Caso Ferrulli, per i giudici “non ci fu alcuna violenza gratuita” della polizia

Milano. Depositate le motivazioni della sentenza

2 / 10 / 2014

Milano. Sono state depositate le motivazioni della sentenza che lo scorso luglio ha assolto i quattro agenti accusati di omicidio preterintenzionale in seguito alla morte del 51enne, arrestato e colpito ripetutamente nella notte del 30 giugno 2011. Per i giudici della Corte d'Assise quei dieci colpi assestati dai poliziotti erano necessari e non troppo violenti, inoltre la Procura, che aveva chiesto sette anni di carcere per gli agenti, si sarebbe fatta influenzare dalla "vox populi". L'avvocato della famiglia, lette le motivazioni, è ancora più fiducioso per l'appello

di Luca Fazio

Le sen­tenze non si com­men­tano. Meno male che que­sta si com­menta da sola. Sono pub­bli­che le moti­va­zioni della sen­tenza pro­nun­ciata dai giu­dici della prima Corte d’Assise di Milano che lo scorso luglio assol­sero quat­tro poli­ziotti accu­sati di omi­ci­dio pre­te­rin­ten­zio­nale, “per­ché il fatto non sus­si­ste”. La sera del 30 giu­gno 2011 Michele Fer­rulli morì tra le loro mani men­tre lo sta­vano pic­chiando (poco) per ammanettarlo.

Un video docu­menta le con­ci­tate fasi del fermo, le urla dell’uomo che chie­deva aiuto, e le grida di alcune donne che ave­vano assi­stito — “basta, gli fate venire un infarto”. Michele Fer­rulli, 51 anni, stava per essere arre­stato per schia­mazzi, non era un peri­co­loso delin­quente ma solo alte­rato per qual­che bic­chiere di troppo. La Pro­cura per gli agenti aveva chie­sto sette anni di car­cere, oggi quella stessa pro­cura viene accu­sata dai giu­dici di essersi fatta influen­zare dalla “vox populi” su “un pestaggio”.

A pren­dere alla let­tera le moti­va­zioni di que­sta sen­tenza, risulta evi­dente che biso­gna ride­fi­nire con una certa urgenza il con­cetto di vio­lenza per rica­li­brare il limite che le “forze dell’ordine” non dovreb­bero oltre­pas­sare men­tre stanno bloc­cando un indi­vi­duo, soprat­tutto se è disar­mato e dun­que quasi inof­fen­sivo per quat­tro poli­ziotti (con­tro uno). Scri­vono i giu­dici che “non vi fu alcuna gra­tuita vio­lenza ai danni di Michele Fer­rulli”. Quanto ai “colpi” degli agenti — per­ché è evi­dente che ve ne furono — quelli erano neces­sari per “vin­cere la resistenza”.

Quindi, in que­sto caso spe­ci­fico e chissà in quanti altri, se non viene rite­nuta gra­tuita una certa dose di vio­lenza di fatto può essere giu­sti­fi­cata quando non espli­ci­ta­mente ammessa (tec­ni­ca­mente si chiama azione di “con­te­ni­mento” e molte per­sone l’hanno già spe­ri­men­tata sulla pro­pria pelle, anche se non esiti tanto dram­ma­tici). Que­sta azione di con­te­ni­mento, scri­vono i giu­dici, “era giu­sti­fi­cata dalla legit­ti­mità dell’arresto”. Ma i colpi? Poca roba, se ser­vono per con­te­nere. Secondo i giu­dici, a dif­fe­renza di quanto con­te­stato dalla Pro­cura, i poli­ziotti non uti­liz­za­rono “alcun corpo con­tun­dente” e infatti la loro “con­dotta di per­cosse con­si­stette nei soli tre colpi e sette colpi” asse­stati “in modo non par­ti­co­lar­mente vio­lento”. Quindi dieci colpi. Ma se vio­lenza ci fu “tale con­dotta di man­tenne entro i limiti impo­sti da tale neces­sità, rispet­tando altresì il prin­ci­pio di proporzione”.

Su un altro punto con­tro­verso, il pre­sunto schiaffo di un poli­ziotto ripreso dal video, i giu­dici non hanno espresso dubbi: “La sola visione del fil­mato non per­mette di sta­bi­lire con cer­tezza se il gesto sia stato un vero e pro­prio schiaffo o se sia stato solo il gesto di sol­le­vare l’avambraccio verso Fer­rulli per accom­pa­gnare una frase rivolta allo stesso”. In buona sostanza per i giu­dici non c’è nesso tra i colpi asse­stati dai poli­ziotti e la morte dell’uomo, se non nella loro “dimen­sione stres­so­gena”. Del resto, si legge ancora nelle moti­va­zioni, non può dirsi pro­vato “che se l’ammanettamento fosse stato com­ple­tato dagli impu­tati senza ricor­rere, nella sua parte finale, ai tre colpi e sette colpi, non si sarebbe veri­fi­cato quell’attacco iper­ten­sivo che per la sua vio­lenza deter­minò l’arresto car­diaco”. Già, chi può dirlo?

Infine, nelle due­cento pagine della sen­tenza c’è anche la pesante accusa rivolta alla Pro­cura di Milano che si sarebbe fatta influen­zare dall’opinione pub­blica, “come è ben noto la vox populi è un dato assai peri­co­loso, per­ché il suo acri­tico rece­pi­mento nelle aule di giu­sti­zia può essere all’origine delle peg­giori gene­ra­zioni della giu­sti­zia”. I giu­dici hanno messo nero su bianco anche alcune con­si­de­ra­zioni con­tro la figlia di Fer­rulli, Dome­nica, per­ché avrebbe messo in atto un “con­di­zio­na­mento nega­tivo” di alcuni testimoni.

Lei ha repli­cato così: “Non mi aspet­tavo nulla di diverso. I fil­mati sono sotto gli occhi di tutti: mio padre è morto chie­dendo aiuto, sup­pli­cando i poli­ziotti di smet­terla. Rispetto le sen­tenze dei giu­dici ma sento come gra­tuite e offen­sive alcune con­si­de­ra­zioni sul mio conto. Sono serena, vado a testa alta per­ché ho fidu­cia nella giu­sti­zia. Ride bene chi ride ultimo”. Lette le moti­va­zioni della sen­tenza, l’avvocato della fami­glia Fer­rulli si è detto ancora più fidu­cioso per l’appello.

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