Il governo Monti ed il nuovo scenario politico

Pretendere l'alternativa

20 / 11 / 2011

Il nuovo governo Monti, con il benestare del “presidentissimo” Napolitano e della Bce, è dunque arrivato. Le ipotesi di elezioni anticipate, così come erano lontane nel dibattito parlamentare, sono definitivamente evaporate dopo il medesimo benestare al governo Monti da parte di tutto il centrosinistra. I distinguo o il defilarsi al novantesimo, come ci raccontano gli attivisti romani nell'ottimo editoriale La "buona fede" del Professor Monti, rischiano di essere oggi, delle mere foglie di fico.

 Intanto, con le mobilitazioni del 11.11.11 in tutta Italia, è stato fatto un tentativo di ribadire alcuni dei temi dei movimenti contro la crisi: un tentativo importante per riaffermare in primis l’esigenza della disobbedienza alla lettera della Bce ed alle politiche di austerità. La giornata del 17 novembre ha ridato animo e forza ai movimenti, nei termini della partecipazione innanzitutto riuscendo a riaprire da subito lo spazio dell’alternativa al governo dei finanzieri e delle banche. Il dibattito che attraversa oggi i movimenti prende spunto proprio da questa irreprensibile quanto indispensabile posizione. Tecnicamente le questioni sul tavolo restano le stesse: la difesa del contratto collettivo nazionale, fuori da ogni scambio con una ipotesi di sussidio di miserie in pieno stile della scuola di Chicago; i tagli agli enti locali e l'obbligo di svendita delle società partecipate che erogano servizi alla persona (trasporti, welfare, ecc.) su cui si concentrano gli articoli 4 e 5 della manovra agostana; la questione del reddito di cittadinanza come misura di redistribuzione della ricchezza davanti alla crisi; la patrimoniale e la difesa del welfare-state che la Bce impone di distruggere. Sullo sfondo l'argomento del pareggio di bilancio che non si può considerare a prescindere come un terreno della controparte, insieme ad una visione che gli istituti di credito e dei poteri forti hanno della lettera della Bce come un dogma inscalfibile.

 Se davanti a noi abbiamo un governo di unità nazionale in cui solo la Lega si dichiara fermamente all'opposizione in virtù di un calcolo tattico elettoralistico, la lettera della Bce rischia di essere un programma da approvare verso cui nessuna voce di dissenso possa manifestarsi. Dentro e fuori le istituzioni.

Dentro, perché ci pare che il biglietto da visita del governo Monti – ampiamente prevedibile già da mesi – non possa permettere a nessuno di sfuggire alla dicotomia amico/nemico. Già! Perché, se i margini di manovra sull'applicazione della ricetta della Bce sono sostanzialmente inesistenti da parte dell'esecutivo Monti, non si capisce come possa materializzarsi la prefigurazione di uno scenario diverso, futuribile, in cui si esca dal commissariamento della finanza e delle banche e si prospetti una strada di alternativa politica nel paese. Da dentro le istituzioni o si è con Monti oppure no. L'ineluttabilità della ragion di stato sul coraggio politico di affrontare la sfida della disobbedienza alla lettera della Bce, le minacce di “cacciata” dalle coalizioni da parte del Pd,  in buona sostanza propongono l’improrogabilità della scelta tra amico e nemico del modello promosso dal professore stipendiato da Goldman Sachs.

Su questo ci sembra ci sia poco da dire.

