I bastardi di Gorino. Appunti di fase su razzismo ed antirazzismo

28 / 10 / 2016

Orson Welles in “Quarto potere” racconta alcuni frammenti di vita del magnate della stampa Charles Foster Kane, da diverse angolature, in modo da lasciare allo sforzo soggettivo dello spettatore la possibilità di tracciare una sintesi del personaggio. Allo stesso modo i fatti di Gorino, e la loro sovraesposizione mediatica, pongono alla luce tanti nessi interpretativi di una vicenda destinata a creare un precedente importante sul tema dell’accoglienza in questo Paese. Le visioni soggettive, che nell’era social diventano spesso compulsive, non devono però allontanarci da una sintesi politica dell’accaduto. A Gorino, in quel lembo di Polesine dove fiume, palude e terra quasi si confondono, ha trovato espressione il volto più brutale della discriminazione razziale . Chi l’ha messo in atto, fomentato, sostenuto e coperto politicamente è un nemico, da combattere con ogni mezzo.
Ci teniamo a dare questo elemento di chiarezza, proprio perché un fatto come questo, pur nelle tante angolature wellesiane da cui viene visto, non lasci alcuna ambiguità di lettura e non venga consegnato alla mercè dell’opinionismo tout court. I tanti e tante che hanno provato ribrezzo ed indignazione per le immagini di 12 donne ed 8 bambini di origine africana contro cui sono state innalzate “barricate” devono apertamente esprimere odio nei confronti di chi ha determinato l’accaduto. L’odio non è una passione triste quando si afferma come elemento di rottura di uno schema necropolitico, quando si emancipa dalla dimensione viscerale e diventa essenza politica. “Odio mosso d’amore” cantavano i 99 Posse ormai più di venti anni fa. Le due forme di vita, contrapposte ma dialettiche, si intrecciano inevitabilmente quando la posta in gioco riguarda la libertà di potersi muovere, di assecondare bisogni, di desiderare, di continuare a vivere.
Bisogna evitare di schiacciare la lettura dei fatti di Gorino sulla dimensione episodica. Il razzismo, in Italia in maniera differente che in altri Paesi d’Europa, si sta politicizzando sempre di più. Sta assumendo forme e pratiche che si riproducono, innescando un meccanismo che va oltre la mera e perversa emulazione del gesto, enfatizzata dalla propaganda di quelle fazioni che fanno della xenofobia il proprio manifesto politico. Il razzismo è una visione del mondo chiara e consapevole, codificatasi attraverso lessici e pratiche che scaturiscono e si riproducono all’interno del corpo sociale. Il revanscismo barricadero, sostenuto da una retorica sovranista nazional-identitaria, proprio scimmiottando azioni tipiche dei movimenti popolari di resistenza, punta a creare un nuovo immaginario delle ideologie reazionarie.  

Dalle ceneri dei movimenti che negli anni più acuti della crisi sistemica hanno lottato per la giustizia sociale è emerso un lato oscuro della moltitudine. Un lato composto da chi ha interiorizzato la scarsità come condizione su cui riassestare le ambizioni di vita, trasformando l’impoverimento oggettivo in senso di rivalsa soggettiva nei confronti del nuovo grande “esercito di riserva” prodotto dai flussi internazionali di forza-lavoro. 
Dentro questo contesto economico-sociale, che inevitabilmente ha trasformato le forme di vita nell’ultimo decennio, emerge un quadro antropologico legato alle scelte individuali, alla decisione di scegliere tra due campi di forze contrapposti. Respingere ed accogliere diventano atti politici, il cui significato sconfina rispetto a quello terminologico ed indica un posizionamento etico-politico rispetto ai rapporti di forza che si stanno determinando nella società contemporanea.
I fatti di Gorino meglio di altri testimoniano le modalità di affermazione di questa linea di demarcazione e gli attori in campo che, in forme diverse, riempiono ed alimentano il terreno di scontro. E’ innegabile che le forze cosiddette “populiste di destra”, in Italia come altrove, abbiano avuto un ruolo fondamentale nell’etnicizzare paure ed insicurezza sociale. E’ innegabile che le azioni di forza contro i luoghi dell’accoglienza e contro i migranti stessi, che si stanno espandendo a macchia d’olio sulla cartina del vecchio continente, siano uno strumento di contrattazione politica delle destre per rendere ancora più rigide le politiche dell’Unione Europea rispetto ai flussi migratori. Ma in questo gioco ci sono tanti attori politici in campo, che utilizzano strumentalmente la retorica dell’esasperazione.

