Il 20 luglio ed il monopolio della forza

20 / 7 / 2012

“Tutto è successo a Genova
Luglio 2001
Il mondo si è fermato
Mò ce lo riprendiamo”

99 Posse - “Mai più io sarò saggio”

Ci sono giorni in cui vorresti esprimere le emozioni in un modo migliore rispetto a come ci riesci. Ci sono momenti in cui il corto cicuito sensoriale, che è quella scintilla che ci fa essere umani, lo senti vivo dentro di te.

Un anno fa eravamo a Genova, dieci anni dopo, dieci dopo la morte di Carlo e dopo la manifestazione del più grande movimento antisistemico dopo il novecento. Dicevamo che quei dieci anni ci avevano fatto crescere e c'avevano reso più forti. Le sentenze, le condanne, le assoluzioni non erano ancora giunte. In questo anno ci sono state tanti avvenimenti che hanno riportato nuovamente al centro del dibattito politico ciò che è stata l'esperienza di Genova.

Le condanne per la Diaz, tutte prescritte. Un provvedimento di cui l'unico risvolto è stata la sospensione dai pubblici uffici di una parte della catena di comando delle forze dell'ordine che erano a Genova. Non tutti ovviamente. Il capo, quel Gianni De Gennaro oggi al coordinamento dei servizi segreti nominato dal governo Monti, capace di sopravvivere a stagioni politiche diverse – da Berlusconi a Prodi, da Berlusconi bis a Monti -  è ancora al suo posto. Ci sono state le condanne a 100 anni di carcere per chi quel giorno non ha infierito sui corpi, sulle persone, non ha ucciso, non ha partecipato alla governance mondiale come gli 8 seduti a Palazzo Ducale, ma che pagherà il prezzo più alto di tutti.

In questo anno c'è stato il film Diaz, di Daniele Vicari, prodotto da Fandango, che molto più di tutto il resto ha contribuito alla costruzione di una parte della verità storica su quello che è avvenuto a Genova nel 2001. Già perchè la storia non si scrive nei tribunali. Mai. Non la si scrive quando si condanna un gruppo di ragazzi a oltre dieci anni di carcere e non la si scrive quando non si stroncano le carriere dei carnefici. La storia si scrive nelle piazze, nelle strade, nelle arterie del paese. La storia siamo noi. Oggi più che mai. Nei tribunali si costruiscono le verità compatibili, si espiano colpe, si porgono le scuse senza farsi troppo del male. Nei tribunali si infliggono le pene, i castighi. No, la storia non si scrive in quei luoghi funzionali agli apparati.

Ma per ricostruire la memoria bisogna raccontarla e bisogna spesso superare il corto circuito sensoriale. Per questo dobbiamo dei ringraziamenti collettivi a chi in questo anno ed in questi giorni ha contribuito in forma scritta a parlare di Genova. In tanti lo hanno fatto, dicendo molte cose condivisibili, alcune meno. Ma hanno dato un contributo. L'elenco sarebbe lungo, così come l'elenco di chi in questi anni, spesso nel silenzio generale dovuto alla necessità dei movimenti di stare sempre con i piedi piantati nel presente, ha lavorato per Genova 2001. Attivisti, vittime della repressione, compagni a cui quei giorni hanno cambiato la vita. Ma anche avvocati, artisti, videomaker, giornalisti, scrittori, tecnici, che hanno costruito una mole di materiale importante che ci permette oggi di poter dire che il movimento in questo paese è riuscito a costruire una sua verità su quei giorni.

Raccontare è sempre difficile. Perchè nel caso di Genova è intimo. Per chi aveva vent'anni nel luglio del 2001 ed ha portato dentro di se tutti i traumi ed allo stesso tempo la forza propulsiva di quella generazione passata dal Carlini, da Via Tolemaide, da Piazza Alimonda e da lì è andata poi in giro per il mondo riscoprendo, talvolta, anche una “Genova” - intesa come cuore pulsante del proprio agire – sotto casa sua. Io ricordo tutte le facce di quei giorni. Faccio fatica a ricordare le emozioni, soprattutto alcune, perchè, come qualcosa che vuoi rimuovere, mi scuotono troppo. Ricordo soprattutto una frase che mi disse un compagno, più grande di me, che ieri come oggi è un fratello importante. Era il 21 luglio, il giorno dopo, una parte di quello che era stato il corteo caricato sul lungomare era appena rientrato al Carlini. Mi disse “Siamo riusciti a riportare la pelle a casa”.

Il 20 luglio del 2001 si è rotta irreversibilmente la percezione di una intera generazione sul ruolo dei tutori dell'ordine e con esso la percezione del potere e del controllo. Da lì l'escalation è continuata in questi dieci anni che c'hanno raccontato con i tragici omicidi di stato -da Aldrovandi a Cucchi- come l'esercizio del monopolio della forza in questo paese passi per apparati che hanno sedimentato un background culturale profondamente fascista. In molti penseranno che quella matrice culturale non è mai cambiata dal dopoguerra ad oggi. E' però singolare che Genova è giunta ad esempio nove anni dopo le stragi di Capaci e Via D'Amelio di cui in questi mesi si sono celebrati i venti anni.

Venti anni fa la percezione collettiva dei tutori dell'ordine passava per le immagini dei corpi fatti a pezzi dal tritolo dei poliziotti di scorta ai giudici siciliani. Una percezione degli apparati delle forze dell'ordine che senza dubbio nel paese era profondamente differente. Dieci anni dopo passava per l'omicidio di Carlo Giuliani e per il massacro della Diaz. I corpi fatti a pezzi erano i nostri.

E come venti anni fa a mancare all'appello sono sempre i registi occulti. Quelli della trattativa segreta tra Stato e Mafia e quelli della regia politica del massacro di Genova. Sia ben chiaro : gli sbirri sono sbirri sempre. Lo sono quando sono complici del massacro fisico e psicologico di una generazione, come a Genova e lo sono quando i loro generali si siedono a tavola con le organizzazioni criminali per trattare, cone nel caso di venti anni fa. Ma se oggi nel paese il volto oscuro degli apparati repressivi dello Stato è disvelato è grazie a quell'ingranaggio collettivo che dopo Genova si è messo in moto e, nonostante tutto, non si è mai fermato.

di Antonio Musella

 

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