Chi si fida di Syriza?

21 / 9 / 2015

C’è stata una patina mediatica molto opaca su queste elezioni in Grecia, il quinto ritorno alle urne negli ultimi sei anni. Sono lontane le esposizioni da prima pagina sui quotidiani nazionali ed internazionali durante le settimane di avvicinamento alle elezioni; le analisi, i commenti, i focus sull’argomento sono stati sporadici. E quando si potevano trovare, tutte ruotavano attorno alla battaglia finale tra Tsipras e Meimarakis oppure sulla debolezza del partito di governo a causa del Memorandum del 13 luglio e della scissione interna, che ha portato alla formazione del partito Unità Popolare. Pochi riflettori per Syriza, dopo quasi un anno di bombardamento mediatico e di gioco della tensione, con i vari editorialisti ed economisti affaccendati a fare le previsioni su chi sarebbe capitolato nel lunghissimo negoziato tra la Grecia e la (ex) troika. Questo tipo di atteggiamento negli organi dell’opinione pubblica non è difficile da interpretare: sia che vincesse o perdesse Syriza, agli occhi della stampa liberale o liberal-democratica comunque i risultati elettorali sarebbero stati un trionfo del governo tedesco dell’Europa.  Se per alcuni la sconfitta del 13 luglio, una settimana dopo il clamoroso boato costituente dell’OXI, è solo di una battaglia, per le élite lo è di una guerra. 

La società civile greca ha sicuramente subito questo colpo, visto che l’affluenza è stata del 55,4%, portando ai seggi poco più della metà della popolazione. Syriza ha vinto nonostante tutto le elezioni con il 35,4%, vincendo la maggioranza dei seggi in Parlamento. Segue immediatamente Nuova Democrazia con il 28.3% e il suo leader Meimarakis, un uomo più moderato di Samaras che ha spostato il partito verso posizioni meno conservatrici e attenuato l’opposizione con Syrizia, annunciando addirittura una possibilità di collaborazione. Nuova retorica del partito: unità nazionale perché gli interessi del popolo greco non sono né di destra né di sinistra. In modo preoccupante viene confermata Alba Dorata come terza forza del Paese raggiungendo il 7%. Le pubbliche dichiarazioni del suo leader Michaloliakos di pochi giorni fa  sulla responsabilità politica dell’omicidio dell’antifascista Pavlos Fyssas non hanno penalizzato troppo i suoi voti: sembra che l’indice dello spostamento a destra estrema di una parte, seppur ancora minoritaria, della società greca si sia registrato alle urne. Senza contare che continuano i soprusi e le aggressioni fasciste dei corpi di polizia ai danni dei militanti politici, in ultimo l'episodio di venerdì scorso quando degli agenti della squadra DELTA hanno letteralmente torturato due giovani ragazzi con ripetuti pugni e manganellate in volto e passaggi sopra i piedi con le moto a seguito di un’azione alla caserma di polizia di Exarchia. Premiato infine con un irrisorio 2,8% il nuovo partito, sostenuto da Varoufakis, di Unità Popolare. Il Pasok, invece, continua nelle inesorabile crisi di consenso.

Adesso Syriza si trova a formare un'altra volta il governo con i Greci Indipendenti di Anel. Ancora sono incerte le aperture che potrebbe fare al Pasok e To potami, per quanto i loro numeri non siano fondamentali per la maggioranza in Parlamento.

Ma al di là di queste considerazioni, cosa è veramente successo dopo il grandissimo discorso dell’OXI e la reazione regressiva di Merkel, Schäuble, Juncker e Lagarde? Dal 5 al 13 luglio non c’è stato solo un colpo di Stato, la violenza dei meccanismi del potere in Europa che diventano immediatamente gerarchici e disciplinari quando si tratta di conservare la dottrina ordoliberale, ma quando si parla di tutelare la vita a decine di migliaia di persone in movimento verso i nostri confini si riducono a becera tattica nello scontro tra Stati. In quella settimana di luglio si è sfaldato quel potere istituente che si era creato successivamente all’azione costituente dei movimenti. La scissione che è avvenuta in Grecia non riguarda solo la Gioventù di Syriza e i fuoriusciti di Unità Popolare. Ha toccato nel profondo le organizzazioni di movimento, le realtà di base che hanno in prima istanza fatto divenire sociale una posizione politica sviluppatasi nei movimenti contro l’austerità. La sinergia del rapporto tra partito e movimenti, la verticalizzazione delle istanze orizzontali dal basso ha ceduto. Lo dimostra l’affluenza al voto, lo dimostra la scelta dell’astensionismo o del voto tattico di molti attivisti ed elettori, prima convinti, di Syriza. Già nella campagna elettorale, denunciano gli attivisti delle realtà di base, erano spariti molti termini e concetti di sinistra dal discorso di Tsipras. La sua vittoria alle elezioni ha sicuramente giocato sulla figura personale del premier, sulla sua leadership e sulla tempestività della riconvocazione delle elezioni a due mesi dall’accettazione del Memorandum, quando molte delle sue conseguenze sulla tassazione regressiva, le privatizzazioni e i continui tagli alla spesa pubblica ancora non si sono concretizzati. E quando il ritorno del fiato sul collo dei mandanti della troika sulle attività politiche non si è ancora fatto sentire. Sicuramente, la volontà di stabilità economica e di portare una eventuale negoziazione sul tavolo dei big d’Europa hanno costituito gli elementi del bacino elettorale per Tsipras. Tale disposizione politica è del resto confermata dalle reazioni dei mercati e dei personaggi politici, che adesso dichiarano di aver scongiurato la Grexit, di poter attenuare le condizioni del Memorandum, di arrivare ad una nuova trattativa intergovernativa.  

