Francia - La mobilitazione e la solidarietà per Gaza non conosce tregua

Dall'inizio della guerra a Gaza, decine di migliaia di persone scendono in piazza ogni settimana a sostegno della resistenza palestinese contro la guerra e l'occupazione israeliana.

20 / 8 / 2014

In pieno agosto, la megalopoli parigina è meno densa, la mobilità rarefatta, anche nei quartieri popolari l'attività quotidiana si trascina fino a sera tardi, molto tardi. Le camionette blindate dei CRS stazionano ai confini di quelle che vengono riconosciute dagli abitanti stessi come zone controllate, 24 ore su 24. Altri presidi della polizia antisommossa militarizzano aree urbane considerate 'target' da qualche decina di militanti, bande armate di dogmi e pregiudizi che tentano di territorializzare il conflitto religioso e nazionalista, sorta di pandemia ideologica che lo stesso governo francese ha contribuito a  propagare sostenendo l'intervento armato dello Stato israeliano. 

Scendere in piazza per la Palestina vuol dire mescolarsi all'arco ben definito dei collettivi politici, eufemismo per dire laicamente che ci sono tutti o quasi, ma sopratutto ci sono i devoti al martirio, i gruppi che si appellano alla legge del Profeta e praticano una lettura coranica della guerra. L'esperienza in sé può rivelarsi sociologicamente interessante,  le contraddizioni politiche emergono e impongono incontri ravvicinati  ma anche, inevitabilmente, la discussione. Quando e per quanto possibile un dialogo esiste con tutti. I primi interlocutori, i Palestinesi stessi che vivono in Francia e si organizzano come la maggior parte dei rifugiati grazie allo scambio e aiuto reciproco.

Collettivi che coinvolgono i palestinesi che vivono con o senza riconoscimento da parte di un paese dell'EU, le loro famiglie, e relazionano con le strutture amministrative locali, università o Comuni in Francia come nei Territori, tra i quali il più rappresentativo è il GUPS, Union Générale des Étudiants de Palestine (http://www.gups-france.org). Organizzatori prioritari delle manifestazioni francesi, sia autorizzate che non-autorizzate, gli studenti palestinesi in Francia hanno un lungo curriculum di lotte e di impegno sociale sia in Palestina che in Europa.  

In concomitanza della mobilitazione internazionale in sostegno ai Gazawi, abbiamo condiviso da osservatori il loro percorso militante a Parigi,  con alcuni è stato possibile discutere a margine delle manifestazioni e approfondire i punti  che ci interrogano politicamente ma anche culturalmente da una riva all'altra del Mediterraneo.

Di seguito, trascriviamo riassumendo la serie di incontri che ci hanno permesso di sondare e poi capire le tensioni che spaccano la società francese e il discorso che si profila  per ora, come unica via di uscita dalla contrapposizione armata, militare tra Israele e Palestina. Parallelamente agli attacchi militari c'è  la battaglia mediatica,  campagne di comunicazione con parole, poi di atti  compiuti in Francia in nome di una guerra che l'Europa stessa è incapace di rifiutare e condannare.  

Dall'inizio dell'ultima operazione militare contro l'enclave di Gaza, i  social network arabi sono utilizzati dal 35% della popolazione palestinese, abitanti della Cisgiordania, Gerusalemme-est e Gaza. Circa un milione di persone comunica la propria paura, la depressione e l'orrore del conteggio delle vittime, non c'è alcuna discussione, solo scambio di immagini e informazioni in diretta (chi, dove, come), pura emozione. 

70% sono giovani sotto i 25 anni e 50% di questi sono minorenni, i Palestinesi di Gaza sono viscerali tra odio e disperazione. Considerano tutti traditori, l'Egitto, i capi di Stato arabi che li abbandonano al loro destino, Abbas (presidente dell'Autorità palestinese) che considerano inaffidabile perché tratta con Israele. E Israele, accusato di commettere massacri e un "genocidio". Si sentono in trappola, non sanno dove andare, dove rifugiarsi ed è per questo motivo che rifiutano di considerarsi "scudi umani". Stanno là senza un altrove possibile come in un ghetto, il "ghetto di Gaza". 

Un tweet diceva "Voglio vivere e se muoio sappiate che non ero un partigiano di Hamas, ne' un combattente. Ma neanche uno "scudo umano". Ero in casa.