A Gorino, se la solita Lega Nord ha dato immediatamente copertura politica all’episodio, con il responsabile sicurezza di Ferrara (tale Nicola Naomo Lodi, già noto per scorribande anti-profughi nel rotocalco di Del Debbio “Dalla parte vostra”, con tanto di maglietta “+ RUM – ROM”) che si è precipitato sul luogo gestendo immediatamente l’evento con una diretta facebook, anche altre forze politiche si sono accomodati su posizioni di compiacenza. La sezione locale del Movimento 5 Stelle, attraverso i social, rispondendo ai commenti di alcuni utenti, ha giustificato senza mezzi termini l’accaduto, parlando di “persone scese in piazza per via dell’esasperazione” e “sacrosanto diritto del cittadino a ribellarsi”. Dello stesso tenore sono state le dichiarazioni, molto più pesanti sul piano politico ed istituzionale, del premier Renzi il quale, dopo una prima sommaria condanna, nel corso della trasmissione “Porta a Porta” ha dichiarato “comprensione nei confronti di una parte della popolazione molto stanca e preoccupata”. Lo stesso prefetto Mario Morcone, capo del dipartimento Immigrazione del ministero degli Interni, ha giustificato l’atteggiamento remissivo delle forze dell’ordine e la decisione di trasferire i migranti in un altro luogo affermando: “Non potevamo certo manganellare i manifestanti”. Le parole del rappresentante dello Stato rimbombavano sui media proprio mente a Bologna avveniva l’ennesimo (ormai quotidiano) pestaggio della polizia ai danni di studenti che rivendicavano una mensa universitaria accessibile a tutti. I due volti delle forze dell’ordine, dialoganti con i razzisti e violente con chi chiede diritti, sintetizzano in maniera spicciola ma efficace l’immagine di un Paese spinto sempre più verso il baratro dalle proprie élite. 
Esiste dunque un rapporto sincretico tra quel razzismo sociale, che si afferma nel corpo collettivo muovendosi orizzontalmente, ed il razzismo istituzionale. Questo agisce in modo verticale, si snoda da Bruxelles verso i nostri territori, passando per Roma, ed ha imposto ovunque una concezione dell’accoglienza intrecciata, se non sovrapposta, con il tema dell’ordine pubblico. D'altronde la narrazione dominante sulle migrazioni -  costruita, alimentata e utilizzata in termini retorici dalla governance europea -  è lei stessa portatrice di una visione e prassi schiacciata sulla difesa armata delle frontiere e la sua esternalizzazione verso i paesi terzi. Frontex, gli infami accordi con la Turchia e l’Afghanistan, i confini militarizzati, l'impossibilità per le persone di raggiungere in modo sicuro il vecchio continente sono barricate che dall'alto si infrangono violentemente sulle vite dei migranti. Allo stesso tempo, l'uso di un linguaggio securitario, che identifica il migrante come un nemico della sicurezza e le migrazioni come fenomeno destabilizzante delle tradizioni e dello status quo, contribuisce alla cristallizzazione di un immaginario solo legato a paure ed isterie.
I fattacci di Gorino non vanno letti ingrandendoli minuziosamente. Sono infatti già correlati al contesto di guerra perenne contro il diverso che struttura la percezione generale delle migrazioni odierne. Il ruolo dei movimenti sociali antirazzisti deve essere, e vedremo subito che in qualche modo è già così, quello di un grimaldello che, intaccando dal basso le faglie che si aprono all’interno del quadro sistemico, crea spazi di solidarietà, produce resistenze, e coagula consenso attorno a pratiche di verticalizzazione del conflitto. 
