Analfabeti di civiltà

18 / 1 / 2011

Nel 2004, all’epoca dell’appello contro la richiesta di estradizione di Cesare Battisti dalla Francia, mi sono informato su questo caso che prima conoscevo poco. Ne ho ricavato la convinzione che su un singolo uomo siano state rovesciate addosso le responsabilità dell’intero gruppo terroristico di cui faceva parte. Come tutti sanno, i benefici concessi ai cosiddetti “pentiti” rendevano conveniente accusare gli ex compagni per ottenere sconti di pena. È ciò che ritengo sia accaduto nei processi a carico di Cesare Battisti. È intricato ricostruirli, e non ha senso riassumerli in poche righe. Su alcuni di essi gravano altre ombre, come il sospetto ricorso alla tortura in fase istruttoria e l’uso di testimoni con turbe mentali. Ma in sostanza, le condanne che riguardano Battisti sono basate prevalentemente sulle accuse di un pentito di incerta attendibilità, che una sentenza di Cassazione ha definito “specialista nei giochi di prestigio” nell’accusare i suoi complici, e che “utilizza l’arma della menzogna anche a proprio favore”. Per una prima informazione, invito i lettori a digitare su google “faq Battisti”: vi si trovano tutte le “frequently asked question”, con le risposte alle domande più frequenti su questo caso.

Ci sono non pochi elementi per dubitare della colpevolezza di Battisti. Questo, in coscienza, mi ha spinto a firmare quell’appello. La mia convinzione è immutata, perciò non vedo perché dovrei ritirare la mia firma, a sette anni di distanza. Non lo farò né per conformismo, né perché conviene alla mia carriera di autore, né perché i miei libri vengono tolti dalle biblioteche. Mi sono messo dalla parte delle vittime, dei parenti sopravvissuti e delle persone rimaste menomate per sempre. Ho guardato a quei crimini dal loro punto di vista, e ho pensato che dobbiamo alle vittime la verità, non un mostro di comodo a cui addossare tutti i mali. Io credo che con Battisti la giustizia italiana non sia stata equa all’epoca dei processi, e non lo siano i media italiani oggi: questo significa anche essere iniqui verso le vittime. Io penso questo, ne sono convinto, ho il diritto di affermarlo pubblicamente e me ne assumo la responsabilità.

Due paesi amicissimi dell’Italia, non certo due dittature, la Francia e il Brasile, hanno esaminato il caso di quest’uomo e hanno ritenuto che la nostra giustizia non sia stata equanime nei suoi confronti. Inoltre, non sfugge a nessuno che questa causa non sia popolare né conveniente per chi la sostiene. Autori anche molto noti, che potrebbero starsene in pace a godersi il loro successo di pubblico e copie vendute, vanno controcorrente rispetto alla quasi unanime maggioranza dei media e dei partiti politici, esponendosi senza esitazione a un “danno d’immagine”, e ora anche a censura istituzionale. Non va chiamato infatti “boicottaggio”, perché il boicottaggio è una legittima obiezione civile spontanea, non la direttiva di un assessorato, che adombra anche un subdolo ricatto professionale verso i dipendenti pubblici, i bibliotecari, e politico verso i Comuni (“ogni Comune potrà agire come crede, ma dovrà assumersene le responsabilità”, scrive l’assessore). Sostenere le proprie convinzioni costa, lo sapevo da sempre. Certo, non immaginavo che la mia terra sarebbe finita per essere governata da assessori stalinisti censori, che si trovano a rappresentare la Cultura in una delle provincie storicamente più prestigiose d’Italia, dimostrando di non conoscere nemmeno le regole elementari della libertà di pensiero e di espressione. D’altronde, comincio a non stupirmi più di nulla, dopo che mi è toccato sentire sindaci che proponevano di travestire da leprotti gli immigrati e sparargli addosso, infamando e facendo torto a noi Veneti di oggi e di ieri, compreso il piccolo paese dei miei nonni, che fu il primo, con generosità e carità cristiana, ad accogliere i boat people vietnamiti. Non mi stupisco più, ma non mi abituo. È per me avvilente leggere oggi che “dalla provincia di Venezia”, la mia provincia, “parte il rogo dei libri”. Cari concittadini Veneti, abbiamo conferme quasi quotidiane di essere governati da insipienti che si ritrovano fra le mani istituzioni, poteri e tradizioni più grandi di loro e della loro piccineria, ignoranza e grettezza. Con le loro azioni danno prova di non sapere che cosa sia né la Dichiarazione universale dei diritti umani né il Vangelo. Questa è la terra di Tintoretto, di Vivaldi, di Goldoni e di Giovanni XXIII. È triste che lo sia anche di Raffaele Speranzon.

Tiziano Scarpa sulla proposta Speranzon