Il Pacchetto sicurezza e le politiche razziste del governo italiano e della Lega all'origine della strage

Il mare dell'indifferenza

Rovesciare la solitudine dei migranti, respingere il nuovo razzismo, organizzare la libertà: queste le sfide dei movimenti in risposta ai fatti drammatici di questi giorni

21 / 8 / 2009

Soli. Così devono essersi sentiti i 73 migranti che, secondo il racconto dei cinque sopravvissuti, hanno perso la vita nei giorni scorsi nel canale di Sicilia. Almeno dieci navi li avrebbero avvistati mentre si consumava la loro agonia. Da un peschereccio gli avrebbero allungato un paio di bottiglie d’acqua, qualcosa da mangiare, poi più nulla, solo il silenzio e la solitudine del mare ad accompagnare la morte.

«Omissione di soccorso», certo, violazione della più antica e universale legge del mare, che impone di salvare le vite dei naufraghi. Ma anche, nei fatti e in drammatica metafora, qualcosa di più: l’indifferenza di fronte alla radicale separazione dei migranti dal circolo del Noi che costituisce la comunità (padana o nazionale) dei cittadini. E’ questa radicale separazione a costituire la cifra fondamentale delle retoriche sulla migrazione che, sotto la spinta della Lega, si sono affermate come dominanti all’interno del governo italiano: allontanare, espellere, rimuovere dalla vista. Le disposizioni contro l’immigrazione “clandestina” contenute nella legge sulla sicurezza dovrebbero servire proprio a questo, ripetono quotidianamente Maroni e Borghezio.

La solitudine drammatica dei 73 migranti i cui sogni e le cui vite hanno fatto naufragio nel Canale di Sicilia (andando ad aggiungersi ai circa 15.000 morti negli ultimi vent’anni nel tentativo di varcare i confini europei secondo i calcoli di Fortress Europe, http://fortresseurope.blogspot.com rinvia allora alla solitudine dei migranti di fronte al razzismo dilagante nelle nostre città, di fronte a permessi di soggiorno e condizioni di vita sempre più precari, di fronte alle vessazioni poliziesche, di fronte al rischio e alla realtà dell’espulsione.

Solitudine e paura dei migranti sono il vero effetto delle nuove disposizioni di legge vigenti in Italia, al di là delle evidenti difficoltà di applicazione di molte di esse. Non abbiamo del resto bisogno delle ricerche della Banca d’Italia o di altri più o meno autorevoli Istituti per sapere che uomini e donne migranti sono qui per restare. Che l’allucinazione leghista di una loro rimozione dai nostri territori va commisurata su una realtà che ci parla di una cooperazione sociale e produttiva strutturalmente meticcia, di cui i migranti sono cioè parte integrante. Certo, su questa realtà agisce con violenza il portato della crisi globale: dall’Europa agli Stati uniti, dal Golfo persico alla Cina il lavoro migrante ne sta pagando drammaticamente il prezzo, in termini di licenziamenti, irrigidimento di condizioni di vita spesso già molto dure, deportazioni. Senza alcun determinismo (le posizioni della Lega in materia di immigrazione non sono cambiate molto negli ultimi vent’anni) la crisi costituisce senz’altro un terreno privilegiato su cui analizzare e criticare l’evoluzione delle politiche migratorie tanto nel nostro Paese quanto in Europa e a livello globale. Ma la crisi non determinerà certamente, se non in modo congiunturale, una riduzione di quelle pratiche di mobilità che costituiscono uno degli elementi fondamentali della composizione del lavoro vivo contemporaneo. E attorno a tali pratiche continueranno a giocarsi partite fondamentali dal punto di vista sia dei processi di valorizzazione capitalistica, sia delle forme di governamentalità post-neoliberale, sia delle lotte per costruire nuove condizioni comuni all’incrocio di una reinvenzione di uguaglianza e libertà.

Quanto è accaduto nel Mediterraneo in questi giorni è del resto anche il prodotto di un modello di gestione dei “confini esterni” dell’Unione che ha sempre più una natura europea: lo stesso accordo tra Italia e Libia si inserisce all’interno di questo modello. Costruire e consolidare rapporti di rete a livello europeo continua dunque a essere un obiettivo fondamentale nella prospettiva di costruire lotte efficaci. Non mancano certo esperienze e iniziative in questo senso: proprio il 25 agosto si inaugura sull’isola greca di Lesbo un campeggio noborder, in cui questi temi saranno ampiamente discussi (http://lesvos09.antira.info). 

Ma contro la paura e la solitudine dei migranti la lotta e l’azione politica non possono che essere radicate nei territori. Processi di lotta e di auto-organizzazione dei migranti non mancano neppure nelle situazioni più dure ed estreme: le rivolte di quest’estate nei CIE, da Gradisca a Corso Brunelleschi, da Corelli a Ponte Galeria, lo hanno ancora una volta dimostrato. Il problema di fronte a cui ci troviamo oggi, e ancor più ci troveremo in autunno, è come rompere l’isolamento di queste lotte e di questi processi di auto-organizzazione, per evitare che si ripieghino su se stessi e per fare in modo che confluiscano in spazi comuni di lotta. Disobbedienza civile e lotte sul posto di lavoro, costruzione di grandi coalizioni anti-razziste e fronteggiamento quotidiano del razzismo, campagne democratiche e lotte sociali possono e devono contaminarsi nella pratica di questo obiettivo.