In questo senso le carovane, i cortei, le brigate di solidarietà che hanno invaso, moltiplicandosi di volta in volta, l’Europa hanno avuto la capacità di produrre un immaginario diverso, in grado di bucare il muro dei media mainstream, ma anche di inchiestare le contraddizioni che sono nate attorno alla cosiddetta emergenza rifugiati. Aver creato percorsi antirazzisti e solidali ha determinato pian piano un'inversione di tendenza, dando la possibilità di arginare i razzismi europei e ridefinire, se anche solo in parte, i rapporti di forza con essi. Dall’altro lato queste energie stanno provando a fare un salto di qualità ulteriore, ossia stanno gettando le basi per un processo costituente che provi ad andare oltre la mera dimensione solidaristica ed a rompere il rapporto tra cittadinanza, governance finanziaria e poteri costituiti che si è definito in Europa. Un processo che va ancora costruito sul serio, ma di cui vediamo già i primi segnali: concreti in alcuni casi, ancora limitati, ma significativi. 
Da questo punto di vista gli spazi politici municipali giocano un ruolo fondamentale, se li si concepisce come luoghi da “aggredire” e in cui creare soggettività solidali. Che si tratti di metropoli o piccoli centri. Se è vero che abbiamo di fronte a noi l’orrore di Gorino, non dimentichiamoci che un paese come Riace, (ma ce ne sono molti altri, sia al sud che al nord) é vero esempio virtuoso di accoglienza, pur avendo meno della metà degli abitanti della località ferrarese. E non è nemmeno l'unico esempio in questo senso. Allo stesso modo alcune grandi città europee stanno provando a sperimentare pratiche di accoglienza concrete. Barcellona è stata l’apripista di questo movimento, da quando la sindaca Ada Colau ha lanciato l’appello per la creazione di una rete di “Città-rifugio”. Anche Napoli, in forme più concrete rispetto alla città catalana, sta iniziando a mettersi in gioco.
Già nei mesi scorsi la Napoli accogliente, in cui sul piano evocativo venivano superati i confini del concetto tradizionale di cittadinanza, è riuscita a creare un consenso maggioritario attorno alle parole d’ordine della solidarietà e dell’inclusione, piuttosto che attorno a quelle di xenofobia e nuovi razzismi, producendo da subito una rottura con il trend europeo. Con il recentissimo sbarco di profughi nel porto della città, Napoli è stata messa alla prova. La risposta è stata importante, e alla prontezza di attivisti, associazioni e dell’amministrazione si sono aggregate energie inedite. Centinaia e centinaia di cittadini spontaneamente hanno partecipato ai soccorsi per i 465 che sono arrivati in città domenica. In migliaia hanno diffuso il messaggio lanciato con uno striscione esposto al porto di Napoli e davanti alla Questura che recitava “Welcome Refugees, Napoli is your home”. L’evocazione si è trasformata in concretezza: questo è un passaggio fondamentale per i movimenti. Siamo solo all’inizio di un processo, che non andrà mai dato per scontato, ma che apre spazi concreti per la realizzazione di pratiche efficaci, costituenti e riproducibili (leggi l'appello dell'assemblea pubblica "Napoli #cittàrifugio, che si terrà sabato 29 ottobre).

Mai come in questa fase razzismo ed antirazzismo hanno bisogno di essere declinati in maniera profonda sul piano politico e sociale. Nella divisione del lavoro contemporanea la razializzazione dello sfruttamento sta comportando una restrizione complessiva del piano dei diritti, sia in ambito lavorativo che in generale nella dimensione sociale. E’ solo attraverso l’instaurazione di un piano di cooperazione tra sfruttati che il rapporto tra capitale e bios potrà essere rovesciato a favore del secondo fattore. Ed è qui che emerge la necessità di metamorfosi dell’antirazzismo e la sua traslazione verso il motore di una nuova soggettività di classe.

Il terreno su cui lo scontro si spiega è senza dubbio quello dei diritti e della cittadinanza, per i quali va riscritta una storia comune, fatta di nuove battaglie e conquiste. Una storia che va riscritta in primo luogo affrancandoci dalla miseria e puntando a riappropriarci della ricchezza; quella che miliardi di uomini e donne producono ogni  giorno e della quale sono costantemente espropriati.