Appunti per il dibatitto "il potere della scienza" a Sherwood Festival

Il potere dalla scienza

5 / 7 / 2010

La scienza e la sua traduzione tecnologica determinano oggi in larga misura i tempi e i modi della vita individuale, sociale, (ri)produttiva. Ne investono quasi ogni aspetto e mediano gran parte del rapporto con la natura. Governano la soddisfazione dei bisogni e, spesso, anche i bisogni medesimi e i nuovi desideri, creano nuove “dimensioni” intrinsecamente tecnologiche (una per tutte: la rete), allargano a dismisura il volume dei bisogni e dell'immaginario.

Benché la capacità di manipolare il “naturale” e trarne oggetti d'uso che potenziano il corpo abbia accompagnato la nostra storia da milioni di anni, in questa immanenza contemporanea vi sono tratti di inedita intensità.

Il Tecnomondo come nuovo naturale.

La tecnologia comporta evidentemente una inedita potenza di dominio e di utilizzo della natura (o della nuova dimensione artificiale). Tuttavia, il suo utilizzo è mediamente inconsapevole e automatico, quasi si trattasse in realtà dell'accesso ad un nuovo “naturale” nel quale siamo immersi. La percezione della complessità implicita nella tecnologia, la comprensione del “quadro generale” (la big picture) della scienza, delle sue potenzialità e dei rischi, delle interrelazioni fra diverse discipline, non sono un sapere diffuso, comune.

Al contrario, l'esperienza della scienza e della tecnologia equivale generalmente all'immersione in un mondo che mantiene larghi tratti di mistero, portando ad un arcobaleno di atteggiamenti che vanno, agli estremi, dal mal fondato sospetto antiscientista ad uno speculare approccio che provocatoriamente si può chiamare “cargo-cult”(1), ovvero una fiducia assoluta nel potere progressivo e taumaturgico della scienza.

Divenendo “fatto naturale”, la presenza della tecnologia acquista un carattere necessario e inevitabile, da considerare con assuefatta accettazione e con una bassissima soglia di criticità, mentre la comprensione delle connessioni di scienza e tecnologia con i nessi sociali, produttivi e di potere rimane marginale, o non c'è affatto.

In altre parole, scienza e tecnologia entrano nella microfisica del potere, partecipano del funzionamento delle “cose al livello del processo dell'assoggettamento o in quei processi continui e ininterrotti che assoggettano i corpi, dirigono i gesti, reggono i comportamenti” (2).

Altrimenti dovremmo considerarci una specie intrinsecamente folle per aver scelto - se fosse stata, appunto, una scelta - di saturare l'ambiente in cui viviamo di agenti letali, altamente tossici o cancerogeni per la nostra stessa biologia.

Scienza, produzione, normazione.

Scienza e tecnologia si traducono in oggetti d'uso e dispositivi, in "terminali” di una filiera lunga di saperi, di sfruttamento globale della biosfera e di nessi sociali e produttivi che sono continuamente rideterminati - o nascono e si strutturano - attorno alla disponibilità di questi terminali, rendendoli la risposta standard agli stimoli che essi stessi (i nessi) producono (l'esempio più banale può essere il telefono cellulare o la connessione alla rete; due “terminali” che, oltretutto, tendono sempre più a con-fondersi verso una connessione permanente dei corpi).

Questi “terminali”, che certamente esprimono grande potenza, non sono ovviamente riproducibili, tantomeno individualmente, senza un'infrastruttura produttiva complessa della quale molta parte è dissimulata dietro la meraviglia del prodotto terminale (o feticismo della merce).

Tuttavia, attraverso tali “terminali” la soddisfazione dei bisogni viene determinata, definita, diviene normale, universale ed obbligata. Con essa si intensifica e si estende l'internità nel sistema sociale e produttivo che li rende disponibili e inevitabili, allargandola via via a settori diversi della vita e spesso creando tra essi un “cortocircuito”.

