Ultras così appassionati e organizzati (gli «arditi») non si sono mai visti su un campetto di terza categoria, ultimo gradino della categoria dilettanti, oltre il quale ci sono solo le partite tra scapoli e ammogliati. Bandiere, fumogeni, slogan e striscioni, perfino una linea di t-shirt e sciarpe per sottolineare più di una semplice appartenza: chi preferisce l’Ardita San Paolo alle più blasonate Roma e Lazio, e persino all’emergente Lupa Roma, lo fa perché quella squadra è anche un po’ sua.
Verso la mezzora del primo tempo, il raid, premeditato, fulmineo, organizzato nei minimi dettagli. «Sono arrivati con una decina di macchine, armati di spranghe e manici di piccone, con il volto coperto, sono scesi e hanno cominciato a picchiare», racconta chi c’era. L’azione è stata fulminea, diretta ai tifosi e non ai giocatori, che non sono stati toccati dalla furia squadrista. Sono bastati pochi minuti per lasciare sul terreno sei feriti, uno più grave con un braccio rotto in più punti, e fuggire prima che arrivassero le forze dell’ordine.
II giorno dopo, ieri, sono arrivati gli arresti per nove estremisti di destra del viterbese, grazie alla targa di un’auto ritrovata: sono stati ritrovati passamontagna, bastoni, taglierini, caschi e guanti.
La violenza di cui sono stati vittime ha aperto gli occhi ai soci-tifosi dell’Ardita. «Ci siamo resi conto che siamo un pericolo reale, perché attraverso il calcio facciamo, indirettamente, formazione sociale e politica», afferma Giulio Paparella, che è responsabile dell’azionariato popolare: chi vuole partecipare paga una quota annuale (si va dai 25 ai 50 euro), partecipa alle assemblee ed elegge i dirigenti. «E’ un modello partecipativo che spaventa perché, in questa società sempre più individualistica, noi riusciamo a far partecipare tanti giovani, per la prima volta nella loro vita, a un progetto collettivo», spiega. Nonostante ci tengano a sottolineare che non fanno politica («il nostro è in primis un altro modello di sport, ed è questo che hanno voluto colpire»), quest’ultima è nei fatti: un collettivo di giocatori e tifosi che si propongono di rifondare il calcio su basi diverse, solidaristiche e partecipative. È questa l’utopia dell’Ardita.
Ma nemmeno loro credevano di dare così tanto fastidio da meritarsi una spedizione punitiva in piena regola. Il giorno dopo, ci riflettono su. I dirigenti sono convinti di aver intaccato «il monopolio dell’estrema destra nella gestione dello sport sociale e degli affari collegati ad esso», e l’aggressione di Magliano Romano potrebbe essere una ritorsione contro l’invasione di campo, un modo per segnare un confine invalicabile e far sapere che chi lo oltrepassa rischia grosso.
Però gli «hammers» romani non si spaventano e rilanciano: «Vogliamo arrivare ai massimi livelli del dilettantismo e, perché no, anche al professionismo». Sarebbe più che una rifondazione del calcio. Una rivoluzione.