Ancona - In 500 in piazza per Alessio libero

Nel capoluogo dorico la manifestazione contro la repressione giudiziaria e per l'immediata liberazione di Alessio Abram

13 / 12 / 2015

Cinquecento persone sabato pomeriggio sono sfilate per il centro di Ancona per chiedere con forza la liberazione di Alessio, da un mese in carcere per un’assurda questione di alcune firme non messe nell’arco di quindici anni circa, in relazione ad un provvedimento di Daspo. In realtà colpito da chi ha voluto  imprigionare un compagno da sempre impegnato in vari ambiti nel sociale.

E questi ambiti sono stati tutti presenti al corteo di ieri: i ragazzini (e loro famigliari) di Ancona Respect, che aprivano con lo striscione la manifestazione,  la scuola calcio promossa alcuni anni fa da Alessio, dove ancora prima di insegnare la basi del football i giovanissimi imparano appunto il rispetto, i valori di solidarietà, antirazzismo, in un mondo sportivo sempre più incentrato sul business. A seguire i giocatori della squadra dilettanti impegnata quest’anno nella seconda categoria,  ragazzi immigrati, un progetto nato come conseguenza del Mundialito antirazzista che da quindici anni d’estate vede protagonisti i team delle varie comunità presenti ad Ancona.

Un’idea di Alessio diventata un punto di riferimento a livello nazionale per chi crede nello sport come strumento di inclusione  e partecipazione. Poi i compagni dei centri sociali da sempre circuito dove milita il nostro fratello, insieme a delegazioni delle polisportive e palestre popolari provenienti da Padova, Vicenza, Bologna, Rimini, Teramo, Cosenza - insieme a quelle marchigiane da Fano a Macerata passando per Jesi. Realtà quest’ultime che hanno visto negli ultimi anni l’Assata Shakur come modello e che, in alcuni casi, sono nate anche grazie al contributo di Alessio. E ancora altre componenti di movimento come gli anarchici e compagni della sinistra. A chiudere gli Ultras dell’Ancona di cui è stata gradita l’adesione.

Ma al di là di questo aspetto l’importante è che ieri si siano valorizzate le varie diversità che compongono il mondo di Alessio, soggettività che non accettano la logica repressiva che si è esplicitata il 13 novembre.

Ma ieri era anche una data simbolo per molte generazioni di militanti. Il 12 dicembre è l’anniversario della Strage di Piazza Fontana. La Strage di Stato per antonomasia e da dove tutto ebbe inizio. Cioè quella strategia, allora definita della tensione, che ha avuto da sempre, anche con il passare degli anni e i profondi e radicali mutamenti avvenuti in Italia e in tutto il mondo, l’obbiettivo di colpire chi si oppone al potere e ad un capitalismo che negli ultimi decenni ha fatto cadere la sua maschera “riformista,” per tornare alle sue origini; quelle dello sfruttamento più becero in cui la forza lavoro, in tutte le sue articolazioni e le varie dimensioni,  è trattata in modo schiavistico e umiliata nella sua dignità, calpestando diritti e spazi di libertà conquistati con la dura lotta. Ed è anche contro tutto questo che ieri abbaiamo manifestato. Perché la battaglia per liberare Alessio è fortemente simbolica, al di là della terribile concretezza riguardante l’aberrante carcerazione, di uno stato di cose inaccettabile, rispetto al quale è necessaria la massima partecipazione dispiegando una conflittualità,  forme di resistenza, progetti di autogestione sociale  che partano dai territori.

E infine la detenzione di Alessio ci ricorda come le nostre carceri siano popolate da una moltitudine  vittima di leggi  criminogene e infami a cui sono sottratti diritti, libertà, dignità. Un universo spesso dimenticato di fronte al quale invece è necessaria la massima solidarietà e un impegno per cambiare profondamente un sistema penitenziario diventato oggi una discarica sociale.