La mobilità, personale o collettiva, che non si è imposta nel dibattito pubblico nonostante gli avvenimenti di Pomigliano, è un esempio calzante di “terminale”. Simbolo per eccellenza dei rapporti sociali e produttivi fordisti e successivamente toyiotisti, si configura ora, con Pomigliano, come uno dei cavalli di troia per l'entrata “istituzionale” del post-fordismo intenso nelle grandi catene produttive del lavoro “pesante” (dopo che questo ingresso è avvenuto e da tempo è ben sedimentato a livello più o meno formale nella fabbrica diffusa). Intorno alla disponibilità di mobilità personale è cresciuto e si è strutturato un intero sistema produttivo e sociale, che investiva anche l'organizzazione dei riti collettivi e individuali del supposto tempo libero. Una strutturazione che ha, allo stesso tempo, evitato accuratamente di interrogarsi pubblicamente sui presupposti che ne determinavano l'esistenza e la possibilità di crescita o di persistenza, come, ad esempio, la durata del, e la possibilità di accesso al, carburante per eccellenza: gli idrocarburi. Né si è interrogata pubblicamente, per quanto e fino a quando possibile, sulle conseguenze sull'ecosistema e sulla salute umana dell'utilizzo degli idrocarburi.

La filiera di produzione dei “terminali” tecnologici include, oltre al dato puramente produttivo, lo sviluppo dei saperi necessari, la loro protezione intellettuale, le risorse naturali interessate (compresa l'energia) e la strutturazione della filiera che assicura lo sfruttamento delle stesse risorse. Ogni elemento di questa filiera, e l'utilizzo stesso del dispositivo tecnologico, interagisce con l'ecosistema in modo complesso. Tuttavia, gran parte della “vita” di un terminale tecnologico è dissimulata nella narrazione della natura come una riserva senza limiti sia nella capacità di fornire approvvigionamento – di energia e materia – sia nella capacità di assorbire lo scarto del metabolismo tecnologico nella forma di composti emessi o di rifiuti non immediatamente utili né allo stesso ciclo tecnologico che li ha prodotti né tantomeno all'ecosistema in cui sono immersi.

La naturale ciclicità – a varie scale, da quelle più locali e quelle più globali, concatenate fra loro – dei flussi di materia ed energia in natura è quindi sostituita da un percorso rettilineo del quale solo la breve finestra dell'utilizzo del dispositivo/terminale è visibile. L'origine, la natura ed il percorso di tali flussi rimangono nascosti e spesso incomprensibili e, quindi, al di là di ogni possibilità di scelta e di governance collettive.

Se tutto ciò sia necessario o intrinseco alla scienza o alla tecnologia può essere un dibattito appassionante: certamente è conseguenza del profitto come logos universale, dell'imposizione della struttura di mercato come luogo obbligato di incontro dei bisogni, dai più fondamentali ai nuovi desideri, e della loro soddisfazione. La razionalità dell'accumulazione sposta il baricentro della scienza, soprattutto nei campi più applicativi e sensibili (dalle scienze dei materiali alla chimica, dall'energia alle biotecnologie, dalla genetica alla medicina/farmaceutica), verso la ricerca della massima profittabilità di ogni processo e della maggior velocità possibile dell'evoluzione e dell'innovazione del tecnomondo entro cui si inscrive la parabola bisogno/desiderio – soddisfazione/risposta.

Coerentemente con l'invasione profonda del mercato e dei processi di accumulazione in ogni aspetto della vita, nemmeno i bisogni primari più basilari rimangono al di fuori della tecno-struttura di mercato. Non la catena alimentare, inscritta nel paradigma della tecnoagricoltura a base di pesticidi – la cui produzione coinvolge alcune delle sostanze chimiche più pericolose mai inventate –e di ogm, lontana dalla razionalità dell'agricoltura di prossimità e dell'autosufficienza alimentare delle comunità. Agricoltura che, per di più, è in buona parte tesa alla produzione di alimenti per una enorme massa animale, che dal canto suo è essa stessa preda delle zootecniche più ambiziose solo approssimativamente note e pubblicamente discusse.

Non rimane al di fuori del mercato la salute umana(3) la definizione di malattia e stato di salute è testimone della continua tensione fra le esigenze della ricerca medica – che si interseca comunque con la ricerca ed il mercato della diagnostica – e le esigenze della ricerca e del mercato farmaceutici, entro un quadro di non marginale e inappropriata sovrapposizione tra attori della ricerca e attori del mercato. Il caso del virus H1N1 (responsabile della famosa influenza suina) è paradigmatico: l'OMS ridefinìla pandemia in senso molto meno restrittivo, cosicché la risposta al creato allarme sociale fu una campagna globale di vaccinazione totalmente irrispettosa dei tempi altrimenti previsti (e necessari) di sperimentazione del vaccino, acquistato in notevoli volumi dai sistemi sanitari. Una ridefinizione tuttora in essere, confezionata per attivare la massima allerta per ogni virus futuro che presenti facilità di diffusione. Su questo piano si sovrappongono evidentemente le esigenze di mercato (in Italia il 37% della spesa sanitaria “pubblica” è in realtà verso soggetti privati; negli stati uniti la riforma Obamiana annovera Big Pharma fra i massimi sostenitori) con le esigenze di disciplinazione dei corpi produttivi e degli stili di vita.

