Francia - Il pericolo

Nessuna legge "antiterrorista" votata in questi ultimi tre anni ha evitato le azioni presunte o i crimini commessi dai membri attivi dell'"esercito islamico" e di conseguenza garantito una prevenzione al rischio di attentati.

11 / 6 / 2017

Il 7 giugno il vero attacco non è stata la martellata contro il poliziotto di turno davanti a Nôtre-Dame ma la proposta di legge all'Eliseo. Invece di uscire dal dispositivo dell'emergenza, la Francia - unico paese in Europa a non rispettare in modo permanente la Convenzione europea dei Diritti umani - lo mantiene nonostante la sua provata inefficacia e vuole inserirlo nel Diritto comune con un progetto di legge "che rinforza la lotta contro il terrorismo e la sicurezza interna", concentrando i poteri nelle mani dell'esecutivo e cancellando definitivamente le libertà costituzionali.  

Mantenere ed estendere le prerogative prefettizie come accade alle frontiere francesi o contro le lotte sociali è l'unico effetto ottenuto sul campo della "guerra al terrorismo", e anche l'unico impatto che l'apparato della politica "anti-terrorista" ha avuto. Infatti la commissione d'inchiesta sullo stato d'emergenza dell'Assemblée nationale, il parlamento francese, ha insistito a più riprese sulla sua inutilità perché sia la giurisdizione classica che i servizi di sicurezza hanno i mezzi per occuparsene e lo stanno già facendo. Quindi nuove e ulteriori misure di sicurezza sono inutili. 

Cosa serve far entrare nel Diritto comune le perquisizioni "amministrative" e l'obbligo domiciliare, o sigillare i luoghi di culto, oppure creare "zone di protezione e di sicurezza"? Fino ad oggi, solo un magistrato poteva usare queste misure. Invece, nella prospettiva data dal governo Macron, identica a quello di Hollande, non sarà più la magistratura a decidere ma la prefettura. L'autorità giudiziaria, marginalizzata in seguito all'instaurazione del regime d'eccezione dagli attentati del novembre 2015, non avrà alcun strumento di garanzia del diritto.

Questa pericolosa scelta non solo abbandona il principio di protezione delle libertà consolidato nel secondo dopoguerra, ma spalanca la porta istituzionale  a quelle pratiche  di identificazione del "nemico" che fanno leva sulla differenza e sulla divisione etnico-religiosa, terreno già reso fragile da politiche trentennali di colonizzazione interna, e ancora di più sulla delazione nelle sue forme più abbiette e purtroppo storicamente conosciute.

Il progetto di legge non porta la firma del ministro della Giustizia ma solo quella del Ministro dell'Interno, l'iperattivo Collomb che si è distinto con l'invio in massa di polizia a Calais in quest'ultima settimana e che, per far fronte al "pericolo terrorista imminente", adotta lo stesso metodo repressivo, che si tratti di cittadini francesi o di migranti. 

Non si tratta di misure "tecniche" come vengono banalizzate dal Primo Ministro Philippe, è in tutto e per tutto l'adozione di un modello totalitario di gestione politica della società.

Scartare la magistratura per affidare il suo compito al Ministero dell'Interno, mettere il potere nelle mani delle forze dell'ordine in modo permanente senza controllo giudiziario va ben al di là della specificità stessa di queste misure, che nel loro insieme incidono in modo arbitrario sulle libertà personali di decine di migliaia di persone. Come, per esempio, imporre l'uso del braccialetto elettronico ai sospettati di aderire ad un movimento ideologico islamico.

Il capitolo "sorveglianza ed altri obblighi individuali" verrebbe inserito nel codice di sicurezza interna, creato da Sarkozy nel 2012. L'articolo che permette di assegnare ai domiciliari per tre mesi rinnovabili è un copia-incolla dell'articolo 6 dello stato d'emergenza (provvisorio) che prevede questa possibilità nei confronti di "chiunque dia seri motivi di pensare che il suo comportamento possa costituire una minaccia particolarmente grave per la sicurezza e l'ordine pubblico". Ricorda qualcosa a partire dalle mobilitazione contro la COP21, poi con la Loi travail e, dal 2015, l'ingiustificata e illegittima persecuzione di centinaia, migliaia di persone "sospette". L'unica variante è quella che stabilisce che la magistratura sia avvisata prima dell'adozione della misura "preventiva". Attualmente, viene avvista "sans delai", che vuol dire dopo, se e quando il Prefetto decide di comunicarla. 

Per le perquisizioni "amministrative" resta tutto identico allo stato d'emergenza: confiscati i dati personali, computer, telefoni o smartphone dall'autorità amministrativa e non giudiziaria, cioè i dati vengono gestiti e verificati nei commissariati, dalle prefetture e dai servizi di sicurezza direttamente, senza autorizzazione di un giudice.

Il testo della proposta di legge supera lo stato d'emergenza degli ultimi 18 mesi, il Ministro dell'Interno stesso può decidere chi far sorvegliare, già nel 2015 questa prerogativa era stata introdotta poi abbandonata per la sua incostituzionalità, adesso questo punto non sembra più porre alcun problema di adeguamento.

Al pari del controllo dei luoghi di culto, la misura viene resa molto più facile: i prefetti possono decidere "quando ritengono che le idee o le teorie diffuse o espresse, o le attività che si svolgono, incitano alla discriminazione, all'odio, alla violenza, o al commettere atti di terrorismo in Francia o all'estero, oppure fanno apologia di tali attitudini o di tali atti". Anche qui, nessun bisogno che un giudice verifichi e qualifichi ai sensi di legge le idee e gli atti che giustificherebbero queste misure. Misure che vengono definite "restrittive" e non "privative" della libertà. Ma questa ambiguità resta solo nel linguaggio formale perché nella realtà significa abolizione dello stato di diritto come viene segnalato anche da Amnesty International riguardo alla Francia

Il 21 giugno comincerà l'iter parlamentare per integrare l'eccezione al Diritto, insieme al voto per il prolungamento dello stato d'emergenza fino al 1° novembre 2017, una delle prime decisioni del neo-presidente Macron.