Da Vicenza a Genova, l'incubo dell'alluvione permanente

Due territori che condividono gli stessi motivi che hanno portato alle grandi alluvioni degli ultimi anni

20 / 10 / 2014

Da Vicenza a Genova, attraverso tutta la pianura padana, troviamo un paese ricco di corsi d'acqua. Fiumi maggiori incrociano una fitta rete di affluenti, circondati da campi irrigati, con fossi e canali di scolo, laghi - di cui molti artificiali - e riserve idriche nei sottosuoli. La vita del nostro paese è sempre stata fondata sulla risorsa acqua, che ne rende fecondi e produttivi i territori. E la storia ci mostra come ogni città abbia nel tempo adattato lo scorrimento dei corsi d'acqua per favorire i bisogni di una società sempre in crescita esponenziale.

Vicenza, con l'alluvione dell'autunno 2010, e Genova, più di recente, sono accomunate da quella che ormai molti definiscono “alluvione permanente”. Due territori fragili per la loro strutturazione geologica, ma con una spinta eccessiva alla cementificazione e all'urbanizzazione. Le alluvioni degli ultimi anni che hanno colpito queste terre, e altre d'Italia, condividono cause simili. Da un lato, il cambiamento climatico ha avuto un ruolo importante: piogge così intense per periodi prolungati non si erano forse mai viste, ma sono una condizione alla quale - dicono i meteorologi - dovremo abituarci. Dall'altra parte, c'è la cementificazione. Tutto il territorio vicentino - già di per sé fragile e ricco d'acqua nel sottosuolo -, tra capannoni industriali, centri commerciali, palazzi residenziali, tangenziali, bretelle, autostrade come la Valdastico Sud oppure la futura Pedemontana, è mangiato dal cemento.

Il territorio genovese non è molto diverso, anzi è uno tra i più cementificati d'Italia. Si è costruito ovunque, in prossimità di fiumi e bacini d'acqua: spesso si è trattato di abusi edilizi, condonati dai vari governi che si sono succeduti. Sopra la linea ferroviaria Genova-Milano è in costruzione la linea del Tav-Terzo Valico, ennesima grande opera che distrugge la terra, oltre a strappare case e terreni agli abitanti. L'innalzamento degli argini per evitare esondazioni a monte, impedisce alle acque di fuoriuscire, aumentando pericolosamente la portata, fino a quando a valle torrenti e fiumi sono così gonfi da tracimare ovunque, riversando acqua, fango e detriti accumulati nel percorso.
Alla cementificazione, che ha impermeabilizzato il sottosuolo, si aggiunge poi la scarsa pulizia dei corsi d'acqua e delle fognature. È questo ciò che è successo a Genova, definita dai geologi la città più pericolosa d'Europa dal punto di vista del pericolo idrogeologico.

In questa situazione di allerta costante per il rischio di allagamenti, la popolazione viene abbandonata a se stessa e lo Stato si dilegua concedendo ai privati la libertà di colpire in maniera discriminata: “ricostruire!” diventa uno slogan da palazzinari in cerca d'affari. La gente toglie il fango dalla sua vita e cerca di tornare alla normalità, come è accaduto la scorsa settimana a Genova.

Ancora una volta, a trarne profitto sono costruttori e palazzinari. Dall'impresa di Enrico Maltauro a Vicenza - coinvolto anche negli scandali per gli appalti di Expo 2015 - ai politici locali e nazionali, dalle aziende e cooperative ammanicate con le mafie agli uomini di Chiesa. Costruire grandi opere porta ancora più soldi nelle tasche di chi gestisce gli appalti, mentre non si investe sulla manutenzione ordinaria. A Vicenza, solo dopo la grande alluvione del 2010 si è deciso di costruire un bacino di laminazione nel Comune di Caldogno, che ancora deve essere completato. A Genova, invece, la galleria pensata per salvare la città è diventata il magazzino di canoe e deposito di rifiuti: doveva servire come scolmatore per le acque del rio Fereggiano, liberando la città dai pericoli che portava. La costruzione iniziò negli anni Ottanta, ma con lo scoppio di Tangentopoli e l'arresto di due assessori con l'accusa di corruzione per l'appalto dell'opera, oggi è usata come discarica.

A Vicenza, quando si parla di alluvione non si può prescindere dalla nuova base militare americana al Dal Molin. La base sorge sopra a una delle principali falde acquifere del nord Europa, con un bacino di 3 miliardi di metri cubi, che fornisce acqua potabile a Vicenza, Verona e in parte Padova, oltre ad altri Comuni minori limitrofi. La base è costruita su delle palafitte: migliaia di pali di cemento armato sono stati conficcati nella falda, impedendo all'acqua di defluire in modo naturale e provocando il dissesto idrogeologico dell'area limitrofa alla base, il Parco della Pace. Inoltre, mentre il lato sinistro del Bacchiglione (quello verso il Dal Molin) è stato rialzato, il lato destro oltre il quale si trova una zona residenziale è stato lasciato più basso: sembra sia più importante che non vadano sott'acqua i militari a stelle e strisce, invece dei cittadini di Vicenza.

Nella città berica, l'ultimo scempio ambientale è l'eco-mostro di Borgo Berga, la sede del nuovo Tribunale: una gigantesca struttura in cemento che sorge sulla riva del fiume, sulle ceneri della vecchia fabbrica Cotorossi, e vanta una storia di prescrizioni inosservate, normative aggirate, procedure disinvolte e pareri ammorbiditi. I responsabili di questo disastro ecologico sono i soliti noti: dall'ex sindaco di Vicenza, Enrico Hüllweck,a Enrico Maltauro.

Dall'altra parte sta chi, come noi, prova a tracciare una strada per uscire dalla condizione di “alluvione permanente” e per riappropriarsi del diritto alla città. Diritto a una città libera dalle mafie del cemento e dai grandi affari che divorano la terra, verso la costruzione di uno spazio liberato dai profitti per fare spazio al mutuo aiuto in casi di emergenza, ma anche nella vita quotidiana, a un'economia e una socialità più attenta e responsabile verso la terra che abitiamo, nel quale, infine, i quattro elementi - aria, acqua, terra e fuoco - possano tornare al loro equilibrio naturale.