavistiche di lavoro (stage, tirocini, apprendistato), e dunque precarizzazione di tutte le forme di esistenza. Queste scelte hanno una ricaduta drammatica sul rapporto tra vite femminili e mercato del lavoro. Non sfuggirà che laddove i datori di lavoro hanno così tanta autonomia nelle scelte contrattuali, la debolezza di chi subisce questa libertà univoca aumenta esponenzialmente i suoi effetti sulle lavoratrici donne: maternità, necessità di assenza connessa alle mansioni legate al lavoro di cura e domestico di cui la donna continua ad essere l’unica responsabile, il frequentissimo ricatto dell’ avance o della molestia sul luogo del lavoro,ecc. Questa posizione di svantaggio, che la donna vive nel mondo del lavoro, si connette immediatamente con quanto avviene sul piano dello smantellamento del welfare e dei tagli ai servizi che derivano in gran parte dalle politiche di austerity che prosciugano le casse degli enti locali. Primo tra tutti il comparto sanitario che da una parte subisce il de-finanziamento pubblico, e dall’altra diventa teatro dello sciacallaggio dei privati con la conseguente chiusura dei presidi ospedalieri, dei consultori, dei centri antiviolenza, dei pronto soccorso, dei centri di accoglienza (…). Nel mezzo di queste macerie, sostenuti da alcuni terribili provvedimenti legislativi regionali, si allargano gli spazi di agibilità delle lobbies ecclesiastiche (protagoniste indiscusse anche del tanto acclamato governo Monti), delle associazioni per la vita, degli obiettori di coscienza che pretendono di sovra-determinare le scelte che le donne devono, e non possono, rivendicare liberamente. Chiaramente la sanità non è l’unico comparto a subire questa forma di dismissione; stessa sorte tocca tutte le forme di reddito indiretto, i sussidi di maternità, di disoccupazione, gli assegni familiari, o il  ritiro di leggi come la 104, contenuto nella devastante manovra agostana. Così come per la sanità, le privatizzazioni inficiano anche i luoghi della formazione primaria pubblica (asili, scuole elementari) e pongono l’ennesimo problema nella gestione e nell’organizzazione dei tempi di vita e di lavoro femminile. Questo quadro complessivo si traduce nell’impoverimento de facto soprattutto delle giovani donne, e pone in modo allarmante il problema anche della  violenza subita in casa e non solo nei luoghi pubblici o di lavoro. Se le donne sono vittime di violenza domestica e  subiscono, a causa dell’incidenza del quadro sopra-descritto la consequenziale riduzione di spazi di indipendenza e di autonomia, finiscono per restare  ingabbiate nelle case di cui solo gli  aguzzini hanno le chiavi. Ecco perché il 25 novembre non può essere una giornata in cui si fa sfoggio di retorica vuota e  assistenzialista, ma deve essere innanzitutto l’occasione di una riflessione collettiva che, partendo dalle contraddizioni del presente, rivendichi per le donne reddito, diritti, welfare e servizi, e che permetta davvero alle donne stesse  di potersi liberare da situazioni di subalternità e abuso.

Laboratorio Occupato Insurgencia,
D.A.D.A. - Dipartimento Autogestito dell'Alternativa