Certo, il finanziamento di 84 miliardi in tre anni e la dilazione nel tempo di molte riforme imposte dagli accordi siglati a luglio danno un margine di manovra di negoziazione. L’apertura sulla ridiscussione del debito voluta da Lagarde sarà terreno di scontro con i falchi europei, che invece  vogliono solo una scadenza più diluita della sua restituzione. Vedremo nei prossimi mesi quanto sarà possibile apprendere di nuovo da un governo un modo di fare resistenza e la sua efficacia; lo vedranno soprattutto i cittadini greci che hanno scommesso di nuovo su Tsipras. Ma la grande lezione greca resta il fatto che senza un continuo protagonismo e iniziativa sociale dal basso, diffusa sul livello europeo con una strategia comune, coloro che governano il timone della nave dello Stato-nazione saranno sempre i “comandanti in seconda” – chi traccia la rotta della nave avrà sempre l’ultima parola. Una parola che può essere spezzata, prendendo un’altra direzione, se ci sarà l’insubordinazione della stiva della nave e di chi ne produce la ricchezza vedendone, però, ben poca. 

Al di fuori di qualsiasi retorica sul tradimento di Tsipras, è proprio questo il punto. L’OXI ha aperto una possibilità di contro-potere facendo vedere un’alternativa possibile e riattivando per le piazze una moltitudine che si è posta in modo antagonista alla governance europea. L’OXI ha costruito immaginario in Europa, ha aperto un canale comunicativo e politico che potrebbe diventare potente nel momento in cui si trasforma in dispositivo di organizzazione e mobilitazione transnazionale: banalmente se riesce a imporre sul piano europeo la questione del debito legata ai diritti sociali, del lavoro, dell’ambiente e dei servizi, del reddito di esistenza. Se non consideriamo questo livello minimo della rivendicazione la sconfitta può accadere facilmente, con o senza buone intenzioni dei governi nazionali. Il cosiddetto piano B di Varoufakis e altri, la fuoriuscita dall’euro e la creazione di monete parallele, per adesso sembrano facili scorciatoie e buone intenzioni ideologiche che non hanno la forza di sedimentare tra le persone. Altra cosa è un OXI costituente che, invece, può pretendere la distribuzione di liquidità direttamente dalla Banca Centrale Europea direzionata alla cittadinanza intera, per esempio. Un modo, tra l’altro, per risolvere materialmente l’urgenza umanitaria dei migranti in arrivo nel nostro Continente con delle strutture ed un sistema d’accoglienza degni di questo nome.

I partiti di sinistra d’Europa, e i vari avvoltoi italiani, esultano per la riaffermazione della sinistra in Grecia, un esempio per tutti. Alcuni, invece, hanno visto cadere la narrazione di un'opzione politica che ha animato tutto il nuovo anno solare. Ma quello che ci dovrebbe interessare, prima di pensare a qualsiasi verticalizzazione, è creare una pluralità di movimenti sul reddito, per l’ambiente e per il diritto alla migrazione e all’accoglienza. La loro spinta di trasformazione della società è necessario per fuoriuscire dalle gabbie neoliberali della nostra anima, quelle che rendono normale o accettabile il regime odierno della crisi perenne. Non è proprio la condizione minima della storia della Grecia degli ultimi anni? Sarà proprio questa spinta a determinare eventuali conquiste sul terreno del debito nazionale e sull'opposizione all'applicazione del memorandum. Solo in quel momento capiremo se a dar fiducia a Syriza è stato di nuovo il popolo greco, oppure le elites europee.