Ape - La previdenza per banche ed assicurazioni

15 / 10 / 2016

Dopo mesi di annunci ed incertezze, entra in questi giorni nel vivo il dibattito sull’Anticipo pensionistico, che Renzi e Poletti hanno già ribattezzato da tempo Ape. Al di là della facile ironia che l’acronimo potrebbe suggerire, la possibilità per i lavoratori e le lavoratrici di uscire anticipatamente dalla sfera occupazionale è stata inserita dal governo all’interno di una serie di misure che andranno a mutare profondamente il sistema previdenziale italiano. Misure che sono state discusse il 28 settembre in uno specifico tavolo di lavoro tra il governo, rappresentato dal ministro Giuliano Poletti e dal sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Tommaso Nannicini, ed i segretari delle organizzazioni sindacali confederali.

L’Ape, che dal maggio del 2017 avvierà una fase sperimentale di due anni, consentirà a chi abbia compiuto 63 anni e sia distante meno di 3 anni e 7 mesi dall' età di vecchiaia prevista dalla “riforma Fornero”, di lasciare il lavoro in anticipo accedendo ad un prestito pensionistico. L'operazione sarà attuata con prestiti da parte di banche e assicurazioni, erogati attraverso l'Inps, che dovranno poi essere restituiti attraverso un prelievo ventennale dalla pensione degli interessati, con rate mensili  di ammortamento che possono arrivare fino al 25% dell’importo.

Uno dei temi che è stato finora al centro della discussione è quello dell’anticipazione agevolata, altrimenti detto “Ape social”, che garantirà ad alcune fasce di “pensionati anticipati” nel coprire gli interessi del rientro dal prestito, grazie ad uno stanziamento pubblico. Il tavolo del 28 settembre non ha stabilito quale sia la soglia di reddito al di sotto della quale si attivi l’Ape social, ma solamente quali siano le categorie agevolate, ossia disoccupati, disabili e alcune tipologie di lavoratori impegnati in attività faticose (comprese maestre, edili, macchinisti e autisti di mezzi pesanti). Nel corso dell’incontro tecnico del 14 ottobre, che ha visto protagonisti sempre governo e sindacati, è stata abbozzata la proposta che la soglia di reddito venga fissata a 1.350 euro mensili[1] e che la possibilità di accedere all’Ape social abbia come condizione l’aver versato almeno 36 anni di contributi complessivi, se si rientra nelle categorie dei lavori gravosi, e 30 anni se si è disoccupati, disabili o parenti di primo grado conviventi di disabili per lavoro di cura.

Nonostante la proposta non convinca a pieno la parte sindacale, è piuttosto plausibile che il governo vada avanti, preso dalla stretta di dover inserire nella prossima legge di Stabilità circa 1,5-1,6 miliardi di euro[2] che il ministro Poletti ha previsto per gli interventi previdenziali. Il nodo che rimane ancora tutto aperto è legato all’ammontare degli interessi che accompagneranno le rate individuali di rientro dal mutuo. Probabilmente la questione verrà rimandata e discussa in specifici tavoli tecnici in una fase successiva al varo della riforma. Emerge ancora una volta l’attitudine di questo governo a stralciare le questioni politiche più spinose dal dibattito pubblico, consegnandole ai meandri oscuri e glaciali della tecnocrazia.

Sarebbe però errato rincorrere governo e sindacati confederali solamente sui dati tecnici di uno dei capisaldi della riforma previdenziale. L’Anticipo pensionistico agisce in senso sistemico all’interno del quadro pensionistico nazionale perché, per la prima volta, ne rende attivamente partecipi gli istituti bancari e quelli assicurativi. La sussunzione, da parte del capitale finanziario, di quote sempre più elevate di reddito e di salario è affare di vecchia data. I dispositivi che regolano l’indebitamento, privato e pubblico, sono divenuti addirittura fondativi di una nuova relazione tra capitale e bios e di nuovi assetti di potere, negli anni della crisi globale. Non stupisce dunque che le banche e le assicurazioni amplino la propria capacità di estrarre rendita all’interno del ciclo di vita di un individuo. Quello che deve destare maggiore attenzione è il fatto che i meccanismi di finanziarizzazione vengano normati e codificati nell’ordinamento legislativo di un Paese che, a differenza di quelli anglosassoni, ha una tradizione previdenziale fortemente ancorata alla dimensione pubblica.

L’Ape rompe questa tradizione e, cosa ancor più preoccupante, genera strumenti di indebitamento sia privati che pubblici. Sui primi c’è poco da aggiungere, visto che le rate di rientro dal prestito garantiscono alla banche un gettito continuo di entrate che, come abbiamo visto, segnano per 20 anni la vita del pensionato. A questi costi subentrano quelli assicurativi che, come accade per altri mutui, tutelano le banche in caso di sua morte del contraente. Rispetto all’indebitamento pubblico questo è direttamente collegato alla quota di interessi che lo Stato si assume di corrispondere agli istituti creditizi per le rate di rientro di pensionati che usufruiscono dell’Ape social. La cifra di copertura prevista per questa operazione (come già detto, circa 1,5-1,6 miliardi di euro), erode la già modesta capacità di spesa pubblica in altri settori, andando a saturare le uscite statali già imbrigliate dai vincoli europei di stabilità.

Istituti bancari e società assicurative andranno a spartirsi un gruzzoletto cospicuo e, soprattutto, continuativo e sicuro. L’Inps e lo Stato hanno infatti offerto le garanzie per tutti gli eventuali rischi di insolvibilità, riducendo a zero la possibilità per le banche di avere perdite. Persistenza e solidità di entrate sono due caratteristiche che potrebbero, almeno all’apparenza, risollevare le sorti del sistema bancario nel ranking finanziario globale, dopo mesi di sofferenze e bocciature.

Come ci ha ormai abituati da oltre due anni e mezzo, è lo stesso Premier a salutare la riforma con toni trionfalistici, appellandosi alla modernizzazione del Paese ed annunciando lo sblocco per migliaia di assunzioni, in seguito all’entrata in vigore dei provvedimenti. La verità è che un tema realmente sentito come quello della flessibilità in uscita, specie dopo i disastri della riforma Fornero, è stato affrontato nel peggiore dei modi e che, dopo il decreto “Salva-banche” il governo Renzi concede l’ennesimo regalo all’apparato creditizio.



[1] Dopo che scrivevamo, in sede di presentazione della legge di bilancio, il ministro Poletti ha annunciato che la soglia minima è stata ampliata a 1.500 euro

[2] Nella legge di bilancio la quota è stata aumentata a 1,9 miliardi, a fronte di uno stanziamento triennale per le pensioni pari a 7 miliardi di euro