La maggior parte dei giovani palestinesi non appoggia più Hamas, quel poco sostegno che resta diminuisce giorno dopo giorno e i dirigenti di Hamas lo sanno. Questa distanza dipende dalla situazione economica. I Palestinesi di Gaza dicono "no" ad Hamas, ad Abbas e a Israele.

Perché non rivendicano la loro autonomia da Hamas?

Hanno visto i risultati delle "rivoluzioni" e i capi arabi spargere sangue in piazza, vedono quello che accade in Siria, il Libia e in Irak. Temono che Hamas non esiti a tirare, sanno che il governo non cadrà subito e facilmente. I Palestinesi sono stati i primi a sollevarsi, ben prima della "primavera araba". Sanno scendere in piazza e manifestare, oggi a Gaza sono sfiduciati, stanchi e hanno paura.  Il governo di Gaza non è democratico, chi critica finisce in prigione, anche in Cirgiordania è la stessa cosa. A Ramallah lo scorso 24 luglio (data della creazione di Israele nel 1948 e della confisca delle terre palestinesi) c'erano solo diecimila persone mentre gli organizzatori ne avevano previste cinquantamila. In realtà non ci si rivolta contro Hamas perché non si sa chi potrebbe sostituirlo.

L'Autorità palestinese non è più un'alternativa…….  

Corrotta al 100% dicono a Gaza. Chi ha votato Hamas lo ha fatto credendo che fosse meno corrotto. 

I tunnel servivano, oltre ad importare armamenti e missili iraniani, al trasporto di fondi per Hamas mentre i Gazawi pensavano ai rifornimenti di cibo. 

Oggi sono disillusi e credono che chiunque acceda al potere diventi altrettanto corrotto di chi l'ha preceduto. Oggi c'è una forte solidarietà tra palestinesi della Cisgiordania e quelli di Gaza ma in tempi "normali" non era la stessa cosa perché sono entità separate. La Cigiordania guarda alla Giordania, Gaza all'Egitto e Gerusalemme-Est si rivolge agli arabi israeliani. Adesso qualcosa si muove da parte loro, non nascondono più la frustrazione ma c'è un grande sfinimento, i rappresentanti palestinesi sono deboli e questo vuol dire che c'è spazio per tutti gli estremismi.

Qui in Francia, nei comunicati e negli appelli a manifestare si rivendica la "resistenza"  inevitabilmente armata a Gaza. 

Hamas non ha perso la guerra. Ha provato che è pronto a sfidare il nemico. E' riuscito a bloccare i voli verso Israele e a terrorizzare milioni di persone, a colpire le città e i villaggi aldilà della frontiera ma soprattutto a demolire l'immagine di Israele a livello internazionale.

Hamas pone delle questioni legittime, Israele deve fare concessioni perché non può e non vuole annientare Hamas ma entrambi restano pronti a continuare la guerra… per ottenere una normalizzazione globale, per uno Stato palestinese smilitarizzato con Gerusalemme per capitale e accesso a Hral-Al-Sharif (Montagna del Tempio). Hamas però non sembra pronto ad accettare 2 Stati ed a riconoscere l'esistenza dello Stato di Israele, vuole distruggerlo ma sa che non può farlo e chiede, comunque, un referendum per la creazione di uno Stato con Gerusalemme capitale. Aveva persino proposto una hudna, tregua di dieci anni… 

I dirigenti israeliani vogliono sempre distruggere, umiliare, non dare alcuna via d'uscita ad Hamas per eliminare la determinazione popolare, lo scopo è quello di far pressione sul braccio armato per ottenere un armistizio temporaneo. Ma non funziona perché la popolazione di Gaza non ha più niente da perdere. Anche se Tsahal (l'esercito israeliano) eliminasse tutti i loro capi, non riuscirebbe a distruggere l'anima ideologica del movimento. I giovani, la maggioranza della società palestinese, sono cresciuti dentro la distruzione e la morte. questo rende combattenti e non pacifisti.

Se si vuole coesistere, ed è possibile, tocca a chi è più forte, Israele,  accettare la sfida come in passato con l'OLP (Organizzazione per la Liberazione della Palestina) e Arafat, ma oggi anche gli accordi in corso al Cairo dimostrano che non c'è un governo capace di correre il rischio, la divisione è troppo profonda. Il primo ministro israeliano non crede che Hamas possa fare una scelta pragmatica. Ci sarà un accordo temporaneo, poi si ricomincerà a perdere un'occasione dopo l'altra…

Si, e tutta la situazione si ripercuote qui dove ciascuno connota le proprie pratiche politiche misurandosi con la guerra di occupazione degli Ebrei.

