Difficoltà di adattamento

La vicenda Cancellieri tra ovvietà e emergenza

4 / 11 / 2013

Nella Casa circondariale di Ferrara una settimana fa è morto Egidio, 81 anni (non è un refuso: ottantuno anni), in sciopero della fame da 10 giorni per protestare contro il giudice che gli aveva rigettato l’istanza di detenzione domiciliare. A Secondigliano due settimane fa Antonino, 61 anni, è morto per un tumore al cervello. Pochi giorni prima a Rebibbia era morto Sergio, 82 anni, che pur essendo stato già colpito da un ictus era ancora in galera. Tempo prima a Opera Walter, paraplegico di 58 anni, era morto carbonizzato nell’incendio della sua cella. A Sassari Jaques, 66 anni, prima di morire ha combattuto per cinque anni contro un cancro al pancreas, chiedendo inutilmente di curarsi all’esterno e di poter morire accanto ai propri cari, in Belgio. Nessuno dei familiari di questi detenuti aveva il numero di cellulare del ministro di Giustizia.

Ora gode della sua massima amplificazione mediatica lo “scandalo” attorno all’intervento della ministra Cancellieri, avvenuto immediatamente dopo l’esecuzione degli ordini di arresto per Ligresti e figli, affinché i magistrati inquirenti e i vertici dell’amministrazione penitenziaria valutassero lo stato di salute dell’imputata Giulia come troppo rischioso per la sua incolumità psicofisica. Che infatti dopo 40 giorni di custodia cautelare è stata assegnata agli arresti domiciliari. Qualunque cosa io possa fare, qualsiasi cosa serva, non fate complimenti… Ma lo scandalo dove sta? Qui siamo al vecchio “a frà: che te serve?”, regola d’oro della politica nostrana dal dopoguerra in avanti, siamo davanti alla più banale delle collusioni tra ceto politico di potere e affari (sporchi), non c’ è proprio niente di nuovo. Intervento tanto più ovvio in quanto effettuato all’indomani dell’avvio di un’inchiesta giudiziaria su un colosso come Fondiaria Sai al vertice del quale nella primavera del 2011 arrivò Piergiorgio Peluso, che della ministra è figlio, salvo andarsene un anno dopo, prima che scoppiasse la tempesta, con una buonuscita di tre milioni di euro (cifra – questa sì – scandalosa).

Nessuno scandalo può d’altra parte destare il contenuto della perizia medico legale alla base della quale i giudici hanno disposto la scarcerazione: la condizione di persona abituata agli agi e ai privilegi propria di Giulia Ligresti l’ha resa particolarmente inadatta a sostenere l’esperienza della detenzione. Certo. Infatti in carcere di ricchi non ce ne sono. I poveri cristi, magari forestieri che fuggono da miseria e guerre o tossicodipendenti costretti al piccolo spaccio, le difficoltà di adattamento le superano alla svelta. Se no pazienza. Stefano Cucchi chiedeva solo di essere assistito: in realtà, parafrasando l’on. Giovanardi, era solo un piccolo delinquente che ha avuto quello che si meritava. E tutti gli altri che ritengono di trovarsi in condizioni di disadattamento grave rispetto alle coordinate di vita dello stato di detenzione adesso sanno di potersi rivolgere ad un ministro particolarmente incline all’interessamento umanitario e solidale.

In attesa che la ministra si occupi quindi personalmente dell’interezza della popolazione reclusa che a lei di certo si rivolgerà non appena il suo numero privato verrà reso pubblico, è possibile suggerirle l’istituzione del Garante nazionale per la tutela dei diritti dei detenuti, una politica diversa da parte dell’amministrazione penitenziaria in ordine a trasferimenti, salute, condizioni di detenzione e di relazione con i familiari. Potrebbe attivarsi affinché le Camere aboliscano di corsa leggi in tutta evidenza carcerogene come la Bossi-Fini e la Fini-Giovanardi per affrontare in termini radicalmente attualizzati le contraddizioni espresse dai flussi migratori e dalla circolazione delle sostanze stupefacenti. Potrebbe intervenire sulla recidiva e sulle misure alternative. Potrebbe indicare al legislatore qualche percorso possibile di umanizzazione dell’intero pianeta carcere, prima che la Corte di Giustizia europea non ci inchiodi alle nostre responsabilità dando corso agli oltre 500 ricorsi, e relativa richiesta di risarcimento, pendenti in ragione delle condizioni inumane e degradanti in cui versa, con conseguente grave danno economico per le già malandate casse dello Stato.

Potrebbe infine rivolgersi al suo amico Napolitano per affrontare assieme l’unico vero scandalo, la vera emergenza di una popolazione detenuta in esubero di circa 25.000 unità: quelli della mancata approvazione di un provvedimento immediato di amnistia e indulto, riportando la maggioranza necessaria per l’approvazione a quota ordinaria invece che qualificata a due terzi delle Camere. E chissenefrega se Berlu ne gode o meno. Come dice quel vecchio detto carcerario: sempre meglio un detenuto in meno, quand’anche fosse un pezzo di merda. Lo abbiamo detto e lo ripetiamo: smettetela di prenderci per il culo.