Centro Sociale Asilo Politico

Polisportiva Assata Shakur

Scuola Calcio Ancona Respect

Obiezione al Daspo, Ancona in piazza per la libertà di Alessio

Quando un amico finisce in carcere, te ne rimane scolpita negli occhi l’immagine pietrificata in una posa rigida. Facendo i dovuti scongiuri, è un po’ come quando muore una persona cara. Ne avverti la mancanza e ti ritagli nella mente scampoli dell’esistenza sua. Ma tutte le volte che provi a immaginarla mobile, la ritrovi statuaria, statica, bloccata. È un corpo oggettivato, un fotogramma fisso, degno di un profilo social abbandonato.

Ora Alessio è rinchiuso dietro le sbarre di una galera. Ripensare a lui significa ripescare un’immagine che lo ritrae in un gesto plastico, proteso verso l’alto, aggrappato a una palma sulla spiaggia della riviera maya, le braccia possenti avvinghiate a un tronco nel tentativo di arraffare una noce di cocco. Alessio sfida la resistenza del frutto e la legge di gravità. Tenta di andare al di là dei limiti imposti dal contesto.

Cinque anni di carcere per non essersi presentato sette volte in questura a firmare: il Daspo comminato all’ultrà anconetano Alessio Abram, cioè il divieto di assistere alle partite di calcio, è un provvedimento adottato decine di migliaia di volte negli ultimi tre decenni dalla polizia politica italiana. All’inizio lo imponevano a chi partecipava ai tafferugli fuori e dentro gli stadi. Dalla fine del secolo scorso la Digos lo distribuisce a cascata. Il Daspo è diventato un marchio, un dispettuccio di Stato, una soluzione comoda per mille situazioni diverse. È stato addirittura coniato un nuovo verbo: daspare. Così si daspano le persone perché indossano una maglietta ritenuta sediziosa, accendono un fumogeno, intonano cori sgraditi o si siedono sul seggiolino sbagliato in gradinata. Spesso le questure daspano i soggetti per semplice antipatia o perché in passato si sono resi protagonisti di azioni delittuose intorno agli eventi calcistici. Forme analoghe di limitazione preventiva della libertà sono applicate ai danni degli attivisti delle lotte sociali e ambientali. Succede con gli occupanti di case e i partecipanti ai cortei.

Ancona ha dato vita a una manifestazione di indignazione e affetto popolare, questa sera, invocando libertà per questo suo figlio.

Oltre a essere supporter dell’Ancona, Alessio è attivista dei movimenti sociali. È stata questa sua duplice natura a spingere le autorità a usare la mano pesantissima nei suoi confronti. Spesso nemmeno i mafiosi, i violenti contro donne e bambini o i peggiori corrotti scontano pene di tale entità. Ma la vera autocondanna Alessio se l’è comminata quando si è messo in testa, una decina di anni fa, di andare al di là della crisi del fenomeno ultrà. Come migliaia di tanti altri curvaioli, ha deciso di impegnare tempo ed energie nello sport popolare, fondando una polisportiva, l’Assata Shakur, che ha coinvolto centinaia di migranti, bambini e ragazzi dei quartieri periferici della città.

Questa scelta la Digos proprio non gliel’ha perdonata. E non ha tollerato la sua ribellione silenziosa al Daspo, un’obiezione di coscienza che lo ha portato a ignorare più volte l’assurda costrizione dell’obbligo di firma in questura. Quattro anni fa lo avevano già arrestato:

http://www.inviatodanessuno.it/?p=1113

Anche dietro quelle manette c’era un chiaro messaggio politico, un monito per tutti: nel recinto in cui viviamo e siamo rinchiusi, a nessun animale umano è consentito slegarsi dalla propria catena e calare il pensiero nelle azioni. Ma soprattutto, è vietato a chiunque cercare di andare al di là.

Claudio Dionesalvi 12.12.2015

Alvise, Sport alla Rovescia

Nicola, Centri Sociali Marche

Francesco, Spazio Autogestito Arvultura

Claudio Dionesalvi