Bloody Money. Il valore sociale dell'inchiesta che attacca l'«oscura terra di mezzo».

Report dell'incontro "Bloody Money: l'inchiesta di Fanpage arriva a Marghera", svoltosi il 9 marzo al centro sociale Rivolta, con Antonio Musella (reporter di Fanpage.it) e Gianfranco Bettin (presidente della Municipalità di Marghera).

12 / 3 / 2018

Con un’inchiesta giornalistica sono riusciti a fare quello nessuno è riuscito a fare prima. Portare in piena luce un sistema, tanto nascosto quanto consolidato, di intrecci tra mafia e Stato, tra imprenditoria e politica che sta alla base delle cosiddette ecomafie. Un sistema corrotto e corruttore che troviamo alla base tanto della gestione dei rifiuti quanto delle grandi opere, come il Mose o le bonifiche. Una «oscura terra di mezzo», come l'hanno definita loro, dove l'ambiente e la salute sono merci da vendere e comprare.

Stiamo parlando dei reporter del giornale on line Fanpage e della loro inchiesta in sette puntate Bloody Money, denaro insanguinato. Partiti dalla Campania e dalle speculazioni assassine perpetrate nella Terra dei Fuochi, i giornalisti di FanPage, nella quarta puntata, l'ultima pubblicata, sono arrivati nel Veneto, e precisamente a Porto Marghera.

 

Ed è proprio qui, al centro sociale Rivolta che, venerdì 9 marzo, incontriamo Antonio Musella, videoreporter di Fanpage e uno degli autori dell'inchiesta, in occasione di un’iniziativa pubblica. A questa ha partecipato anche un altro personaggio che da sempre si è speso nelle denunce e nella lotta al malaffare che, oggi come ieri, ruota attorno alle bonifiche e alla salvaguardia della Laguna, Gianfranco Bettin, attuale presidente della municipalità.

 

Come è nata questa inchiesta?

 

Antonio Musella - Tutto parte da una collaborazione che Fanpage ha avviato con il pentito Nunzio Perrella, un boss della camorra che potremmo definire come l'inventore delle ecomafie. Lo stesso ex procuratore antimafia Franco Roberti lo ha utilizzato per fare luce su tante inchieste. Noi ci siamo letti le carte procedurali e abbiamo deciso di dare fiducia a questo pentito. La prova che non fosse un millantatore ce l'ha data lui stesso quando ci ha portato in un campo vicino a Ferrara raccontandoci che in quel luogo era stato smaltito illegalmente una grossa quantità di amianto. Noi abbiamo preso le pale e abbiamo scavato sino a trovare i rifiuti tossici. Abbiamo avuto la prova, quindi, che Perrella diceva la verità e gli abbiamo posto questa domanda: cosa farebbe oggi se volesse tornare in attività? Lo abbiamo quindi seguito per tutta Italia con una telecamera nascosta mentre riprendeva contatto con i suoi vecchi intermediari con una facilità che ci ha lasciato allibiti. Si è fatto avanti di tutto: eserciti di faccendieri, politici corrotti, mafiosi, imprenditori interessati solo al guadagno, burocrati venduti.

 

Le critiche al modus operandi.

 

Antonio Musella - Ci hanno accusato di usare metodi non consoni come l'agente provocatore. Ci hanno detto di aver ostacolato le indagini. Ma noi facciamo i giornalisti e non i magistrati. Abbiamo sempre correttamente avvisato la Procura dei nostri movimenti. Noi di Fanpage siamo convinti che il valore sociale della nostra inchiesta e i risultati che abbiamo raggiunto siano più importanti di queste critiche. Siamo stati i primi a rimanere sconvolti dai dialoghi che abbiamo registrato, da meccanismi di corruzione così palesi e dal cinismo con cui intere aree venivano avvelenate solo per lucro. Ci hanno anche accusato di aver fatto uscire tutto sotto elezioni, a scopo spiccatamente propagandistico. Non è vero. Abbiamo pubblicato l'inchiesta solo perché erano saltate le coperture e fare uscire tutto alla luce era la nostra unica difesa.

 

Bloody Money parte dalla Campania, dalla Terra dei Fuochi, per approdare nel Veneto, alle bonifiche di Porto Marghera.

