Enti locali ed “emergenza profughi”: i complici muti ritrovano la voce?

Profughi senza futuro

18 / 10 / 2012

Dopo gli articoli sui giornali locali di mercoledì 17 ottobre a proposito dei “Profughi senza futuro”, ad un lettore informato dei fatti salta all'occhio che l'allarme scatta fuori tempo massimo, a soli due mesi dall'annunciata cessazione del Piano gestito dalla Protezione Civile, essendo il 31 dicembre nota deadline da oltre un anno. Ad un lettore ignaro della materia, invece, potrebbe sorgere il grave dubbio che, se dopo venti mesi di accoglienza e dopo ventidue milioni di euro spesi (nella sola Emilia-Romagna) non si è riusciti a dare un titolo di soggiorno ed un percorso di autonomia ai migranti fuggiti dalla guerra in Libia, allora la colpa deve essere proprio di questi “profughi”!

Siccome abbiamo seguito con passione la questione “emergenza” dal suo inizio, sentiamo nostro dovere aggiungere alcune note, quantomeno per non essere spettatori muti di un sistema che, quando va bene, trasforma in calamità naturale dovuta al fato questioni ben legate a scelte politiche del Governo e degli amministratori locali o, quando va male, le traduce in “guerra tra poveri” sullo sfondo della razzia dei diritti in tempi di crisi.

Dagli articoli sulla stampa apprendiamo che “sindaci ed assessori sono pronti alle barricate”. Questa sì che è una notizia, perché abbiamo ancora nelle orecchie il silenzio assordante da parte delle istituzioni quando i richiedenti asilo dei Prati di Caprara di Bologna protestavano sotto alla Prefettura perché nonostante i 40 euro giornalieri investiti dallo Stato per la loro accoglienza, le loro giornate trascorrevano in una ex caserma fatiscente gestita da Croce Rossa Italiana (CRI), senza riscaldamento, con l'acqua fredda, senza assistenza legale, senza corsi di italiano, senza mediazione interculturale, senza progetti di integrazione, sebbene questi servizi fossero previsti dalle convenzioni e da un Patto di Accoglienza tra ente gestore, Protezione Civile e... ente locale. Forse gli amministratori speravano che queste carenze – per non dire violazioni, dato che gli standard di accoglienza per i richiedenti asilo sono fissati da Direttive europee ratificate anche dallo Stato Italiano – fossero solamente un problema della Protezione Civile o della CRI e che non riguardasse loro...

Questi stessi amministratori, che oggi protestano contro la fine dello stato di emergenza lamentando i tagli al welfare nei propri bilanci, non hanno lanciato nessun allarme quando venivano coinvolti nella petizione Diritto di Scelta promossa dal Progetto Melting Pot Europa (www.meltingpot.org) per l'immediato rilascio di un permesso per motivi umanitari a tutti i migranti provenienti dalla Libia. Già allora, era il novembre 2011, i promotori della campagna denunciavano l'intasamento delle Commissioni Asilo, le lunghe attese, la precarietà giuridica, ma soprattutto la certezza che allo scadere dell'emergenza la maggioranza dei richiedenti asilo si sarebbe trovata priva di permesso di soggiorno. In data 26 marzo il Consiglio Regionale approvava una risoluzione in appoggio alla petizione Diritto di Scelta, ma l'Assessore regionale Marzocchi – che dalle pagine de La Repubblica di ieri chiede al Governo una “regolarizzazione” - solo mesi dopo si decideva a chiedere al Ministro di rilasciare un permesso per motivi umanitari. D'altra parte lo stesso Assessore meno di un anno fa dichiarava pubblicamente che il sistema di accoglienza emiliano-romagnolo era un modello da esportare!

Nel frattempo i migranti nei centri trascorrevano le giornate aspettando una risposta sulla loro sorte, in un'accoglienza fai da te che, nei casi migliori – pochissimi – ha prodotto tirocini gratuiti a spostare faldoni in Tribunale o borse-lavoro in aziende dove per otto ore giornaliere venivano retribuiti 200 euro mensili. Da quanto ci risulta - ma ci farebbe piacere essere smentiti - nemmeno uno dei richiedenti asilo accolti a Bologna è riuscito a superare i mille ostacoli amministrativi per iscriversi al Centro per l'Impiego e poter così intraprendere formazioni professionali certificate.

Ecco perché, salvo rare eccezioni, il cosiddetto “modello emiliano-romagnolo” è ai nostri occhi poco più che un modello di assistenza/liasmo nefasto, che in diciotto mesi è riuscito soltanto a distruggere le persone che abbiamo conosciuto insieme alla loro dignità, a sprecare montagne di soldi (regalandole alla Protezione Civile e alla CRI), a trasformare i diritti in utopie, a danneggiare l'esperienza di accoglienza dei soggetti attivi nel Sistema Protezione Richiedenti Asilo e Rifugiati (SPRAR).

Se non viene immediatamente rimessa a tema la dignità dei richiedenti asilo (costretti d'ufficio a presentare la domanda di asilo), il dibattito che parte oggi sui media locali rischia di prendere la brutta piega di un gioco delle parti: da un lato gli enti locali che fingono di contestare il Governo che chiude i fondi (ma solo un mese fa hanno sottoscritto insieme un accordo di “exit strategy” dall'emergenza!), dall'altra il Governo che elemosina altri finanziamenti all'Unione Europea e, su tutti, la retorica – speriamo che resti solo retorica - razzista e xenofoba che contesta l'investimento di altri fondi per “mantenere i profughi”. Stritolati nel mezzo, i cosiddetti “profughi” appunto, privati con questa parola persino di un'identità giuridica, dato che l'emergenza e le sue politiche sono riuscite anche a far perdere ogni traccia dei loro diritti e del loro status.

Se così deve essere, speriamo però che questa volta gli amministratori si impegnino di più, e fino in fondo, ora che finalmente iniziano ad avere sentore del proprio coinvolgimento nella partita. Speriamo ad esempio che non si accontentino di una proroga dello stato di emergenza (se all'inizio era ignobile considerare “emergenza” l'arrivo di 40mila persone, a distanza di 20 mesi diventa grottesco) e che si impongano con forza contro un'accoglienza miserabile. Speriamo anche che facciano chiudere i Prati di Caprara, perché sono una struttura vergognosa, che sembra appartenere alla periferia di Kinshasa anziché a quella di Bologna, ma speriamo che facciano chiudere anche Villa Aldini, perché queste persone, e i loro figli nati lì, dopo venti mesi hanno bisogno di vivere in CASE.

A onor del vero in questi diciotto mesi, enti locali e Regione hanno apposto la propria firma su ogni atto emanato dal Governo, Berlusconi prima e Monti poi, ma mai hanno preteso che il Governo rispettasse gli accordi presi, né avevano osato contestare ordinanze e decreti prima d'ora... un altro segnale che il vento sta cambiando per il Governo Monti?

Ora che le abbiamo ristabilite, proviamo a sorvolare sulle responsabilità, d'accordo. Ma da chi prende parola su questo tema da oggi in poi vogliamo sentir dire una cosa semplice: i migranti fuggiti dalla Libia non possono essere profughi a vita. I pochi o tanti soldi che restano, o che si troveranno, devono servire a questo. E a chiudere per sempre la pagina dell'”emergenza”.

Neva Cocchi, Sportello Migranti TPO Bologna