Degli Israeliani…… 

Dello Stato ebraico

Nelle manifestazioni, abbiamo visto cartelli, bandiere, striscioni,  sentito slogans ostili agli ebrei in quanto tali, ma anche rabbini pacifisti.  E un collettivo di militanti  israeliani contro la guerra che non ha esitato a partecipare ai cortei insieme alle organizzazioni islamiche, in particolare al gruppo eterogeneo di 'tifosi' che si chiama Gaza Firm

È un dilemma ogni volta, anche dal punto di vista organizzativo e del servizio d'ordine. La Prefettura non autorizza i cortei e non permette alcun presidio se ci sono certe organizzazioni religiose, allora quando ci coordiniamo per manifestare insieme diciamo chiaramente che noi Palestinesi non intendiamo creare problemi con la Francia e la polizia francese, non possiamo e non vogliamo comportarci come fanatici, poi le stesse forze dell'ordine cercano ogni pretesto per indebolirci politicamente.  Ma gli ebrei possono tranquillamente sfilare come tutti gli altri senza problemi, a noi tocca garantire che ciò avvenga, non alla Polizia.Però la Polizia non può chiederci di impedire la partecipazione di altri collettivi con i quali non condividiamo idee e neanche prospettive.  

Ma questi movimenti islamici fanno dichiaratamente riferimento all'estrema destra radicale, hanno il sostegno appassionato di Egalité et Réconciliation di Alan Soral e, in Francia, si fanno un sacco di pubblicità grazie ad un'avvilente campagna antisemita. La loro "piattaforma antisistema" gode di enorme successo in rete (https://www.youtube.com/watch?v=Amtvg81z78U#t=70) e si spacciano come "voci dissidenti" che "la lobby ebraica vuole far tacere", insomma per essere espliciti c'è uno spettacolare slittamento che non è solo semantico… anche se poi la sintonia con l'estrema destra è stata pubblicamente smentita dal "gruppo di amici della causa palestinese". 

C'è una nuova generazione solidale con la lotta del popolo palestinese che scende in piazza  ma non conosce la storia, ignora le cause e gli effetti della colonizzazione in Medio-Oriente, si orienta a livello personale o per affinità religiosa senza sapere che la resistenza palestinese è un cambiamento continuo, si nasce e si muore resistenti ma noi e le nostre famiglie desideriamo la pace, vorremmo provare cos'è la vita senza guerra, come prima della seconda Intifada.

Per questo organizziamo degli scambi e dei viaggi tra Palestina a Francia, per far capire a chi vive in Francia la dimensione di vita in Palestina e ai Palestinesi permettere, dare un'occasione per scoprire una realtà differente e meno oppressiva. Entrambi sono orizzonti necessari e complementari. I nostri numerosi progetti, che coinvolgono studenti e chiunque metta a disposizione le sue competenze per contrastare le politiche coloniali di Israele, hanno come obiettivo il miglioramento delle condizioni di vita quotidiana e l'accesso alla formazione. Il proposito è dare opportunità a tutti di conoscere e riconoscersi nei progetti. In questo senso siamo consapevoli che l'identità non è religiosa ma sociale e culturale insieme per questo siamo convinti che è necessario, dobbiamo lavorare insieme agli ebrei, israeliani e non, qui in Francia come in Palestina. Naturalmente con gli ebrei critici! Anche se non tutti i Palestinesi la pensano così. 

Per alcuni la scelta politica diventa anche personale, quando si ragiona e si fanno cose insieme poi ci si rispetta. È molto importante trasmettere questo aspetto comune, dimostrare concretamente che è possibile andare oltre la paura e il sospetto reciproco, vincere questa prima battaglia contro le parole e le idee che intaccano le relazioni in modo profondo, e spesso irrevocabile. 

A Sarcelles, in luglio, c'è stata una sommossa che ha colpito commercianti, scuole e strutture locali ebraiche,  davanti alla Sinagoga non c'erano solo ebrei ma anche molti musulmani che tentavano di bloccare i "casseurs" e si sono fatti pure malmenare. In quella banlieue come in altre  si è passati dal vivere insieme, neri, bianchi, cattolici, musulmani, ebrei, "francesi"… al vivere vicini. 