Ciò che però ci riguarda molto di più è cosa avviene fuori dalle istituzioni, nei movimenti. La difficilissima fase del post 15 ottobre ha visto in tanti, a partire da Uniti per l'alternativa, la volontà di rimboccarsi le maniche per provare ad immaginare, a partire dai temi dell'opposizione alla crisi e della costruzione di alternativa, una nuova agenda: un processo necessario per permettere al movimento di sedimentarsi. Per permettere a quelle centinaia di migliaia di persone presenti a Roma il 15 ottobre di far vivere nelle vene del paese un sentimento diffuso di rifiuto dei dettami della Bce e di indicazione di una strada diversa. Oggi abbiamo un'urgenza: quella di permettere ai movimenti di affermarsi, di permettere ai nostri temi ed alle nostre soluzioni di essere all'altezza della sfida. Se i movimenti contro la crisi ci insegnano qualcosa, al di là delle loro specifiche e territoriali declinazioni, è  che solo l'autorevolezza dei movimenti stessi può darci la possibilità di scalfire le ricette delle banche e della finanza. Ciò che avviene in Cile ci racconta addirittura di un livello di contrattazione tra istituzione e movimenti. Le nuove mobilitazioni spagnole si manifestano contro la prossima tornata elettorale che vede l'affermazione del popolare Mariano Rajoy. Il benedetto vento di occupy wall street ci racconta di un Obama che cerca nei claims, nelle pretese, degli occupy la strada per l'uscita della crisi. Qui da noi siamo ancora troppo lontani dall'affermazione di questa autorevolezza, che dovrebbe essere sostanziata soprattutto dalla partecipazione. Pensiamo che gli sforzi vadano indirizzati principalmente su questo aspetto. Sappiamo bene che i conflitti si manifestano da soli e non vengono creati “in provetta”, sappiamo anche bene che si auto-rappresentano e che non hanno bisogno di autori. Ciò che noi possiamo fare è perseverare negli sforzi, essere agit prop, stimolare i processi reali, interrogarci su come si riapre lo spazio del conflitto nel paese. Solo un tentativo anche questo, ma che risulta indispensabile per un salto di qualità più che necessario. Allo stesso modo il panorama della governance europea ci parla di un’asse, i cui fili vengono mossi dalla Bce e dalla finanza, che vede sotto lo stesso ombrello Monti, Merkel , Sarkozy, Barroso, Van Rompuy e Draghi. Per questo riteniamo indispensabile lo scenario europeo come spazio politico entro il quale muovere l’opposizione al governo delle banche e della finanza. Una governance che immaginiamo, dalle prime letture delle dichiarazioni di intenti dell’esecutivo Monti, possa essere soft, in cui accanto alla distruzione dei diritti ci sia un livellamento redistributivo dei salari e l’accorpamento delle aliquote. Meno squilibri, nessun diritto e una pressione in termini di reperimento della liquidità tutta votata a ripianare il debito senza spendere un euro su altre voci come il welfare, i servizi, la formazione, il lavoro. I soldi nostri, tutti più poveri ma uguali, per ripianare i debiti loro. Per questo non possiamo pensare che l’opposizione alla Bce possa vivere solo nel recinto degli stati nazione. Sebbene questi ultimi non hanno ancora esaurito il loro ruolo novecentesco, la dimensione europea sovranazionale resta uno spazio imprescindibile per i movimenti in termini di alfabeto rivendicativo ed in termini di individuazione delle centrali della crisi.

Abbiamo affrontato, soprattutto negli ultimi mesi, lungamente il tema del rapporto tra movimenti ed istituzioni e su come si declina l'interlocuzione con la politica. Siamo stati e siamo tra i convinti assertori di questa necessità, consapevoli che è una strada per uscire da ogni minoritarismo ed ogni rigurgito identitario e parlare finalmente ai tanti. Sappiamo però che questo è un esercizio delicato, complesso, il cui presupposto imprescindibile è proprio l'autorevolezza e la forza dei movimenti senza la quale l'interlocuzione con la politica potrebbe lasciare spazio a fenomeni assolutamente illeggibili e che poco hanno a che fare con il tema della costruzione dell'alternativa politica nel paese.

Per questo ci chiediamo oggi se non sia il caso di interrogarci sul serio su quali sono le priorità e su come si declina l'interlocuzione con la politica.

Un'interlocuzione prevede l'esistenza di due parti, almeno, che si parlano, che dialogano, che trovano punti in comune. Ma se da un lato il movimento afferma claims, indica strade, pone un solo indispensabile paletto come la disobbedienza alla Bce e dall'altro non c'è nessun tipo di risposta, forse allora questa non è propriamente un'interlocuzione ma un discorso sostanzialmente univoco. 

