"Prendi i soldi e scappa"

Dibattito e campagne politiche sul tema del welfare degli ammortizzatori sociali

16 / 3 / 2010

Il tema del reddito garantito è ritornato in auge. I motivi sono evidenti.
Da un lato siamo in campagna elettorale, seppur poco visibile e in altre
faccende affaccendata. Dall’altro l’acuirsi degli effetti della crisi
economica sul piano sociale e occupazionale pone la necessità di
interventi sul piano del welfare. Numerosi sono gli interventi al
riguardo.

Ha cominciato la Caritas Ambrosiana in un convegno una settimana fa. “La
Lombardia aiuti chi è senza tutele introducendo il reddito minimo
garantito, una forma di protezione sociale presente in tutti i Paesi
dell'Europa a 15, tranne che in Grecia e in Italia”. E' quanto ha chiesto
alla Regione Lombardia il direttore della Caritas Ambrosiana don Roberto
Davanzo durante il convegno che ha aperto la campagna di Caritas Europa
"Zero Poverty". "È venuto il momento di correggere il nostro sistema di
protezione sociale che oggi non sembra più al passo con le trasformazioni
del mercato del lavoro e della società" ha spiegato don Davanzo, nel corso
del convegno "Cancellare la povertà: una sfida per l'Europa",
sottolineando che "il 2010, proclamato dalle istituzioni comunitarie anno
europeo di lotta alla povertà, può rappresentare il tempo propizio per una
profondo ripensamento in Italia del sistema di welfare affinché vengano
estese le tutele a coloro che sono i più esposti ai rischi di
impoverimento e, paradossalmente, nello stesso tempo, anche i meno
garantiti". "Penso, in particolare ai giovani con contratti precari che
hanno pagato prima degli altri e più duramente, perché esclusi dagli
ammortizzatori sociali, il prezzo della perdita del lavoro".

Diversa la posizione del Ministro al Welfare Maurizio Sacconi, che dopo
aver dato parere negativo al prolungamento della cassa integrazione da 12
a 18 mesi, ha dichiarato in un intervento al Forum della Confcommercio in
svolgimento a Cernobbio: "Non regaleremo mai un reddito minimo garantito
che porterebbe di fatto alla esclusione dal mondo del lavoro di una fascia
di persone". E ha aggiunto: "Non vogliamo modificare la composizione della
spesa degli ammortizzatori sociali che deve restare quella e deve tutelare
anche i dipendenti delle piccole imprese oltre che quelli delle medie e
delle grandi. D'altra parte il governo continua a lavorare perché le
imprese che meritano abbiano il credito necessario. Stiamo lavorando con i
grandi gruppi bancari -conclude Sacconi- perché' rimangano sempre più
vicini al territorio e alle imprese".

Infine, da un paio di settimane, è partita a Milano e Lombardia
l’”Operazione Welfare”, promossa e organizzata dai vari gruppi che
lavorano sulla precarietà (Intelligence Precaria e rete MayDay, Acta), dai
collettivi operai delle fabbriche in crisi, da associazioni e centri
sociali che operano sul territorio (ad esempio, Rete No-Expo e SoS
Fornace), ovvero da quei soggetti che maggiormente vivono sulla propria
pelle i morsi della crisi economica. Tale campagna ha l’obiettivo di
presentare una proposta coesa di welfare, che, andando oltre la
tradizionale dicotomia pubblico-privato, si faccia interprete dei desideri
e dei bisogni della nuova generazione precaria in un contesto produttivo
totalmente diverso da quello fordista. Utilizzando la potenza della
cooperazione  sociale e della comunicazione subvertising (in particolare
riguardo alla lotteria “Win for life”, vera provocazione in un Paese che è
ultimo in Europa per garanzie di reddito:

http://operazionewelfare.noblogs.org), si vuole imporre all’attenzione

politica una riforma  del welfare che abbia i suoi cardini nella
continuità di reddito incondizionata e a prescindere dalla condizione

lavorativa, nel libero accesso ai servizi sociali e ai beni comuni,

nell’introduzione d forme di remunerazione minime e nella riduzione dei

contratti atipici.

Si tratta di posizioni molto differenti, che evidenziano culture
altrettanto differenti. Il ministro Sacconi si muove all’interno di una
logica tutta prona agli interessi dei potentati economici bancari e
finanziari che oggi comandano il processo di accumulazione. E non fa
mistero di ciò. Non più solo il lavoro, ma la vita in tutti i suoi aspetti
deve essere subordinata al capitale. Neanche le elemosine degli attuali
ammortizzatori sociali sono oggi estendibili. E un reddito minimo
garantito non è possibile, perché favorirebbe il non lavoro! Opinione
alquanto assurda, se si pensa che oggi qualunque atto che noi facciamo è
in qualche modo produttivo di ricchezza. Il problema oggi non è la fine
del lavoro, piuttosto il lavoro senza fine. In un contesto in cui il
lavoro produttivo va ben oltre il tempo di lavoro certificato e pagato, il
reddito di base diventa remunerazione di questa attività produttiva
eccedente, non assistenza. Si tratta di un'impostazione culturale, prima
ancora che politica, che non può essere accettata dagli epigoni del
capitale, così come da quelle organizzazioni sindacali che vedono ancora
nella schiavitù (“etica”) del lavoro capitalistico lo strumento del
riscatto sociale.

L’intervento della Caritas Ambrosiana è sicuramente un passo in avanti
rispetto alle note posizioni ecclesiastiche e non crediamo che esse
potranno essere approvate all’interno del’attuale dottrina sociale della
chiesa. Tuttavia, si tratta di una posizione che si inserisce all’interno
di una visione caritatevole e solidaristica, tipica di alcuni orientamenti
della Chiesa di base. Non possiamo che essere d’accordo e ciò conferma i
tempi bui che stiamo vivendo. Ma non basta. E soprattutto non è presente
quella tensione culturale e di analisi sociale che intende la lotta per il
reddito incondizionato e sganciato dal lavoro alla stessa stregua, mutatis
mutandis, della lotta per incrementi dei salari sganciati dalla
produttività negli anni Settanta. In altre parola il riconoscimento che la
nostra “vita activa” è produttiva per il capitale, ma, in buona parte, non
remunerata. La lotta continua.