Occhi aperti sull'inchiesta di Torino

6 / 7 / 2009

Quando la mattina vieni svegliato di soprassalto, magari perché la Digos ti sfonda la porta di casa con un ordine di custodia cautelare in carcere, spalanchi gli occhi all’improvviso e la vista impiega qualche minuto di più per mettere a fuoco i dettagli e definire con maggior esattezza i contorni delle figure. Ecco, questo sforzo di rendere più lucido il nostro sguardo, per comprendere meglio ciò che sta accadendo, conviene farlo al più presto di fronte agli arresti della notte scorsa per la manifestazione contro il G.8 università di Torino. Perché, con il passare delle ore, iniziano a vedersi dettagli che tanto di dettaglio non sono, ma rendono questa operazione politicamente più leggibile.

All’inizio, sembrava qualcosa di (purtroppo) già visto negli ultimi dieci anni. All’indomani della straordinaria prova di resistenza e vitalità di Vicenza e alla vigilia del summit de L’Aquila, uno dei tanti apparati di Stato (servizi, Ros, Digos, Direzione centrale della polizia di prevenzione, come si chiama oggi la vecchia Ucigos, scegliete voi quale …) trova un magistrato compiacente, una figura marginale, una terza fila, disposto a perdere la faccia con un dossier poi destinato al sicuro ridimensionamento in sede di giudizio e il gioco è fatto: un po’ di arresti, giuridicamente ingiustificabili per l’assenza di motivazioni, per il tempo trascorso dai fatti, per capi d’imputazione di lieve entità, corroborati da un po’ di materiale video in cui non si capisce nulla, tanto per dire che si sono “bloccati i violenti, prima che potessero scatenare la guerriglia” intorno al vertice. Non era successo forse così con la meschina provocazione dell’inchiesta e degli arresti per “cospirazione politica”, partiti dalla Procura di Cosenza, alla vigilia del Forum sociale europeo di Firenze nel novembre 2002 ? Cosa c’è di meglio per deviare l’attenzione da un summit destinato a non fornire alcuna risposta alla crisi e al drammatico peggioramento delle condizioni di vita di milioni di donne e uomini ? Cosa c’è di meglio per distrarre l’opinione pubblica dalle difficoltà di legittimazione del Governo ?

Poi, a mezzogiorno in punto, si presenta alla conferenza stampa di gestione degli arresti, nientepocodimenoche il Procuratore capo della Repubblica di Torino Giancarlo Caselli: è lì per apporre il suo sigillo sull’intera operazione il magistrato vicino al PCI, protagonista prima delle inchieste e dei processi politici contro i movimenti degli anni Settanta, poi dell’ “Antimafia di Stato” per eccellenza, procuratore che lascia Palermo dopo essere stato sconfitto nel tentativo di incastrare Andreotti Belzebù come capo di Cosa Nostra. Caselli non ha dubbi e, di fronte ad un corteo che si è difeso con un grande striscione-scudo di fronte alla violenza della polizia, già sentenzia: “Erano organizzati in modo paramilitare”. E allora proviamo a stropicciarci meglio gli occhi. Perché un uomo del centrosinistra, uno degli idoli di “Repubblica” e di “Micromega”, insomma un mezzo “Padre della Patria” si dovrebbe scomodare per reati da pretura di provincia (resistenza a pubblico ufficiale e lesioni lievissime, con prognosi non superiori ai quindici giorni) ? Perché un fine storico del diritto, com’è per formazione, decide di mandare in galera ventun persone, sapendo che non c’è minimo fondamento giuridico alla loro incarcerazione ?

Proviamo a rileggere le parole di Massimo D’Alema, non quelle di trent’anni fa quando dirigente della Fgci applaudiva la repressione dei movimenti, ma quelle pronunciate ieri sera al “Democratic Party” di Roma. Baffino, in sostanza, ha detto: stanno per arrivare altre “scosse”, dobbiamo prepararci ad assumere importanti responsabilità ed attrezzare il nostro partito, che non è un “centro sociale”. Ecco, qualcuno nel centrosinistra sta costruendo il dopo-Berlusconi, l’uscita di scena di un Presidente del Consiglio troppo “sputtanato”, si sta predisponendo a fornire a questo Paese nella crisi un governo un po’ più adeguato alle domande che vengono dai poteri globali e dalle oligarchie capitalistiche. Magari un governo di “unità nazionale” o di “larghe intese”, guidate da un tecnico (il governatore di Bankitalia Draghi) o da un personaggio presentabile della destra (Letta, Tremonti o Fini). E quando ci si prepara ad un passaggio politico come questo, bisogna dare un segnale preciso ai movimenti, a quanti praticano il terreno del conflitto sociale. Prima, fino alle scorse elezioni politiche, c’era il cuscinetto della cosiddetta “sinistra radicale”: era il meccanismo della rappresentanza e la sua variante senile, salottiera e parolaia, del “bertinottismo”, a cui toccava il ruolo di contenimento della spinta al cambiamento proveniente dai movimenti. Non a caso, sempre ieri sera, D’Alema s’incazzava con quanti tra i suoi avevano fatto una scelta “bipartitica”, buttando fuori dal parlamento Bertinotti & Co.. Ma adesso, appunto, quella sinistra lì non c’è più, è sparita ed è direttamente con i movimenti, con la loro indipendenza che devono tornare a confrontarsi. E proprio su questo versante devono dimostrare di poter controllare la situazione. Privi di fantasia come sono, lo fanno con gli strumenti di sempre: riscoprono il nemico nell’ “Autonomia” (come si legge negli ordini di custodia), mettono in campo i magistrati di una volta, quelli su cui “si può contare”, dividono nei movimenti i “buoni” dai “cattivi”, quelli disposti a subire l’inevitabile sconfitta, chinando la testa, da quelli che resistono. Così pensano di legittimarsi un’altra volta per governare, alla faccia della democrazia e del consenso elettorale.

Ci riusciranno ? Incrociando le dita, pensiamo proprio di no. Questa volta si sbagliano e di grosso. Perché hanno costruito una grossa operazione sul nulla, si sono presi la libertà di ventuno persone sulla base di accuse ridicole e inconsistenti, lanciando così un boomerang che gli tornerà sui denti. Ma soprattutto perché utilizzano gli strumenti inquisitori più vecchi contro la cosa più nuova che sia successa in questo paese negli ultimi anni, contro la prima rivolta di massa di quel lavoro cognitivo che non pagherà mai la loro crisi, che è destinato ad organizzare nella trasformazione radicale le libertà e le ricchezze comuni e che questa piccola carognata gliela farà tutta rimangiare.


Alcune riflessioni con Marco Rigamo e Vilma Mazza a seguito delle dichirazioni del procuratore capo di Torino, Giancarlo Caselli