Orson Welles in “Quarto potere” racconta alcuni frammenti di
vita del magnate della stampa Charles Foster Kane, da diverse angolature, in
modo da lasciare allo sforzo soggettivo dello spettatore la possibilità di
tracciare una sintesi del personaggio. Allo stesso modo i fatti di Gorino, e la
loro sovraesposizione mediatica, pongono alla luce tanti nessi interpretativi
di una vicenda destinata a creare un precedente importante sul tema
dell’accoglienza in questo Paese. Le visioni soggettive, che nell’era social
diventano spesso compulsive, non devono però allontanarci da una sintesi
politica dell’accaduto. A Gorino, in quel lembo di Polesine dove fiume, palude
e terra quasi si confondono, ha trovato espressione il volto più brutale della
discriminazione razziale . Chi l’ha messo in atto, fomentato, sostenuto e
coperto politicamente è un nemico, da combattere con ogni mezzo.
Ci teniamo a dare questo elemento di chiarezza, proprio perché un fatto come
questo, pur nelle tante angolature wellesiane da cui viene visto, non lasci
alcuna ambiguità di lettura e non venga consegnato alla mercè dell’opinionismo
tout court. I tanti e tante che hanno provato ribrezzo ed indignazione per le
immagini di 12 donne ed 8 bambini di origine africana contro cui sono state
innalzate “barricate” devono apertamente esprimere odio nei confronti di chi ha
determinato l’accaduto. L’odio non è una passione triste quando si afferma come
elemento di rottura di uno schema necropolitico, quando si emancipa dalla
dimensione viscerale e diventa essenza politica. “Odio mosso d’amore” cantavano
i 99 Posse ormai più di venti anni fa. Le due forme di vita, contrapposte ma
dialettiche, si intrecciano inevitabilmente quando la posta in gioco riguarda
la libertà di potersi muovere, di assecondare bisogni, di desiderare, di
continuare a vivere.
Bisogna evitare di schiacciare la lettura dei fatti di Gorino sulla dimensione
episodica. Il razzismo, in Italia in maniera differente che in altri Paesi
d’Europa, si sta politicizzando sempre di più. Sta assumendo forme e pratiche
che si riproducono, innescando un meccanismo che va oltre la mera e perversa
emulazione del gesto, enfatizzata dalla propaganda di quelle fazioni che
fanno della xenofobia il proprio manifesto politico. Il razzismo è una visione
del mondo chiara e consapevole, codificatasi attraverso lessici e pratiche che scaturiscono e
si riproducono all’interno del corpo sociale. Il revanscismo barricadero, sostenuto
da una retorica sovranista nazional-identitaria, proprio scimmiottando azioni
tipiche dei movimenti popolari di resistenza, punta a creare un nuovo
immaginario delle ideologie reazionarie.
Dalle ceneri dei movimenti che negli anni più acuti della
crisi sistemica hanno lottato per la giustizia sociale è emerso un lato oscuro
della moltitudine. Un lato composto da chi ha interiorizzato la scarsità come
condizione su cui riassestare le ambizioni di vita, trasformando
l’impoverimento oggettivo in senso di rivalsa soggettiva nei confronti del
nuovo grande “esercito di riserva” prodotto dai flussi internazionali di
forza-lavoro.
Dentro questo contesto economico-sociale, che inevitabilmente ha trasformato le
forme di vita nell’ultimo decennio, emerge un quadro antropologico legato alle
scelte individuali, alla decisione di scegliere tra due campi di forze
contrapposti. Respingere ed accogliere diventano atti politici, il cui significato
sconfina rispetto a quello terminologico ed indica un posizionamento
etico-politico rispetto ai rapporti di forza che si stanno determinando nella
società contemporanea.
I fatti di Gorino meglio di altri testimoniano le modalità di affermazione di
questa linea di demarcazione e gli attori in campo che, in forme diverse,
riempiono ed alimentano il terreno di scontro. E’ innegabile che le forze
cosiddette “populiste di destra”, in Italia come altrove, abbiano avuto un ruolo
fondamentale nell’etnicizzare paure ed insicurezza sociale. E’ innegabile che
le azioni di forza contro i luoghi dell’accoglienza e contro i migranti stessi,
che si stanno espandendo a macchia d’olio sulla cartina del vecchio continente,
siano uno strumento di contrattazione politica delle destre per rendere ancora
più rigide le politiche dell’Unione Europea rispetto ai flussi migratori. Ma in
questo gioco ci sono tanti attori politici in campo, che utilizzano strumentalmente
la retorica dell’esasperazione.
