Er Più de Palazzo Chigi

La conferenza stampa di fine anno di Renzi tra simulacri e superficialità

30 / 12 / 2015

Sono quindici i punti affrontati da Renzi nel corso della consueta conferenza stampa governativa di fine anno. Dal lavoro al PIL, da Expo al Mezzogiorno, dalla legge elettorale alla politica estera, lo slide-show scorre veloce, illustrando i successi ottenuti dal governo nel 2015 e conferendo al premier un’immotivata spavalderia che gli consente di glissare sulle domande più insidiose fatte dai giornalisti presenti in sala.

Il segno “più” sembra essere il leitmotiv dell’anno appena trascorso. “Italia col segno più” è stato lo slogan di accompagnamento della recente legge di stabilità; “2015 col segno più” è il titolo che alcuni giornalisti di area governativa hanno assegnato alla conferenza stampa.

In effetti quel segno più esiste ed è relativo alla crescita del PIL, passato dallo 0,7% previsto a fine 2014 ad un “incredibile” + 0,8 reale. Ovviamente siamo ironici, perché non c’è bisogno di essere illustri economisti per affermare che questi livelli di crescita ci parlano di un Paese nel pieno di una stagnazione economica. Tecnicamente la stagnazione è infatti caratterizzata da una situazione economica in cui persistono modeste variazioni di PIL e reddito pro-capite. Eppure Renzi esulta, spaccia gli “zero virgola” come successi e non fa altro che confermare una tradizione politica assai radicata in Italia: quella di affrontare pubblicamente i temi legati alla crisi economica con estrema superficialità. Dai “ristoranti pieni” di Berlusconi al "segno più” di Renzi in questi anni abbiamo assistito al trionfo dei simulacri mascherati da imprese politiche, mentre si stava consumando  un vero e proprio dramma sociale nel Paese. Un Paese che dopo sette anni si ritrova in preda alla povertà dilagante e massificata, a cui fa da contrappeso l’arricchimento di un’élite economico-finanziaria trasformatasi in blocco sociale e politico.

Ma il problema non sta solo nei proclami governativi e nell’utilizzo, sempre parziale e di parte, dei dati economici al fine di corroborare una linea politica sempre più attestata su posizioni neoliberiste. I segni aritmetici, quando sono utilizzati per leggere una fase economica, hanno sempre una direzione. Allora la domanda è questa: chi sono i beneficiari reali dello spostamento in avanti (se pur prossimo allo zero) della ricchezza legata alla produzione di beni e servizi che si è data in Italia nel corso del 2015? Di certo non sono i trecentomila occupati in più millantati da Renzi, legati più che altro (come spiega Roberto Ciccarelli sul Manifesto[1]) alla conversione di vecchi contratti avvenuta sulla base delle norme previste dalla legge Fornero. E non sono neppure i giovani, sempre presenti nell’oratoria renziana e statisticamente individuabili nella fascia d’età compresa tra il 15 ed i 24 anni, il cui tasso di disoccupazione rimane saldamente ancorato attorno al 40%, dopo essersi a metà anno pericolosamente riavvicinato al record assoluto (il 43,5% segnato nei mesi di luglio ed agosto 2014[2]). Non sono infine i piccoli proprietari, residuo di un ceto medio già polverizzato da sette anni di crisi, ridicolizzati dall’ultima legge di Stabilità grazie al taglio dell'Ires, che di fatto avvantaggia esclusivamente le grandi imprese di capitali.

In assenza di reali politiche redistributive e con l’incessante aumento di tagli al Welfare ed alla spesa sociale la direzione del “più” è già segnata e non rompe, ma di fatto aumenta, quella concentrazione di redditi e patrimoni nelle mani di pochi. Concentrazione mirabilmente sintetizzata nelle serie storiche analizzate da Piketty, in quello che è ormai diventato un best seller della letteratura economica mondiale[3], e confermata dai dati relativi alle disuguaglianze sociali nel territorio europeo divulgati negli ultimi mesi. Tra questi citiamo quelli di Oxfam, una delle principali organizzazioni specializzate in aiuti umanitari composta da Ong di 17 diversi Paesi, secondo i quali nell’Unione Europea il numero dei “miliardari” è più che raddoppiato tra il 2009 ed il 2014 (passando da 148 unità a 348), a fronte di un costante aumento di perone “in condizione di grave deprivazione materiale”, passate nello stesso periodo dal 6,4% all’11,5% della popolazione. In generale la fotografia della distribuzione della ricchezza in Europa alla fine del 2014 assume la seguente conformazione (com’è possibile vedere nell’immagine): l’1% della popolazione più ricco possiede il 31% della ricchezza; il successivo 9% ne detiene il 38%; il seguente 50% si attesta sul 30% della ricchezza; al 40% più povero della popolazione rimane solamente l’1%. L’Italia in particolare è uno dei Paesi dove le disuguaglianze sociali emergono in maniera più nitida, con il 20% più ricchi detiene che il 61,6% della ricchezza nazionale netta, mentre il 20% dei più poveri può contare appena sullo 0,4% della ricchezza complessiva[4].

Tenendo presente questi dati e le considerazioni appena fatte, l’aumento della concentrazione della ricchezza e le conseguenti disuguaglianze sociali, rafforzatesi nella fase di ristrutturazione del capitale avvenuta nel periodo più acuto della crisi sistemica, si collocano, nel tempo lungo della stagnazione, come condizione organica e permanente. Una condizione che solo la nascita di forti movimenti sociali, che sappiano parlare di emancipazione dalle disuguaglianze e di liberazione dalla povertà, può rompere.



[1] R. Ciccarelli, Jobs Act, per l’inconscio renziano i veri gufi sono i numeri, “Il Manifesto”, 30 dicembre 2015

[2] Istat, Tasso di disoccupazione (15-24 anni) – dati mensili, http://dati.istat.it/Index.aspx?DataSetCode=DCCV_TAXDISOCCUMENS

[3] T. Piketty, Il capitale nel XXI secolo, Bompiani 2014

[4] Oxfam, Un’Europa per tutti, non per pochi, settembre 2015 http://www.oxfamitalia.org/wp-content/uploads/2015/09/EU-report_finale_08.09.pdf