Dentro e contro il medioevo della post-modernità

Come pensare una forma-di-vita, cioè una vita umana del tutto sottratta alla presa del diritto e un uso dei corpi e del mondo che non si sostanzi mai in un'appropriazione? Come pensare la vita come ciò di cui non si dà mai proprietà, ma soltanto un uso comune?

22 / 8 / 2014

Qualche volta il dibattito “di fase” pare un po' viziato dal continuismo, quella malattia talvolta pandemica, che porta a commentare i fatti sociali e politici senza riconoscere una novità complessiva, di contesto. In altri termini, il vizio sta nel leggere il presente alla luce del passato e non, al contrario, i fatti di oggi come prolegomeni del futuro.

Dobbiamo provare a leggere le linee di tendenza, i flussi di fatti che vanno a convergere, indagare le tracce delle nuove contraddizioni di sistema e lo dobbiamo fare in una prospettiva di temporalità non breve come è giusto avere quando si abbracciano processi storici in una congiuntura senza dubbio epocale.

Poniamoci innanzitutto la domande se e dove possa essere posta la cesura spartiacque del prima e del dopo. Credo possa porsi con il secondo mandato di G.W.Bush, ovvero con la proclamazione della “fine” della guerra in Iraq. Essa può rappresentare la conclusione dei processi che hanno portato alla crisi dell'unipolarismo americano, almeno per come esso è stato nelle aree atlantiche.

Ne segue un sempre maggiore ruolo multilivello di potenze cresciute come regionali nei decenni precedenti, ma che ora collocano la loro iniziativa complessiva sulle reti lunghe rompendo i confini continentali, creando nuovi territori di influenza, inventando nuovi interessi per i “vecchi” e mettendone a valore “nuovi”. Dentro questa prospettiva possiamo capire l'iniziativa cinese nel Pacifico (nuova vera linea di cold war) o in Africa subsahariana, russa in asia ed est europa, brasiliana in sud america e comprendiamo la progressiva destituzione delle istituzioni post- Bretton Woods e la sperimentazioni di nuove come la Banca per gli investimenti dei Brics.

Se l'ordine precedente non si fa rimpiangere, il nuovo non v'è e grande è il disordine sotto il cielo.

La fine del secolo americano[1] lascia sul campo le macerie di un vero e proprio crollo imperiale, che, in termini di contingenza geopolitica, si denota nell'irresolubilità delle crisi in corso palestinese - israeliana, siriana, irachena, il conflitto in Ucraina (frutto del capitalismo americano o della sua crisi di ciclo e della contemporanea crescita di lignaggio della Federazione Russa?) e  mette a nudo il cedimento della triade che da sempre è colonna di un progetto d'impero: moneta, bibbia, spada.

La quota della moneta Usa nelle riserve mondiali in valuta estera rimane superiore al 60%, mentre l'85% delle transazioni internazionali in valuta estera è effettuato in dollari, ma la sua importanza politica, commerciale e simbolica è decrescente così come l'economia americana che è ancora la prima al mondo, ma è senso comune la sua fragilità nella e della crisi. La bibbia americana, per la religione e l'antropologia a cavallo tra lex mercatoria ed homo oeconomicus, non ha più caratteri egemonici e subisce il crollo del consenso interno ed esterno; la spada americana è ancora il più importante esercito, ma è causa un deficit federale insostenibile, dimostra tutti i suoi limiti nel fronteggiare l'asimmetria dei nuovi conflitti armati e palesa di avere operatività e decisionalità politica non adeguate.

L'estate in corso registra la prorompente irruzione sulla scena del Califfato dello Stato Islamico dell'Iraq e del Levante proclamato in giugno.

L'ISIS è un modello di nuovo contro-stato teocratico e maschilista che ha una potente narrazione sulla vita in povertà - basta ascoltare gli appelli diffusi in rete ai giovani delle periferie arabe ed europee - e che si costituisce sulla base di un progetto societario religioso e del tutto anti/moderno: la cittadinanza è su base religiosa, la guerra è santa, il diritto è naturale. La partecipazione alla guerra dell'ISIS è transnazionale, vi partecipano attivamente militanti siriani, afgani, africani, europei (diverse migliaia di britannici, francesi, tedeschi - italiani?).

Infine, quest'estate ha marcato anche il ritorno della pandemia pestilenziale, Ebola, cioè il topos delle epidemie medioevali (mortale, non riconoscibile, non conosciuta, virale) che, come ben sa chi ha erudimenti di base di igiene, si diffonde tra i poveri, tra chi condivide il piatto per mangiare, tra chi non ha bagni.

Se potessimo fare un parallelo storico, vi è un ritorno della religione come proiezione politica decisiva (la religione è la politica continuata con altri mezzi) e della povertà più assoluta e finanche con le sue specifiche malattie come contraltare alla concentrazione della ricchezza, fenomeno comune in tutte le isole imperiali che abbiamo citato.

Ma se questo è, allora, che fare? Sarebbe un atto di fantasia inventare le vie d'uscita -di rivoluzione appunto-, saranno le soggettività ed i conflitti a tracciare le proprie rotte.

La battaglia di HPG e YPG in aiuto della Repubblica di Rojova e contro l'ISIS è una formidabile resistenza congiunta che sosteniamo, che continueremo a raccontare con spirito di parte e con un interesse politico con solo locale, ma forse proprio generale: è ad oggi la regione autonoma che combatte per difendere un progetto in cui la democratica Assemblea Autonoma ha approvato la decentralizzazione, l’istruzione gratuita in lingua nativa, l’assistenza sanitaria, gli alloggi e la fine del lavoro minorile e di qualsiasi discriminazione contro le donne.

Concludendo, voglio ricordare come nel medioevo ci furono comunità che resistettero ad una fase che a tratti assomiglia alla corrente; comunità che furono del tutto immerse nella realtà effettuale, si sporcarono le mani con la povertà (“L’abdicatio iuris con il ritorno che essa implica allo stato di natura precedente alla caduta e la separazione della proprietà dall’uso costituiscono il dispositivo essenziale di cui i francescani si servono per definire tecnicamente al peculiare condizione che essi chiamano “povertà”) e la continua attenzione alla riproduzione sociale, alla costruzione e conservazione del sapere[2].

Furono comunità dentro il proprio tempo e contro il proprio tempo, testimoni collettivi di una alternativa necessaria con una “forma-di-vita che comincia quando tutte le forme di vita dell’Occidente sono giunte alla loro consumazione storica”.

Non ci servono modelli, ma conoscere la storia sì.



[1]   Opportuna la ristampa del lavoro di Giovanni Arrighi Il Lungo XX secolo per il Saggiatore.

[2]   Giorgio Agamben, Altissima povertà. Regole monastiche e forma di vita (Homo sacer IV, 1), Neri Pozza 2011.