Per gli amministratori locali, di piccoli e grandi comuni, rimane poco tempo per disquisire sulle manie autodistruttive del vecchio continente

I vincoli economici degli enti locali

di Ugo Marani (tratto da “La Repubblica”, edizione di Napoli, del 3 febbaio 2012)

8 / 2 / 2012

* Ugo Marani è un economista, Presidente Centro Studi Reset e Docente di Economia Politica all'Università Federico II di Napoli.

L’ultima manovra di risanamento finanziario, quella del governo Monti, si muove rispetto agli enti locali secondo un collaudato meccanismo innescato, in origine, da Tremonti: l’onere dell’aggiustamento dei conti pubblici ricade, prevalentemente, sugli enti locali. Si tratta di un meccanismo perverso rispetto al quale i comuni si trovano a sopportare dilemmi e sacrifici: tagliare le spese in conto capitale e quel poco che rimane di sostegno del welfare comunale in nome di un risanamento la cui articolazione essi non concorrono a determinare e la cui inevitabilità non sono sempre in grado di giudicare.

E’ un triste gioco al massacro che chiama in causa l’ipotesi fondativa sulla quale l’Unione Monetaria Europea è stata costruita, ovvero il principio che disavanzi e debiti pubblici calanti abbiano espansivi sul reddito e sull’occupazione. Un’affermazione tanto manifestamente smentita dalla realtà quanto pervicacemente riproposta dalla Commissione, dalla Banca Centrale Europea e dalla cancelliera teutonica.

Ma per gli amministratori locali, di piccoli e grandi comuni, rimane poco tempo per disquisire sulle manie autodistruttive del vecchio continente: il quotidiano è fatto di tagli, di ricomposizione dei bilanci, di preoccupazioni per la manovra che verrà. Stime attendibili dell’ANCI indicano che, a seguito delle manovre restrittive degli ultimi tre-quattro anni, la quota “discrezionale” dei bilanci comunali si è abbassata sotto il venti per cento. E gli amministratori che vogliano mantenere personale e spese di esercizio sono portati, inevitabilmente, a tagliare investimenti e spese di assistenza sociale. Se si afferma che i patti di stabilità, nazionale ed europeo, mirano a proteggere le generazioni future dall’onere del debito, come risultato non c’è male.

La realtà è che esiste una miriade di amministratori, di piccoli e di grandi comuni, che, all’incalzare delle pressioni recessive del governo centrale, si sforzano di rispettare le leggi di contenimento cercando, per quanto è possibile, di non tagliare le spese relative all’assistenza sociale, alle infrastrutture municipali, ai trasporti collettivi. E’ un esercizio di buona volontà non sempre sufficientemente sottolineato, ma sul quale le manovre di contenimento, paradossalmente, contano sempre per riuscire a raggiungere i propri risultati.

Oggi, tuttavia, l’entità dei tagli origina la possibilità di comportamenti diversi, quasi da disobbedienza civile, che inducono nella tentazione di un mancato rispetto del patto di stabilità da parte dell’ente locale. In altre parole: specularmente alla supina accettazione dei tagli e del rispetto dei vincoli, si fanno avanti posizioni di amministratori che si dichiarano inclini a non rispettare manifestamente il vincolo del taglio di spese, causa l’estrema gravità della crisi sociale che nel proprio territorio sono costretti ad affrontare.

Non si tratta di un atteggiamento del tutto inedito: a detta dell’assessore D’Antonio l’ultima giunta regionale presieduta da Bassolino decise consapevolmente di sforare il patto di stabilità per evitare un taglio delle spese sociali e di sostegno al reddito in un momento di grave recessione dell’economia campana. Oggi Fassino, sindaco di Torino, si avvia, anch’egli, verso il non rispetto, convinto che sia necessario sforare oggi pur in presenza di pesanti decurtazioni nei finanziamenti di domani.

Il comune di Napoli si trova ad affrontare oggi un dilemma non dissimile: la compressione delle risorse si ripercuoterà inevitabilmente in decisioni rilevanti in sede di stesura, nelle prossime settimane, del bilancio preventivo per il 2012. In questa occasione sarà possibile, in linea di principio, assumere atteggiamenti programmatori del tutto differenti.

Una prima possibilità è quella dell’accettazione supina del patto e da un atteggiamento cooperativo della regione Campania. In tal caso quello che è indicato come lo “spalmamento orizzontale” del patto di stabilità potrebbe portare la regione a effettuare una contrazione delle proprie spese per un ammontare pari allo sforamento del comune. Ma è ovvio che si tratta di una possibilità del tutto remota a causa delle ristrettezze regionali e dell’atteggiamento assai poco solidale tra i due enti.

Una seconda possibilità è quella che il comune adoperi gli strumenti d’imposizione a sua disposizione per tracciare una sia pur lieve politica di prelievi progressivi, adoperando i decimi a sua disposizione sugli immobili e sui redditi delle persone fisiche per mantenere parte dei servizi sociali.

L’ultima, e più clamorosa, delle iniziative sarebbe un’azione concordata con tutti grandi comuni per uno sforamento programmatico collettivo del patto di stabilità per tentare di riportare il governo nazionale verso politiche meno punitive degli enti locali.

Le manovre di risanamento nazionale, infatti, non sono affatto concluse: tra un semestre saremo punto e accapo. Rinunciare a proteste coese degli enti locali significa solo rinviare di qualche trimestre le nuove lagnanze.