Tratto da "Il Manifesto" del 11.09.11
Il rapporto Svimez di
quest’anno arriva in tempo per andare ad inserirsi, con le sue algide
percentuali e con i suoi numeri in sequenza, dentro il quadro di devastazione
sociale che la crisi e l’austerity stanno provocando in tutto il paese ma non
certo in mondo uniforme. Ci racconta di
un mezzogiorno in cui la crisi ha agito come una mannaia, deprimendo i giovani
e impoverendo i nuclei familiari che per quei giovani restavano l’unica forma di
welfare. Un rapporto che ci racconta di un
mezzogiorno abitato da 772mila neet (giovani che non studiano più, non lavorano
e soprattutto non cercano lavoro) diplomati e 167mila neet laureati, ma
soprattutto ci racconta che in Campania solo il 10% dei giovani tra i 15 e i 34
anni ha un lavoro stabile, l’8% è precario, il 19% disoccupato e il 63% compone
un vasto e complesso sottobosco di “inattività”, sottoccupata o scoraggiata
dalla ricerca spasmodica di uno straccio di certezza.
E’ certo vero infatti che la crisi peggiora ineluttabilmente le condizioni di
vita di ogni latitudine geografica e di ogni collocazione sociale, tuttavia i
punti di partenza di queste mappe del disastro son assai diversi: la crisi di
una metropoli del meridione come Napoli ci impone un confronto netto e diretto
con il tema della povertà e dell’immobilismo sociale da essa generato, e con
una rideclinazione pure della medesima precarietà che diventa immediatamente
sottoccupazione o inoccupazione permanente. Dentro questa latitudine meridiana
nasce la necessità di mettere in rete le soggettività precarie, sottoccupate,
neet o inattive, quelle che della crisi pagano il conto più salato, quello che
non lascia vie di fuga.
E’ così che, che nasce Reclaim - la rete delle precarietà urbane oltre la crisi
- per aprire spazi di comune tra i
bacini metropolitani della recessione, entrando dentro le scuole e le
università, attraversando la città napoletana nelle sue periferie e nelle
sacche di povertà del centro, laddove si concentrano l’inoccupazione e i più
deprimenti quadri sociali della crisi stessa; tutto ciò al fine di creare
condivisione tra le esperienze, le intelligenze, le attitudini, i talenti di
questi soggetti precari che esistono solo in percentuale e sono esclusi dalle
linee della produzione. Una composizione sociale che vive la metropoli e che
subisce la crisi anche negli aspetti legati alla socialità ed alla
quotidianeità urbana, come la vita dei quartieri più disagiati.
Reclaim nasce per stuzzicare i nervi scoperti delle nuove mappe sociali
prodotte dalla crisi, per aprire terreni
rivendicativi immediati: come il diritto all’abitare, agli spazi e all’accesso
per e alla cultura, al reddito, ai trasporti, alla riqualificazione urbana.
Reclaim vuole inoltre entrare in relazione con le altre soggettività che si
oppongono alla crisi, al fine di creare con esse ponti generazionali e sociali
necessari dentro un quadro di attacco generalizzato al lavoro e alla vita
tutta.
Siamo insufficienti rispetto allo scenario disegnato dalla crisi. Reclaim è un
tentativo di produrre agitazione sociale per essere pronti nel momento in cui
l'auspicio di una insorgenza sociale carica di indignazione travalichi gruppi,
sindacati, collettivi ed organizzazioni .
Reclaim nasce convinta che l’indignazione generale, le espressioni pluriformi
di indignazione nel paese e sui territori, debbano trovare risvolto immediato
nella costruzione di alternativa attraverso l'individuazione di modelli
sociali, economici, culturali, per indicare una via d'uscita alla crisi fuori
dal quadro di compatibilità con le politiche transnazionali di austerità e
quella dell'opposizione parlamentare, in una nuova stagione in cui politica e
movimenti percorrano strade inedite. Lo spazio di ragionamento aperto da Uniti
contro la crisi ci sembra lo spazio naturale entro il quale Reclaim possa
sviluppare questa sfida.