I quartieri sono ostaggio di bande rivali tra cui la LDJ (Ligue de Défense Juive), gruppo paramilitare che dovrebbe essere sciolto e condannato. A volte i giovani si detestano senza sapere perché, si surriscalda il clima perché c'è disagio e molta ignoranza. 

A partire dalla scuola, gli insulti razzisti piovono come niente, neanche i professori osano intervenire contro i giovani integralisti nutriti di odio contro gli ebrei. "Casser du juif" via Facebook non è una moda virtuale, un passatempo,  ci si invita sportivamente tra amici. Quando il tuo vicino di casa grida "morte agli ebrei" hai solo paura e quando vedi che si spaccano la porta d'entrata del tuo immobile, si sfregiano muri e si verniciano negozi con simboli nazisti o religiosi, si utilizzano mortai e si spaccano vetrine in fila una dietro l'altra, si bruciano locali e si mette a rischio la vita delle persone sai che un pericoloso limite è stato oltrepassato.

Si, non basta cantare insieme La Marseillaise. L'antidoto non è la République, gli anticorpi siamo noi, non le autorità che si preoccupano degli attacchi al modello di convivenza repubblicano, laico e lontano dalle contraddizioni della società in cui viviamo, dove proviamo con molta difficoltà, e nonostante queste e altre spaccature, a convivere. 

Fa parte dell'esperienza politica che riguarda la questione israelo-palestinese anche questa messa al bando, una distanza che costringe a collocarsi oppure a negarsi, o dissociarsi e quasi giustificarsi di essere ciò che si è per educazione più che per un senso stretto di appartenenza ad una tradizione culturale forse, religiosa molto a margine.  Una sorta di autocensura per evitare gli ostacoli della divisione e purtroppo anche dell'infamia, matrice di tutte le fobie e i razzismi.  

Siamo uguali, non c'è differenza tra noi, in Palestina fino a dieci anni fa più o meno, non si faceva nessuna differenza tra gli abitanti, tra arabi ed ebrei. 

Migliaia di Israeliani hanno manifestato a Tel-Aviv per spingere il governo a negoziare con l'Autorità palestinese, 2000 morti palestinesi e 70 israeliani per poter negoziare! Sia in Europa che in Medio-Oriente si sfidano le destre radicali, conservatrici e nazionaliste ma In Israele come in Francia c'è scarsa e occasionale mobilitazione contro le politiche oscurantiste che riguardano l'immigrazione. Sappiamo che le guerre producono esodo, allontanamento, esilio, il Mare Nostrum è un cimitero per chi vuole o deve partire, lasciare la propria terra d'origine,  l'accoglienza si costruisce insieme, con la tolleranza e la conoscenza dell'altro, ha sempre più senso pensarlo e valore nel praticarlo da Sarcelles a Gaza. 

16mila case distrutte a Gaza, danneggiata quasi interamente la rete idrica, quella elettrica e le infrastrutture di servizio. Un quarto dei 350 mila sfollati che si rifugiano nelle scuole  UNRWA o dai familiari non sanno dove ritornare, non hanno un posto dove stare a parte un rifugio da accampati. Ci vorranno tanti mesi prima di iniziare a ricostruire. E ci vorranno settimane per stabilire un bilancio definitivo delle vittime. Nei campi di rifugiati si va a far spesa, si cerca di riprendere una vita normale  tra fogne all'aria aperta e ingorghi del traffico. La polizia di Hamas è tornata nelle strade e sorveglia la distribuzione degli aiuti alimentare forniti dall'Autorità palestinese. Anche Hamas distribuisce aiuto ai suoi combattenti ed ai suoi impiegati. I comitati dei movimenti islamici passano nei quartieri a valutare i danni. Tutti aspettano i bulldozer perché ci sono ancora dei corpi sotto le macerie. Qui, possiamo sostenere la resistenza della popolazione di Gaza, la lotta del popolo palestinese ma bisogna costruire un'alternativa alla guerra e dobbiamo farlo tutti, insieme. 

Marina Nebbiolo, Fabio Mengali con Kamil, Taymour, Mohamed 

Parigi - Manifestazione in solidarietà a Gaza

Parigi - Manifestazione in solidarietà a Gaza