 

Antonio Musella - Subito dopo aver messo in scena il finto ritorno in attività del Perrella, il telefono che abbiamo usato come riferimento è diventato bollente. La chiamate arrivavano da tutta Italia. Campania e Veneto facevano la parte del leone. Ma direi che è l'Italia intera che è messa male, perchè l’ambiente e la sua tutela sono temi estromessi dall'agenda politica. Ne avete mai sentito parlare in queste ultime elezioni? Qui siamo a Venezia. Lo scandalo Mose ha fatto la storia della città, ma ancora l'opera prosegue. Le bonifiche di Porto Marghera sono un altro scandalo a cielo aperto. Il problema è che c'è una «oscura terra di mezzo», tra mafia, imprenditoria, politica e apparati dello Stato, dove la sola cosa che conta è fare business. Non importa come. Non importa se avveleni l'ambiente. Contano solo i soldi che si ricavano e conta ricavarli in fretta.

 

Gianfranco Bettin - Lo smaltimento dei rifiuti è stato il principio di tutte le ecomafie. E' sbagliato pensare che questa storia parta dal sud Italia. Al contrario, la storia nasce proprio in Veneto. Il primo smaltimento illegale è quello che le mafie hanno portato a termine a San Giuliano. Ricordo un’intervista proprio al Perrella in cui un giornalista gli chiede se fossero venuti a nord per mettere a sistema la procedura e lui gli risponde: «No. Noi siamo venuti ad imparare». Il cinismo con il quale l'inquinamento viene trasformato in un affare lucroso, e chi se ne frega se poi la gente ci muore, è stato inventato a “casa nostra”. Nel sud, casomai, ha incontrato la criminalità organizzata e ne è nato un matrimonio proficuo per entrambi. Direi che, più che le stragi, dove le responsabilità sono oramai chiare, il nido di serpenti che avvelena l'Italia, tra burocrati di ministeri, politici, imprenditori, massonerie e mafiosi, oggi sta tutto qua. Un cuore di tenebra che non è ancora stato esplorato.

Una intermediaria di cui raccontate nella vostra inchiesta, Maria Grazia Canuto, afferma che a Venezia, con questa amministrazione, oggi il terreno è favorevole.

Gianfranco Bettin - Il primo segnale che ha dato l'attuale amministrazione, cioè cancellare il parco della Laguna che avrebbe avuto il compito di vigilare su questo tema e tutelare l'ambiente e la salute, non depone certo a favore della trasparenza. Ma credo anche che sia ingenuo pensare che un sindaco possa impedire questa deriva. Gli scandali legati alle grandi opere ci insegnano proprio questo. Pensiamo alle bonifiche di Porto Marghera. Il denaro ottenuto sulla pelle di un territorio, che ha pagato un prezzo terrificante in termini di inquinamento e di vite umane, e che doveva servire per la messa in sicurezza dello stesso territorio, è stato drenato verso un'opera devastante per l'ambiente come il Mose. Tutto ciò, senza che gli enti locali potessero intervenire. Anche per questo il nostro Paese è messo male. Sono caduti i presidi locali e anche un’amministrazione attenta non sarebbe una garanzia. Venezia? Al suo confronto, la Chicago di Al Capone è Disneyland. Tutte le attività più importanti economicamente sono in mano ad organizzazioni criminali: la salvaguardia, il Mose ed anche il turismo. Vedi la presenza di Cosa Nostra al Tronchetto.

 

Antonio Musella - Il rapporto tra ambiente e attività produttive, in Italia, è sempre stato predatorio. E' questa la storia della nostra imprenditoria e non si scappa. E questo vale anche per le aziende, tipo la Montedison, a partecipazione statale. Ho un terreno vuoto? Allora lo devo far fruttare al massimo. E se per farlo devo passare attraverso un faccendiere legato alla mafia, pazienza. E se poi quel terreno avvelenerà migliaia di persone innocenti, non sono fatto miei. Sono anche d'accordo con Gianfranco che la possibilità degli enti locali di opporsi e di contrastare questo malaffare, che inquina oltre all'ambiente anche la stessa politica, sono scarsissime. C'è stato un furto sistematico di competenza proprio per aprire la strada a questa sorta di industria dell'inquinamento così remunerativa economicamente. Come difendersi allora? L'antidoto migliore resta sempre la mobilitazione dal basso. Così come avete fatto per lo stoccaggio di rifiuti industriali che avrebbe trasformato Marghera nella pattumiera più inquinata ed inquinante d'Italia.

Nell’intervista fatta da Globalproject.info ad Antonio Musella, viene messo a fuoco maggiormente il “valore sociale” dell’inchiesta giornalistica, qualora questa sappia fornire strumenti e informazioni utili a contrastare – dal basso – i rapporti di potere che riproducono costantemente una gestione dei territori fondata sul “malaffare”.