Brexit: gli esclusi della globalizzazione contro i migranti UE

25 / 6 / 2016

Pubblichiamo le riflessioni di Paolo Gerbaudo, "uno dei tre milioni di migranti europei in Gran Bretagna" e docente al King's College di Londra, su Brexit.

Sono uno dei tre milioni di migranti europei in Gran Bretagna che si sono risvegliati nell’incredulità la mattina 24 Giugno scoprendo che il paventato Brexit aveva vinto nel referendum. Eravamo andati a dormire sonni relativamente tranquilli, credendo agli ultimi sondaggi, alle quote degli scommettitori (di solito più credibili dei sondaggisti) e pensando ingenuamente che la paura per i grandi rischi economici collegati a un'uscita dal Regno Unito come pure l’orrore provocato dall’omicidio della parlamentare Jo Cox da parte di un militante di estrema destra avrebbero dissuaso l’elettorato britannico da mettere la croce sulla casella “Leave”. Eppure così non e’ stato, niente e’ bastato a dissuadere gli elettori dalla rottura, sull’onda di un sentimento anti-europeo coltivato ormai da decenni, alimentato sapientemente dalla stampa di destra.

Per una persona come me, che ha vissuto oltre 10 anni in questo paese, questi sono giorni che spingono a riflessioni difficili sul proprio posto nel mondo. Sono venuto in Gran Bretagna nel tardo 2005 per cominciare un dottorato, e poi sono ritornato dopo un periodo in Egitto nel 2011 e 2012, per prendere un posto di ruolo come docente al King’s College a Londra. Questo paese mi ha offerto opportunità che non mi sarei mai sognato in Italia, dove un posto di ruolo all’università alla mia eta’ sarebbe stato impensabile, non importa quante raccomandazioni o quanta bravura in un’universitta vittima dei tagli, della Gelmini, e dei "baroni". Certo non e’ stato facile, come non e’ facile per chiunque si avventuri in questo paese, e lo e’ sempre di meno. Pero’ e’ innegabile che il Regno Unito abbia per molti offerto opportunità impensabili a casa propria. E questo e’ il motivo per cui la gente continua a venire in Gran Bretagna, il fatto che e’ un posto in cui la retorica neoliberale della meritocrazia continua ad avere una dose di verità, e dove l’iperlavoro, e l’autosfruttamento, fruttano per lo meno piu’ che altrove nel vecchio continente.

La mia storia e’ simile a quella di tanti di quei 3 milioni di europei che si trovano nel Regno Unito, persone che sono venute qui in cerca di lavoro, spesso più umile e duro di quello che ho il privilegio di fare. Persone che sono venute qui per lavorare e certamente non per vivere alle spalle dei britannici come invece sostengono Nigel Farage dello UKIP, e come hanno fatto credere tanti altri politici conservatori. Questi lavoratori, spesso meglio formati e più affamati dei lavoratori locali hanno fatto la fortuna della Gran Bretagna, un paese che si e’ avvantaggiato enormemente dall'essere membro dell’Unione Europea, e di Londra che è riuscita a soffiare ai partner europei i migliori talenti nella finanza e nella ricerca. I migranti EU hanno contribuito molto di piu’ al Regno Unito di quanto abbiano preso in termine di contributi, servizi pubblici, sanita’ eccettera. Questo lo dicono tutte le statistiche. Secondo uno studio della UCL il saldo positivo per le finanze pubbliche dalla presenza di migranti europei sarebbe stato di 20 miliardi di sterline tra il 2011 e il 2011. Eppure sono proprio quei lavoratori migranti EU quelli il cui destino era sulla scheda elettorale e su cui i cittadini britannici hanno deciso in maniera così netta. E’ chiaro che, se per le casse pubbliche siamo una voce in attivo e per la società un arricchimento, per una parte della società, in particolare la popolazione più anziana, inattiva, e relegata in aree marginali, degradate, e con pochi servizi, i cosiddetti “esclusi della globalizzazione’ sembriamo essere una minaccia.

La decisione del Regno Unito di uscire dall’Unione Europea e’ una scelta che ci costringe a fare i conti con quello che e’ diventato il Regno Unito, l’Unione Europea. Con il referendum la maggioranza degli abitanti del Regno Unito ha mandato soprattutto un messaggio a noi, sul fatto che non siamo benvenuti in questo paese. Non è ancora chiaro cosa significherà praticamente per noi migranti EU questo referendum, quali saranno le condizioni per chi si trova qua, e per chi verra’ successivamente. Ma si può solo prevedere che la Gran Bretagna post-Brexit sarà un paese in cui l’odio e il razzismo, prima strisciante, diventerà sempre più parte della sfera pubblica. L’omicidio della parlamentare Jo Cox da parte di un militante di estrema destra è stato solo l’assaggio delle cose a venire, in un paese i cui i movimenti nazionalisti e fascisti sono in forte crescita.

Se c’è una cosa buona da prendere dalla Brexit è il fatto che sia un campanello di allarme rispetto alla situazione di emergenza che vivono Gran Bretagna ed Europa. Io sono stato parte di una generazione che ha fatto l’Erasmus e che è andata a lavorare all’estero con grande facilità. Una generazione che prendeva sul serio il fatto di essere “cittadini europei”, e che spesso ha messo su famiglia con persone di altre paesi europei. Quello che si intravede nella Gran Bretagna post-Brexit e’ che quella realtà di un’Europa unita, di libera circolazione e libero scambio è adesso fortemente minacciata, e che è necessario ripensare dalla base cosa significa "Europa". Fino ad ora per i milioni di migranti EU, l’Europa è stata uno spazio in cui potersi muovere e lavorare liberamente, quella è l’Europa che ha vissuto la mia generazione, la cosiddetta "generazione Erasmus". Ma l’Europa non può essere solo questo, deve diventare anche uno spazio di solidarietà e di redistribuzione della ricchezza. Deve essere un’Europa che abbia anche qualcosa da offrire agli esclusi, che non hanno gli strumenti per raccoglierne le opportunità, e che stanno alimentando le fila dei nuovi movimenti di destra, dalla Gran Bretagna alla Germania.