Il comune ecosistema

Dal cambiamento climatico (che coinvolge non solo la composizione chimica dell'atmosfera, ma i cicli dell'acqua, del carbonio, dell'azoto, le biomasse e il suolo) all'estinzione di biodiversità, dall'utilizzo del suolo alla progressiva ubiquità di composti tossici l'impatto del tecnomondo è indubbio e profondo.

Le crisi ecologiche non sono certo mancate nella storia dell'uomo: migliaia o centinaia d'anni prima di Cristo, in Mesopotamia o in Libano, nell'impero Maya o in Cina, la pressione antropica dell'uomo determinò crisi idriche o agricole, desertificazione e deforestazione.

La tecnologia, tuttavia, ha aumentato la potenza della pressione antropica sull'ecosistema ad oni scala, agendo più in profondità nei meccanismi biologici (ad esempio con le biotecnologie o con innumerevoli composti chimici) e fisici (ad esempio modificano la composizione chimica dell'atmosfera), e dilatando la scala spaziale all'intero pianetae proiettandosi per centinaia o migliaia di anni nel futuro.

Ciò che oggi chiamiamo “crisi” ecologica è una migrazione da un dato equilibrio termodinamico e biologico verso un differente equilibrio. Migrazioni simili sono sempre avvenute lungo tutta la storia del pianeta: cambiamenti climatici estremi, e drastiche variazioni nella chimica dell'ecosistema si sono succeduti più volte nel corso dei quattro miliardi e mezzo di anni passati. A meno di eventi catastrofici, tuttavia, il tempo scala di queste mutazioni è proporzionale all'inerzia del pianeta, e quindi apprezzabilmente lungo.

L'attuale migrazione di equilibrio sta invece avvenendo in tempi estremamente rapidi, determinando la crisi crescente dei benefits diretti ed indiretti dai quali dipendono il benessere e addirittura la sopravvivenza della nostra specie (e di molte altre). La purificazione dell'aria e dell'acqua, la produzione di cibo, la de-composizione e il riciclo dei nutrienti, il flusso di risorse genetiche che proviene alla biodiversità (necessaria sia per la produttività e la protezione delle piante sia per lo sviluppo di medicinali e affini) e una rete di innumerevoli servizi “critici”. La crescente difficoltà dell'ecosistema nel provvederci di tutto questo è dissimulata quasi completamente dall'immersione nel tecnomondo, a costi sempre maggiori e al prezzo aggiuntivo della più profonda ed estesa situazione di sfruttamento e di ingiustizia sociale ed economica che si sia mai conosciuta nella storia dell'umanità.

L'estrema mancanza di cautela e di rispetto per la complessità in cui siamo immersi è, come si diceva, la risposta alla richiesta da parte dell'accumulazione del capitale di una propulsione espansiva delle conoscenze e dalla loro traduzione tecnologica immediata. La stessa green economy, che chiaramente non prelude ad alcuna mutazione di questa razionalità, è il tentativo di internalizzare lo stress dell'ecosistema e renderlo propulsivo per l'accumulazione.

Scienza e tecnologia non si danno al di fuori di una struttura sociale e produttiva, con la quale rimangono intrecciate: è questo rapporto che determina di fatto la loro non neutralità(4), poiché la scienza non possiede di per sé tratti caratteristici che oppongano resistenza alla torsione determinata, ad esempio, dalla attuale stretta connessione con la necessità espansiva della produzione.

Per lo stesso motivo, la tensione deve essere non verso una impossibile (e nonsense) neutralità (e tantomeno verso l'antiscientismo) ma al contrario decisamente verso l'intreccio con una struttura sociale e produttiva differente, l'abbandono del mercato come struttura universale e l'esodo verso la ricerca il massimo vantaggio prima (invece) che il massimo profitto. E proprio dalla scienza impariamo che il massimo vantaggio si interseca con la preservazione della capacità dell'ecosistema di fornire senza stress quella rete complessa di servizi e beni cui si accennava poco sopra.

