Basta con i soprusi e le violenze della polizia

14 / 4 / 2014

Ci sono vari modi di parlare della manifestazione del 12 aprile. Quello dei movimenti, di chi è e fa movimento, e quello di chi, pur non essendo direttamente coinvolto negli accadimenti, lo è in quello che implicano in termini generali. Ora a me pare, e mi rivolgo a quella sinistra che non si rassegna alla cancellazione progressiva della democrazia e anche alla lista Tsipras, facendone parte, che una cosa su tutte, intanto, bisogna dire con forza: basta con i soprusi e le violenze della polizia. Non è uno slogan facile e vuoto. E’ parte di quella riflessione sulla deriva autoritaria che ci consegna il nostro tempo, e che ha come effetto materiale anche quello di un utilizzo, in tutta europa, di polizie contro chi manifesta, polizie che tendono sempre più a ricoprire il ruolo di “esercito urbano”, per metodi d’ingaggio, prerogative, violenza sui fermati, che diventano “prigionieri non convenzionali”, e dunque trattati al di fuori della Costituzione e nemmeno secondo la Convenzione di Ginevra. Il limbo extra legem nel quale si muove la gestione poliziesca della piazza, ricalca quello in vigore nelle operazioni di guerra contemporanee, anche se a parti rovesciate: nelle guerre contemporanee l’esercito diventa polizia, e “operazioni di polizia internazionale” sono definiti bombardamenti e occupazioni militari di intere regioni del mondo. In entrambe i casi la torsione funzionale, da polizia a esercito, da esercito a polizia, consente di non rispettare nessuna convenzione formale. Se in piazza tutti i manifestanti sono potenzialmente “prigionieri non convenzionali”, e quindi è la loro punizione fisica e morale l’obiettivo, e non la protezione o la gestione come vorrebbe la costituzione, nelle “missioni di pace” i “nemici” non sono soldati ma “insorgenti”, “terroristi”, dunque combattenti non convenzionali, di modo che nessun trattato o tribunale possa mai garantirne i diritti. Tornando alla polizia, a Roma, per l’ennesima volta, ci troviamo a vedere pestaggi di gente inerme a terra, umiliazioni, violenze portate a persone con le mani alzate e oggettivamente innocue, da parte di agenti che innanzitutto godono di assoluto anonimato: nessun numero identificativo, nessun segno di riconoscimento personale. Questo status provoca almeno due effetti: il primo è che nessun cittadino, operatore dell’informazione o istituzione, può velocemente attribuire un nome ed un cognome a chi sta evidentemente accanendosi sui manifestanti “in quanto tali”, e non perché sono pericolosi per l’ordine e la sicurezza. Il secondo è che se un tribunale volesse mai farlo, ma accade di rado a differenza della solerzia usata nei confronti di chi protesta, troverebbe grandissime difficoltà ad accertare l’identità degli agenti, anche perché l’omertà degli altri, dall’ultimo celerino al primo dirigente, farebbe muro. Vi è infine un messaggio più generale e potente che in questi anni i governi e i parlamenti hanno mandato alle forze dell’ordine, rifiutandosi anche solo di mettere in discussione il tema dei numeri identificativi sui caschi e in generale, sugli agenti: è quello dell’impunità, della copertura “politica” delle violenze “extra legem”. Anche qui si possono individuare almeno due ragioni: ogni governo ha bisogno della polizia, non solo per gestire l’ordine pubblico in generale, ma per gestire eventuali conflitti sociali che esplodono in seguito a situazione economica, a diseguaglianza, a impoverimento, e poi che la lobby dell’apparato poliziesco, delle forze armate, dei carabinieri, è sempre fortissima, e nulla si muove che ella non voglia. Tornando al 12 aprile, cosa dunque dovrebbe accadere in un panorama europeo che vede 30 milioni di disoccupati, 120 milioni di cittadini a rischio povertà, 43 milioni che non hanno cibo a sufficienza? Oppure che dovrebbe succedere se non tensione sociale, conflitti, esplosioni di rabbia nei confronti di politiche che hanno prodotto nel continente 4 milioni di senza casa a fronte di 11 milioni di case vuote, di cui 2,7 milioni solo in Italia? La politica della casa del Governo Renzi è stata subito inaugurata con il decreto Lupi, e quell’articolo 5 contro la pratica, civile e positiva in mezzo a tanta ingiustizia, dell’occupazione di case vuote: tagliare luce, acqua, gas e negare la residenza agli occupanti, ecco la volontà di dialogo del Governo! E che dire del Jobacts, che come risposta al dramma della precarietà, non trova di meglio che proporla come unica prospettiva a milioni di giovani! Insomma questi numeri, oltre a quelli che non troviamo ancora sui caschi dei poliziotti scatenati per reprimere, non per gestire, legittime proteste, sono importanti e danno anche la misura di cosa sia la violenza, quella vera.