Questo tipo di riflessione non è speciosa ma ci sembra possa essere considerato un modello comportamentale dei movimenti. Insomma, vale per tutti. Sia per chi vuole essere il nuovo premier – del post Berlusconi e del post Monti – sia per chi invece da leader territoriale vuole tentare un salto di qualità.

Se questo processo non si concretizza è sempre possibile un tipo di interlocuzione diversa, che sia binaria e che esula dal quadro della costruzione di un percorso di ampio respiro. E’ tattico e legittimo. La vocazione maggioritaria su questo terreno ci porta invece all'assunzione di sfumature. La dicotomia amico/nemico è dirimente solo se guardiamo ad un processo reale collettivo che si interroghi sul futuro del paese.

Per questo pensiamo che la priorità di tutti e tutte, proprio in questa fase, proprio con l'avvento del governo Monti sia quella di contribuire alla crescita del movimento. Nel nostro paese rispetto a quello che avviene nel resto del mondo siamo ancora indietro ed è giusto che lo si ammetta. A cominciare appunto proprio dalla definizione dello spazio in cui si articola la dimensione del conflitto contro la Bce.

Solo costruendo un movimento autorevole, radicato, disobbediente nelle pratiche ed intelligente nel porsi come soggetto forte nel dibattito politico è possibile praticare un'interlocuzione con la politica che non sia un “piatto vuoto” ma un processo sostanziale nella costruzione di un paese diverso, pienamente fuori dal berlusconismo e fuori da ogni forma di governo della finanza e delle banche.

Davanti a noi non dobbiamo intendere la nuova fase che si apre come un blocco monolitico di misure contro cui esprimere solo un nichilistico disprezzo. I movimenti devono destrutturare la lettera della Bce. E con esso anche chi è nelle istituzioni a partire proprio da quelle degli enti locali. Disobbedire alle istituzioni finanziarie significa questo. Il pareggio di bilancio ad esempio può essere raggiunto attraverso un sistema di tassazione verticale che sia in linea con i redditi alti e che salvaguardi le fasce deboli. La patrimoniale (all’1% o al 5%?) da sola non basta, la tassazione delle rendite, quella dei capitali rientrati con lo scudo fiscale – parliamo di miliardi di euro – sono misure che fanno pagare la crisi ai ricchi. La reintroduzione dell’Ici da destinare come maxi contribuzione ai comuni non mette al riparo dalla svendita dei servizi pubblici e dai tagli agli enti locali che significano l’annullamento dello spazio di manovra della politica sui territori. Destrutturare la lettera della Bce significa contemporaneamente la valorizzazione di un modello di alternativa politica reale nel paese che si ponga come controaltare della tecnocrazia. Ed è questa chiave di lettura che non dovrà farci esitare ad esempio,davanti ad uno scambio tra distruzione del contratto collettivo nazionale ed istituzione di un sussidio per chi perde il lavoro. Nessuno scambio e nessun gioco al ribasso. Le ricette di Friedman, Van Hayek e gli altri della scuola di Chicago hanno già fatto troppi danni nel mondo negli ultimi tre decenni. Così come il paventato “contratto unico della precarietà” non potrà mai essere letto come un superamento della legge Biagi. Lo è, di fatto, ma verso un modello che afferma la desolidarizzazione ed annulla i diritti conquistati negli ultimi quattro decenni, livellando verso i basso i salari. Percepiamo la necessità di mettere le questioni in fila per provare a rimodulare la nostra azione politica davanti ad un quadro che è completamente cambiato rispetto ad appena due settimane fa.
La dimensione europea dei conflitti che è anche quella dell’affermazione dell’alternativa dal basso; la crescita dei movimenti in quello spazio a partire da un forte radicamento territoriale e nazionale; il bisogno di destrutturare la ricetta dei banchieri aprendo un cantiere concreto che costruisca mattone su mattone la piattaforma dell’alternativa; un’interlocuzione con la politica ineludibile dall’opposizione alla Bce e che ragioni fuori dagli schemi e dalle regole d’ingaggio delle alleanze classiche a fini elettorali.
Questo è l'orizzonte verso cui dobbiamo tendere.

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