Il cerchio e le botte

Genova G8 2001. La Cassazione conferma il reato di devastazione e saccheggio.

13 / 7 / 2012


La sesta sezione penale della Corte di Cassazione ha preso la sua decisione. Cinque imputati rimessi a un nuovo giudizio del giudice dell'appello esclusivamente in tema di attenuanti. Cinque imputati con lievi ritocchi delle pene: per cinque di loro si aprono le porte del carcere. Per tutti confermato il reato di devastazione e saccheggio. A una settimana dalla sentenza definitiva sulle poche responsabilità accertate circa la mattanza della Diaz, confinate ai reati di falsa testimonianza e abuso di ufficio. A undici anni dalle giornate che sconvolsero l'Europa e rimisero in discussione i diritti dei movimenti a manifestate il proprio dissenso in ordine alla governance mondiale. A pochi giorni dall'anniversario dell'assassinio di Carlo Giuliani, ragazzo, vittima di un omicidio (di Stato) premeditato. Gli ermellini hanno confermato che Genova è stata devastata e saccheggiata da una decina di attivisti, in mezzo ai trecentomila che attraversarono le sue strade per gridare la loro opposizione ai potenti della Terra. E che la vetrina di una banca andata in frantumi costa molta più galera di ossa spezzate, punti di sutura, lesioni permanenti e giorni interi di umiliazioni e torture. Ne sarà felice quel poliziotto-magistrato che sempre rimarrà Antonio Di Pietro.

Abbiamo chiesto ad Annamaria Alborghetti, avvocato difensore di molti attivisti del nord est e presidente della Camera Penale di Padova, un punto di vista sul reato di devastazione e saccheggio.

“Si tratta di un reato molto grave, proveniente da un Codice Penale partorito in epoca e cultura giuridica fascista, con pene da 8 a 15 anni che possono facilmente essere aumentate in ragione delle aggravanti contestate. Stando alla sua definizione si tratta di una norma non sufficientemente caratterizzata e pertanto a rischio di applicazione arbitraria in mancanza di paletti e limiti precisi sul piano oggettivo e soggettivo. Ci soccorre la giurisprudenza quando fa riferimento a eventi di rilevanza eccezionale, quando ne riferisce l'applicazione a qualcosa di enorme, di fuori misura in termini di vastità, quantità di reati interconnessi (incendi, danneggiamenti, furti...) che vengono consumati, di quoziente di pericolo che viene espresso. E' un reato contro l'ordine pubblico: ci deve essere un pericolo per l'ordine pubblico e la vita collettiva. Inoltre deve rendersi evidente un elemento psicologico: va dimostrato che l'imputato aveva in mente un disegno con l'obbiettivo di devastare, di volere insieme ad altri la devastazione. Le dinamiche dei fatti di Genova furono invece del tutto diverse, basti pensare che in un determinato luogo non si aveva né si poteva avere la percezione di quanto accadeva soltanto pochi metri più in là, mancava qual carattere globale che serve per integrare il reato. Che necessita di una diffusione enorme nel territorio, mentre nel caso in esame si sono registrati solo dei focolai sparsi. Il Codice dovrebbe interpretare il sentire comune, la percezione di attacco alla collettività, e certamente non era questo l'obbiettivo degli imputati. In sostanza, pur non avendo una conoscenza profonda degli atti su cui si è formato il recente pronunciamento della Corte, ritengo che oggetto di contestazione da parte dell'accusa dovevano essere singoli reati - danneggiamento, incendio, furto - riferiti a singoli soggetti e non altro.”

Difficile non mettere in relazione la sentenza di oggi con quella dello scorso 5 luglio. Diversa la sezione giudicante, identico il rappresentante della pubblica accusa, stessa conferma dell'ipotesi del concerto delle azioni. I noti Caldarozzi, Gratteri e compari sottoposti a giudizio solo per falso, essendo prescritto ogni altro reato, già pronti per ottenere l'affidamento in prova ai servizi sociali e sottrarsi così a qualche mese di carcere che il residuo pena, al netto dell'indulto, comporterebbe sulla carta. Dopo Genova folgoranti carriere ai vertici dello SCO, dell'Anticrimine, dei Servizi, con relativi stipendi eccellenti. Il capo della Polizia De Gennaro e tutta la catena di comando, politica e militare, protetta dal consueto salvacondotto giudiziario. Gli uomini e donne condannati in via definitiva oggi, arrivati a questa sentenza spartendosi il peso di 100 anni di reclusione per aver sfogato la propria rabbia contro le cose. Nessuna delle violenze loro ascritte ha avuto per oggetto persone, come sempre è stato ricordato nella campagna “Genova non è finita” (10x100) e nell'appello firmato da oltre 10 mila persone. Per loro nessuna pensione d'oro, solo una vita costantemente in bilico, segnata da un destino da capro espiatorio, confrontandosi con una normativa che vuole le loro responsabilità punite in maniera infinitamente più severa di quella riservata agli uomini in divisa, il cui accanimento contro persone inermi è sfuggito al reato di tortura perché nel nostro paese non lo si vuole introdurre. Per loro pene detentive da 14 anni in giù.

Prevedibilmente segnate dallo sconforto le riflessioni di Laura Tartarini, avvocato difensore, che vede in questa sentenza un segnale forte di ampliamento delle soglie di punibilità applicate all'agire dei movimenti: così come è stato adoperato in questo processo, il reato di devastazione e saccheggio può essere contestato in ogni occasione in cui la manifestazione di piazza arrivi ad attriti con le forze dell'ordine. Può essere il prezzo sistematico da pagare dovendo difendersi dalla violenza abitualmente esercitata dalle nostre polizie.

Genova non è finita non solo in ragione dell’enormità degli anni di galera comminati e dell’impossibilità degli imputati di sottrarsi all’esecuzione delle condanne. Ma anche perché la connessione tra questa sentenza e quella della scorsa settimana appare un’operazione di marketing comunicativo. Un simulacro di giustizia bipartisan bene orchestrato e un segnale inequivocabile ai movimenti che agiscono il terreno del conflitto Da una parte condanne che non comportano nessuna pena effettiva se non un provvedimento di sospensione dal servizio che si sarebbe dovuto rendere esecutivo 11 anni fa, invece di consentire avanzamenti in carriera che hanno portato gli imputati ai massimi incarichi della Polizia di Stato. Dall’altra decine di anni di reclusione da scontare inflitti quando ancora ben vivo è il ricordo del sangue sui pavimenti e sui muri della Diaz, del corpo di Carlo a terra con un buco in mezzo alla fronte, delle atrocità sistematiche compiute dalle nostre quattro polizie. Genova non è finita perché è ancora e sempre a loro che è consegnato il ruolo di repressore violento delle dinamiche dello scontro sociale. Ancora stiamo aspettando i numeri di riconoscimento sulle divise, la definizione inequivocabile delle regole di ingaggio, l’interdizione dell’uso di armi proibite quali il gas Cs, l’introduzione nel nostro ordinamento del reato di tortura. Sarà un autunno molto caldo.