In Valle di Susa si scontrano il passato e il futuro.
La mobilitazione militare di migliaia di poliziotti, di tutti i media,
di pressoché tutti i partiti e delle istituzioni locali e nazionali, di
Confindustria e di plotoni di parlatori televisivi di centro-qualcosa
non è riuscita a capovolgere la realtà: il passato è il preteso
"sviluppo", la vantata modernità del mega-tunnel che distruggerebbe la
valle; il futuro sta nelle azioni, nei progetti, nelle proposte dei
valsusini che si oppongono a questa "grande opera", i No Tav. Ieri,
sulla Repubblica, Ilvo Diamanti ha scritto, a proposito dei referendum:
«C'era nell'aria una domanda di valori... diversi da quelli propagandati
dal "pensiero unico"», e, aggiungeva, in occasione dei referendum «è
avvenuta "la scoperta del movimento"... una molteplicità di esperienze:
diverse, diffuse e articolate». Chiediamoci quale sia il movente, anzi
la cultura, che anima, in modo diffuso e articolato anch'essa, queste
esperienze. E perché risulta che nel referendum le motivazioni
"politiche", ossia dare una lezione a Berlusconi, e lo stesso quesito
sul legittimo impedimento, fossero di gran lunga meno importanti, agli
occhi di chi è andato a votare, dell'oggetto dei referendum: la tutela
dell'acqua dalla privatizzazione e il rifiuto del nucleare. Ovvero, la
ripulsa di due capisaldi di un modo - irrimediabilmente vecchio, ormai
gravemente dannoso - di guardare alla vita della società. Un modo che,
con uno stile e un linguaggio che i partiti e gli opinion maker
cominciano a scoprire solo ora, la nuova società organizzata respinge -
cambiando anche en passant i sindaci di grandi città e le percentuali di
partecipazione ai voti referendari. I beni comuni non sono
commerciabili, privatizzabili, sottoponibili alla logica inesorabile
della massima profittabilità. E per conseguire questo scopo si deve
creare una nuova forma della democrazia, dato che quella vecchia è ormai
pienamente nelle mani di chi i beni comuni vuole a tutti i costi
commerciare e privatizzare. Qui sta la frattura sempre più profonda tra i
"rappresentanti" e i cittadini.
Questo "movimento" - più che altro
un cambio progressivo di civilizzazione e di mentalità, di relazioni tra
persone e dentro le comunità - non è "nuovo". Viene ora a compimento un
processo iniziato alla fine del secolo scorso, che ha avuto le sue
tappe nell'opposizione alle guerre - quella contro la Serbia e quella
contro l'Iraq - e nelle manifestazioni come quella di Seattle, nei Forum
sociali mondiali, nello zapatismo e nell'insorgenza indigena
latinoamericana, nel grande movimento che a Genova, dieci anni fa, fu
aggredito in modo feroce. E lo fu, come ora i valsusini, perché il
potere ha perso la sua legittimità, qualcuno direbbe la sua egemonia: il
suo discorso sullo "sviluppo" che certo costa ma che frutterà
inevitabilmente benessere suona ora come una brutta favole in cui il
lupo divora l'agnello. Perché nel frattempo l'espressione "beni comuni"
si è allargata a tutta la vita della società: tale è l'acqua, tale
l'energia, ma lo è anche il suolo, quello agricolo e quello urbano, lo
sono l'aria e il paesaggio, il mutuo aiuto sociale (o welfare), bene
comune è evitare che i sottoprodotti di un modo di vivere dissennato
riempiano le strade come a Napoli, lo sono il lavoro (il buon lavoro
utile alla società) e la stessa democrazia.
Di questo rinascimento,
in fondo al tunnel di trent'anni di liberismo, ossia del capitalismo più
cinico nei confronti del contesto sociale e ambientale, i cittadini
della Val di Susa sono padri fondatori. La loro opposizione alla Tav è
iniziata vent'anni fa, e in questo periodo hanno resistito ad ogni sorta
di minaccia e di tentativi di corruzione, hanno argomentato e
conquistato non solo la partecipazione dei loro concittadini ma la
simpatia di chiunque, in Italia, si trovi alle prese con quel genere di
"sviluppo", si tratti di un'ennesima autostrada, di un rigassificatore,
di una speculazione fondiaria in città già esauste. I No Tav sono i
fratelli della «molteplicità di esperienze» di cui parla Diamanti.
Perciò nel 2005, quando le truppe di un altro ministro degli interni li
invasero, furono decine di migliaia a migrare verso l'ultima valle in
alto a sinistra, dove formarono un corteo lungo 80 mila persone e
insieme ai valsusini si ripresero Venaus. Lo facevano per se stessi, non
solo per solidarietà, e gettavano le fondamenta di quella bella casa
comune che è il solo no sancito da un voto popolare, in tutto il mondo,
al furto dell'acqua.
Ora risulta che la valle sia bloccata, che gli
operai - chiamati dalla Fiom - siano in sciopero. Nonostante la
conquista della Maddalena e il ridicolo atteggiamento da "veni, vidi,
vici" di Maroni, quello che "fa casino" nella Lega nord. Sanno anche
loro, Fassino, Marcegaglia e il capo della polizia ferroviaria di
Torino, Spartaco Mortola, condannato per la "mattanza" alla Diaz e
quindi promosso, che non si può fare un tunnel di quel genere contro
un'intera popolazione. Vogliono solo mettere le mani su un po' di soldi
europei e aprire un cantiere, fare qualche buco per terra e battersi il
petto come gorilla soddisfatti. Lo stesso Castelli, quello che da
ministro della giustizia visitò nel 2001 la caserma di Bolzaneto mentre i
ragazzi venivano torturati, e non notò nulla di strano, e che ora dice
che gli argomenti dei No Tav sono "tutte balle" (è il loro stile), ha
dovuto ammettere, da viceministro alle infrastrutture, che il
mega-tunnel è del tutto inutile, ai fini del traffico ferroviario, che
piuttosto diminuisce. Ma sappiamo che è molto utile a imprese, a
politici, alla mafia, ad arraffare denaro. E a spezzare le reni,
colpendo i valsusini, a quelli che in tutto il paese pretendono di fare
politica a modo loro, ad esempio umiliando la Lega a casa sua, a Milano.
Non
sappiamo cosa decideranno di fare adesso i valsusini. Se chiameranno a
una manifestazione, è probabile che sarà anche più grande di quella del
2005. Ma sarebbe un grande segnale se, come nel 2003 milioni di balconi
furono decorati con i colori della pace, e come in primavera molte
finestre esposero la bandiera blu dell'acqua, ora si producessero,
distribuissero ed esponessero ovunque le bandiere bianche con la scritta
rossa "No Tav", come si vede da anni in Val di Susa. È un'idea come
un'altra: la fantasia non manca di sicuro, al movimento dei beni comuni.
Un movimento "comune"
di Pierluigi Sullo
28 / 6 / 2011
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