A Gorino, se la solita Lega Nord ha dato immediatamente
copertura politica all’episodio, con il responsabile sicurezza di Ferrara (tale
Nicola Naomo Lodi, già noto per scorribande anti-profughi nel rotocalco di Del
Debbio “Dalla parte vostra”, con tanto di maglietta “+ RUM – ROM”) che si è
precipitato sul luogo gestendo immediatamente l’evento con una diretta
facebook, anche altre forze politiche si sono accomodati su posizioni
di compiacenza. La sezione locale del Movimento 5 Stelle, attraverso i
social, rispondendo ai commenti di alcuni utenti, ha giustificato senza
mezzi termini l’accaduto, parlando di “persone scese in piazza per via
dell’esasperazione” e “sacrosanto diritto del cittadino a ribellarsi”. Dello
stesso tenore sono state le dichiarazioni, molto più pesanti sul piano politico
ed istituzionale, del premier Renzi il quale, dopo una prima sommaria condanna,
nel corso della trasmissione “Porta a Porta” ha dichiarato “comprensione nei
confronti di una parte della popolazione molto stanca e preoccupata”. Lo stesso
prefetto Mario Morcone, capo del dipartimento Immigrazione del ministero degli
Interni, ha giustificato l’atteggiamento remissivo delle forze dell’ordine e la
decisione di trasferire i migranti in un altro luogo affermando: “Non potevamo
certo manganellare i manifestanti”. Le parole del rappresentante dello Stato
rimbombavano sui media proprio mente a Bologna avveniva l’ennesimo (ormai
quotidiano) pestaggio della polizia ai danni di studenti che rivendicavano una mensa
universitaria accessibile a tutti. I due volti delle forze dell’ordine,
dialoganti con i razzisti e violente con chi chiede diritti, sintetizzano in
maniera spicciola ma efficace l’immagine di un Paese spinto sempre più verso il
baratro dalle proprie élite.
Esiste dunque un rapporto sincretico tra quel razzismo sociale, che si
afferma nel corpo collettivo muovendosi orizzontalmente, ed il razzismo
istituzionale. Questo agisce in modo verticale, si snoda da Bruxelles verso i
nostri territori, passando per Roma, ed ha imposto ovunque una concezione
dell’accoglienza intrecciata, se non sovrapposta, con il tema dell’ordine
pubblico. D'altronde la narrazione dominante sulle migrazioni -
costruita, alimentata e utilizzata in termini retorici dalla governance europea
- è lei stessa portatrice di una visione e prassi schiacciata sulla
difesa armata delle frontiere e la sua esternalizzazione verso i paesi terzi.
Frontex, gli infami accordi con la Turchia e l’Afghanistan, i confini
militarizzati, l'impossibilità per le persone di raggiungere in modo sicuro il
vecchio continente sono barricate che dall'alto si infrangono violentemente
sulle vite dei migranti. Allo stesso tempo, l'uso di un linguaggio
securitario, che identifica il migrante come un nemico della sicurezza e le
migrazioni come fenomeno destabilizzante delle tradizioni e dello status quo,
contribuisce alla cristallizzazione di un immaginario solo legato a paure ed
isterie.
I fattacci di Gorino non vanno letti ingrandendoli minuziosamente. Sono infatti
già correlati al contesto di guerra perenne contro il diverso che
struttura la percezione generale delle migrazioni odierne. Il ruolo dei
movimenti sociali antirazzisti deve essere, e vedremo subito che in qualche
modo è già così, quello di un grimaldello che, intaccando dal basso le
faglie che si aprono all’interno del quadro sistemico, crea spazi di
solidarietà, produce resistenze, e coagula consenso attorno a pratiche di
verticalizzazione del conflitto.
