Venezia - Respingiamo Maroni

La polizia carica manifestanti autorizzati in centro a Venezia perché Maroni non vuole tre manichini di carta pesta.

24 / 11 / 2009

Una donna incinta, un bambino e un padre, il più alto misura un metro e venti.  Una famiglia di carta pesta è stato il motivo dell'attacco della polizia di Venezia sui corpi di 50 manifestanti di "Venezia respinge il razzismo" che stamattina hanno preso parte ad una manifestazione autorizzata al Ponte dell'Accademia.

Da una settimana, una volta venuti a conoscenza della riunione Cimo all'isola di San Servolo, le associazioni veneziane che confluiscono in questa rete antirazzista avevano chiesto l'autorizzazione ad esprimere il loro pacifico dissenso. Un presidio a terra e poi una barca, una soltanto, che portasse in mare dei manichini di carta a simboleggiare le migliaia di morti senza nome che negli ultimi anni hanno reso il Mediterraneo un immenso cimitero d'acqua.

Il vertice Cimo, infatti, vede allo stesso tavolo alcuni tra i principali Mnistri dell'interno dell'area del mediterraneo occidentale impegnati in quello che loro definiscono "contrasto all'immigrazione clandestina" e che di fatto si trasforma in una guerra spietata contro persone che per la quasi totalità (come dimostrano le stime dell'Acnur) sono profughi in cerca di asilo da guerre e persecuzioni. Politiche migratorie violentissime, le stesse che prescrivono i respingimenti verso le torture, le deportazioni e le carceri  libiche, tre delle quali sono direttamente finanziate dall'Italia e le cui condizioni disumane sono state denunciate negli anni da rapporti autorevoli come quelli di Human Rights Watch e di Amnesty International.

Politiche migratorie che perseguono il salvataggio in mare, arrivando a condannare i pescatori tunisini che due anni fa hanno "commesso il reato" di trarre in salvo sulle loro barche decine di persone che stavano affogando.

Politiche migratorie colpevoli, interamente colpevoli, rispetto a tragedie come quella dell'agosto del 2009, quando 73 eritrei, tra cui quattro donne incinte, sono morti di fame e di stenti sotto gli occhi consapevoli dei governi seduti in questi giorni a San Servolo a discutere di "sicurezza". 

Quelle donne incinte, i loro figli nati morti e tutti gli altri cadaveri: erano loro che oggi le associazioni di Venezia volevano ricordare, per dire al ministro italiano e a tutti gli altri che il razzismo, anche e soprattutto quello istituzionale, non ha cittadinanza a Venezia, una città storicamente aperta, libera, solidale.

Con le bandiere del leone di San Marco, nuovo simbolo di antirazzismo sottratto alla Lega Nord che se ne è appropriata falsificando la sua storia e il suo significato, le associazioni hanno proposto una forma di dissenso pacifica e creativa. E tutto era autorizzato fino a ieri sera alle sette. a quell'ora, infatti, chi aveva chiesto l'autorizzazione è stato riconvocato d'urgenza in questura per sentirsi dire che le cose erano cambiate, che il Ministro degli Interni, in modo perentorio, diretto e insindacabile, aveva vietato la parte acquea della manifestazione. Ok, niente barca, niente bacino, ma il presidio sì, con le concordate forme pacifiche e creative.
Questi gli accordi presi fino alla sera prima.

Ma stamattina all'Accademia la polizia era di altro avviso: "se tirate fuori i manichini dobbiamo intervenire" dice subito il dirigente Digos, mentre degli "inviati" romani, mandati direttamente dal Ministero, restano ai margini a controllare, a valutare anzi, la condotta dei loro colleghi della Questura di Venezia, visibilmente imbarazzati di fronte ad ordini così ingiustificabili: caricare una manifestazioni autorizzata perché a Maroni danno fastidio tre manichini di cartapesta e tutto quello che possono evocare e rappresentare.

I manifestanti, società civile di tutte le età, a volto completamente scoperto, signore e studenti, con le mani alzate, si ritrovano nella grottesca, incredibile situazione di dovere difendere coi loro corpi dei manichini di carta.

La polizia si avvicina, schiaccia i manifestanti dopo averli circondati da tutti i lati. Si cerca di impedire che le telecamere della Rai e i giornalisti locali possano filmare o fotografare i tre manichini. Tanto fastidio danno questi simboli di dissenso e solidarietà, di "pietas" e di denuncia.

La polizia si avvicina, hanno l'ordine chiaro di caricare. Alzano i manganelli, si mettono i caschi, schiacciano i corpi dei manifestanti con i loro scudi. parte qualche colpo, viene strappato il microfono a chi stava denunciando questo ingiustificabile attacco alla democrazia, alla libertà di pensiero e parola.

Ma la parte coraggiosa e civile di una Venezia che difende i suoi veri valori riesce a mostrare cosa significa veramente disobbedire a delle imposizioni ingiustificabili. Troppi giornalisti esterrefatti, troppa gente che si ferma in solidarietà vedendo quella violenza scagliarsi addosso a una manifestazione del genere.

La polizia deve allontanarsi, il microfono torna in mano a chi sta conducendo questa battaglia di civiltà. I manichini vengono salvati e fotografati. Solo uno, il papà, è stato "arrestato", forse per reato di immigrazione clandestina commesso da un cadavere di carta pesta.
Alla fine sono i manifestanti stessi a consegnare alla polizia i manichini: li volevate tanto? Noi adesso, decidiamo di consegnarveli. Questo è un bambino morto di fame, freddo e disidratazione il 10 agosto del 2009, su una barca, sotto gli occhi del Ministro che voi oggi avete difeso anche a costo di mettervi contro le più elementari norme di democrazia di questo paese alla deriva.

Venezia ha vinto, e il leone di San marco di una città liberata ha sventolato a lungo dal Ponte dell'Accademia. Quel che è accaduto, però, resta un precedente inaccettabile e pericoloso, che deve richiamare la coscienza di tutti. è in ballo davvero la nostra sicurezza, la sicurezza e la libertà di cittadini che vogliono vivere in una città solidale e democratica.

Maroni non venga più, da Roma, a imporre il suo razzismo e la sua repressione. 

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