Il populismo, la conciliazione degli opposti e l’autonomia del politico.

16 / 1 / 2017

L’ultima vicenda legata al M5S, iniziale abbandono della rappresentanza euro-parlamentare della destra “populista” di Farage  per confluire nell’opposto gruppo liberal-democratico, il clamoroso rifiuto dello stesso ed il ritorno all’ovile, ha il sapore dell’ennesima farsa dell’autonomia del politico. Poco ci interessa dell’episodio in sé, se non per il fatto che può offrirci alcuni spunti di riflessione più generali, oltre alla considerazione banale di cosa sia veramente quel teatro dell’assurdo chiamato Europarlamento e la deriva grottesca della rappresentanza democratica, pura espressione linguistica senza contenuto.

Ci interessa di più focalizzare l’attenzione su un’altra espressione linguistica oggi assai in voga: il cosiddetto “populismo”, allo scopo di evitare abbagli ed illusioni di qualsiasi tipo. Per questo, non possiamo rinunciare agli strumenti del materialismo storico, all’analisi puntuale delle forze in campo, dei rapporti tra le classi, pur nelle loro dinamiche complesse e intricate, definite così dalla frammentazione del lavoro sociale nella globalizzazione neo-liberista e post-fordista. Se le terminologie generiche e totalizzanti occultano le dinamiche di  classe, d’altra parte è proprio la lotta di classe, intesa come spirito di scissione e separazione dall’ordine costituito, come conflitto ampio, diffuso molecolarmente su tutti  i piani (sociale, politico, culturale, ideologico) che può far chiarezza nel mare indistinto del populismo. Illuminare la «notte in cui tutte le vacche sono nere»!

Il populismo è un concetto astratto, un contenitore dove c’è dentro di tutto e il contrario di tutto: cos’è il popolo se non una categoria prodotta dalla borghesia nel suo stesso divenire classe dominante? Una riduzione ad uno della molteplicità sociale e delle differenze, al fine di creare un corpo politico sottoposto alla volontà del sovrano, mistificata come volontà generale? Una trasfigurazione sublimante del conflitto di classe ed occultamento della contraddizione strutturale nel capitalismo di ieri e di oggi, tra lavoro e capitale?

Popolo-stato-nazione, con tutti i correlati emersi storicamente di nazionalismo, fascismo, colonialismo, razzismo, patriarcato, sono aspetti connaturati al dominio di classe, sia nelle fasi dell’accumulazione originaria, sia nella fase della sussunzione reale del lavoro al capitale. Si ripetono, sia pur in forme nuove, più complesse ed intricate, nei processi di globalizzazione, con diverse modalità di rimescolamento e gradazione, ma pur sempre funzionali all’egemonia neo-liberista. I nuovi nazionalismi e fondamentalismi sono l’altra faccia della medaglia del globalismo liberista, non una opposizione reale, bensì una concatenazione funzionale e sistemica. Anche il populismo, al di là delle intenzioni e della coscienza dei singoli, pur contenendo a volte parole d’ordine ed indicazioni condivisibili, è prodotto dai medesimi processi ed è funzionale all’ideologia dominante. Esso crea confusione, giochi di specchi rifrangenti, teatri e teatrini sovrapposti, dove trionfa la “politica-politicante”, tutto ed il contrario di tutto, la lotta contro le oligarchie e la riproduzione delle stesse La questione post-ideologica, che si afferma nella retorica del superamento della dicotomia storica tra destra e sinistra, si trasforma essa stessa in ideologia! Tutto ciò lo possiamo osservare in tutti i movimenti cosiddetti populisti, compreso il M5S, anche se è necessario distinguere al loro interno le componenti progressive da quelle regressive. Distinguere, separare, discriminare: esattamente l’opposto del confondere!

La forma inevitabilmente interclassista che essi assumono porta infatti ad annullare le differenze di classe in una unità fittizia, creando di fatto una falsa coscienza tra le masse, determinando una conciliazione degli opposti, piuttosto che una loro radicale separazione antagonistica. La cattiva dialettica populista, vizio originario dell’interclassismo, diventa completamente mistificante, illusoria ed ingannevole proprio nella fase storica in cui assistiamo, al contrario, ad una rottura della dialettica tra lavoro e capitale di portata epocale!

Un’annotazione quasi da archeologia politica: l’unica grande esperienza populista interclassista che ha dominato per lungo tempo la scena nazionale è stata quella della DC, dei veri maestri nell’esercizio del potere della classe dominante. Parliamo, appunto, di archeologia politica, di Prima Repubblica, di partiti di massa. Ma il carattere interclassista d quel partito ha fatto scuola e qualcuno si poneva la domanda non banale: «Moriremo tutti democristiani?». 

Sembra a volte che questo pesante fantasma aleggi ancora in molte forme, seppur diverse, populiste, bonapartiste, clientelari. Tutto ciò, in definitiva, che riguarda l’autonomia del politico come mera conquista e conservazione del potere, e che ha nella rimozione del conflitto di classe il suo connotato costitutivo. Un indefinito gioco di specchi che si risolve solo con la rottura dello specchio stesso!