In questo senso le carovane, i cortei, le brigate di solidarietà che hanno
invaso, moltiplicandosi di volta in volta, l’Europa hanno avuto la capacità di
produrre un immaginario diverso, in grado di bucare il muro dei media
mainstream, ma anche di inchiestare le contraddizioni che sono nate attorno
alla cosiddetta emergenza rifugiati. Aver creato percorsi antirazzisti e
solidali ha determinato pian piano un'inversione di tendenza, dando
la possibilità di arginare i razzismi europei e ridefinire, se anche solo in
parte, i rapporti di forza con essi. Dall’altro lato queste energie stanno
provando a fare un salto di qualità ulteriore, ossia stanno gettando
le basi per un processo costituente che provi ad andare oltre la mera
dimensione solidaristica ed a rompere il rapporto tra cittadinanza, governance
finanziaria e poteri costituiti che si è definito in Europa. Un processo
che va ancora costruito sul serio, ma di cui vediamo già i primi segnali:
concreti in alcuni casi, ancora limitati, ma significativi.
Da questo punto di vista gli spazi politici municipali giocano un ruolo
fondamentale, se li si concepisce come luoghi da “aggredire” e in cui creare
soggettività solidali. Che si tratti di metropoli o piccoli centri. Se è vero
che abbiamo di fronte a noi l’orrore di Gorino, non dimentichiamoci che un
paese come Riace, (ma ce ne sono molti altri, sia al sud che al nord) é vero
esempio virtuoso di accoglienza, pur avendo meno della metà degli abitanti
della località ferrarese. E non è nemmeno l'unico esempio in questo senso. Allo
stesso modo alcune grandi città europee stanno provando a sperimentare pratiche
di accoglienza concrete. Barcellona è stata l’apripista di questo movimento, da
quando la sindaca Ada Colau ha lanciato l’appello per la creazione di una rete
di “Città-rifugio”. Anche Napoli, in forme più concrete rispetto alla città
catalana, sta iniziando a mettersi in gioco.
Già nei mesi scorsi la Napoli accogliente, in cui sul piano evocativo venivano
superati i confini del concetto tradizionale di cittadinanza, è riuscita a
creare un consenso maggioritario attorno alle parole d’ordine della solidarietà
e dell’inclusione, piuttosto che attorno a quelle di xenofobia e nuovi
razzismi, producendo da subito una rottura con il trend europeo. Con il
recentissimo sbarco di profughi nel porto della città, Napoli è stata messa alla prova. La risposta è stata importante, e alla prontezza di attivisti,
associazioni e dell’amministrazione si sono aggregate energie inedite.
Centinaia e centinaia di cittadini spontaneamente hanno partecipato ai soccorsi
per i 465 che sono arrivati in città domenica. In migliaia hanno diffuso il
messaggio lanciato con uno striscione esposto al porto di Napoli e davanti alla
Questura che recitava “Welcome Refugees, Napoli is your home”. L’evocazione si
è trasformata in concretezza: questo è un passaggio fondamentale per i
movimenti. Siamo solo all’inizio di un processo, che non andrà mai dato per
scontato, ma che apre spazi concreti per la realizzazione di pratiche
efficaci, costituenti e riproducibili (leggi l'appello dell'assemblea pubblica "Napoli #cittàrifugio, che si terrà sabato 29 ottobre).
Mai come in questa fase razzismo ed antirazzismo hanno bisogno di essere declinati in maniera profonda sul piano politico e sociale. Nella divisione del lavoro contemporanea la razializzazione dello sfruttamento sta comportando una restrizione complessiva del piano dei diritti, sia in ambito lavorativo che in generale nella dimensione sociale. E’ solo attraverso l’instaurazione di un piano di cooperazione tra sfruttati che il rapporto tra capitale e bios potrà essere rovesciato a favore del secondo fattore. Ed è qui che emerge la necessità di metamorfosi dell’antirazzismo e la sua traslazione verso il motore di una nuova soggettività di classe.
Il terreno su cui lo scontro si spiega è senza dubbio quello dei diritti e della cittadinanza, per i quali va riscritta una storia comune, fatta di nuove battaglie e conquiste. Una storia che va riscritta in primo luogo affrancandoci dalla miseria e puntando a riappropriarci della ricchezza; quella che miliardi di uomini e donne producono ogni giorno e della quale sono costantemente espropriati.