Il linguaggio tra fabbrica e città

6 / 9 / 2012

Un popolo e la sua storia possono essere compresi anche attraverso il proprio linguaggio: l’italiano come mezzo di comunicazione e non solo, ovvero oggetto, nella sua enorme complessità organica, di studi storici e sociologici. Sembrerà un ovvietà osservare il linguaggio come specchio della vita cittadina, regionale e nazionale, ma a volte queste ovvietà diventano macigni che ci portiamo ‘sulle labbra’ e che entrano a far parte della nostra vita incondizionatamente. È il caso di Taranto che mi porta a riflettere sulla sua storia linguistica,sulla sua letteratura contemporanea,su quanto, insomma, la fabbrica incide sulla vita dell’individuo. Se vi state chiedendo quale senso abbia riflettere sulla lingua, quando c’è gente che muore e gente che rischia il posto di lavoro, sappiate che determinate parole con i propri significati e significanti hanno portato al bisogno di manifestare e, dunque, comunicare il proprio disagio in modo così forte e incisivo.

Dopo l’unità d’Italia il processo di unificazione linguistico avvenne grazie a determinati punti come l’azione unificante della burocrazia e dell’esercito, l’azione dei giornali periodici e quotidiani, l’emigrazione, e forse più importante nel nostro caso, l’aggregazione attorno a poli urbani grazie all’industrializzazione. D’altronde anche un intellettuale come Pasolini scrive negli anni del benessere italiano del dopoguerra che lì dove nascevano fabbriche, nasceva il ‘nuovo italiano’, con influenza maggiore ,sul linguaggio, della tecnica rispetto a quella della letteratura.

Dunque, non è un caso se termini come : benzopirene, diossina, pm10, carbone coke, cokeria, altoforno, ciminiera, area a caldo,minerale etc. e come : neoplasia, carcinoma, linfoma,adenocarcinoma, neuroblastoma, oncologia, chemioterapia etc. facciano parte del parlato comune della cittadinanza tarantina ,termini che ovviamente riscontreremo in modo meno frequente in realtà meno industrializzate. 

La fabbrica come unico polo economico e lavorativo ha intaccato il vocabolario, la cultura e l’esistenza tarantina tanto da rendere difficile, se non in alcuni impossibile, la possibilità di pensare ad un futuro senza le ciminiere. È lo stesso identico concetto della catena di montaggio che incombe sull’esistenza dell’operaio.

Nell’ultimo decennio si sono susseguite anno dopo anno anche pubblicazioni di romanzi i quali non potevano fare a meno di dislocare la realtà tarantina dall’acciaio, possiamo ricordare titoli come : Il Cadetto, Cuore di cuoio, Vicolo dell’acciaio, Invisibili. Vivere e morire all’Ilva di Taranto, Adesso tienimi, Il mare che non c’è, Il Paese delle spose infelici etc. La fabbrica non poteva che intaccare le arti,dalla letteratura, come abbiamo visto, alla fotografia, persino all’iconografia ecclesiastica.

Oggi però osserviamo che i significati di tutte queste parole che abbiamo elencato accompagnano conseguenze che creano disagio sociale, e da piccole denunce quotidiane, il vocabolario tarantino si arricchisce di termini nuovi come: alternativa, reddito, occupazione, rivoluzione. 

Il bisogno estremo di sentirsi in diritto di ottenere un futuro diverso da quello della mono economia si sgancia dal passato e punta a vocaboli che sono il contrario del grigiore espresso dai termini tecnici della fabbrica, la volontà popolare di riappropriarsi di una cultura di mare, che vinca l’obsoleta imposizione ottocentesca di un progresso che non è più tale. Taranto è pronta a riscrivere la sua storia della lingua, che ora, ormai, è immagine sbiadita di un linguaggio passato, ma soprattutto è pronta a denunciare e a gridare ciò che non vuole più.

"Dove tutto è visto come puramente relativo e dissacrabile, ha senso assolutizzare il Pil, le cifre aziendali, le pensioni, le tasse, i conti della spesa, la crescita di merci che non portano per niente a diminuzioni dell’infelicità o a più ricchezza nei rapporti umani? Emendate il linguaggio e avrete trovato una chiave. Liberate la mente da una formica di falso e vi toglierete dallo stomaco il peso di un elefante" (Guido Ceronetti).

* Stefano Modeo è attivista Occupy ArcheoTower