Se e come questo esodo sia possibile rimane una domanda aperta, un terreno di sperimentazione e di riappropriazione di diritti e di conoscenza entro la prospettiva di (ri)costruzione del “comune”, capace di comprendere in una narrazione complessiva le istanze di giustizia sociale ed ecologica.

Da questo punto di vista la battaglia sull'acqua diventa seminale e precorritrice della costituzione del comune come dimensione terza al pubblico e al privato, costitutivamente sottratta alla logica del profitto e restituita alla dimensione della giustizia e del diritto di accesso universale, intersecandosi con la cura e la preservazione della risorsa come condizione di massimo vantaggio universale.

È necessario quindi ripensare nella stessa prospettiva l'intreccio del “comune naturale” – costitutivo della vita e nodo insostituibile dei servizi e beni necessari alla stessa, e del “comune artificiale” – necessario per l'accesso e l'utilizzo universali del naturale, in modo efficiente, consapevole e prudente. Una prospettiva che intrinsecamente comprende la circolarità e la località dei flussi di materia ed energia, restituendo “visibilità” e governance su tutto il loro ciclo, conducendo in modo ovvio allo sviluppo di un pensiero ecosistemico.

Verso Cancun, con energia

L'energia è una prima, fondamentale tappa di questo percorso. Condizione primaria dell'esistenza di ogni sistema, nel tecnomondo è essa stessa un processo produttivo di primaria importanza, motore della potenza e del profitto. La sua strutturazione, ed in primo luogo la natura delle fonti primarie di approvvigionamento, determina i, ed è determinata dai, nessi sociali, produttivi e di comando a livello locale e globale.

Le fonti primarie – gli idrocarburi, il cui controllo geopolitico appare anch'esso in crisi – sono in rapido esaurimento, divengono energeticamente sempre più dispendiose e il loro sfruttamento, tra le cause principali dei cambiamenti climatici, moltiplica oltre misura la crisi ecologica. La sorgente che procura ancora oggi l'80% del totale e ha assicurato due secoli di crescita esponenziale determina oggi definitivamente una drastica erosione del margine di profitto e nessuna prospettiva di crescita di lungo periodo: la risposta obbligata alla crisi energetica che viene è un cambiamento di paradigma verso le differenti altre sorgenti di energie disponibili nel “comune naturale” (sole, vento, geotermia, biomasse..).

L'appropriazione e il controllo dell'energia in quanto elemento originario e necessario del processo produttivo sono chiaramente necessari per l'organizzazione del capitale, ma anche le stesse forme di accesso e distribuzione dell'energia devono assicurare l'iscrizione del suo utilizzo all'interno dello stesso paradigma di sfruttamento generalizzato.

Ne consegue che l'utilizzo delle energie “green”, tanto rarefatte e diffuse quanto gli idrocarburi sono energeticamente densi e centralizzabili, determina la necessità di una riorganizzazione delle leve e dei dispositivi di comando e dei nessi sociali e produttivi, di cui la green economy è il preludio: un mutamento intrinseco alla nuova fase che si apre, uno spostamento deciso verso la cattura e il controllo del “comune naturale” in sé e, insieme, della sfera dei saperi e delle tecnologie necessari a renderlo utilizzabile.

Una fase che si proietta già nella dimensione più profonda del comune naturale: quella genetica. Graig Venter, creatore della Celera Genomics – una compagnia privata di assalto nel campo delle biotecnologie e dell'appropriazione genetica in particolare – ha ottenuto dalla Bp (la compagnia responsabile del catastrofico oil spill al largo delle coste USA) un finanziamento di centinaia di milioni di dollari per sviluppare alcuni batteri in grado di sintetizzare biocombustibili in modo molto più efficiente della vegetazione. Batteri con un corredo genomico mai apparso prima sulla terra e che evidentemente dovranno essere introdotti nella biosfera – non si dove e come – in quantità enormi. Un azzardo nuovo, di portata globale: la costruzione del bios ai fini della produzione anziché il “semplice” sfruttamento di esso.

È impossibile sapere come nuove forme biotiche, dotate di sequenze geniche apparse ex machina e mai viste sul pianeta, interagiranno con la biosfera e su quali tempi-scala. Perché l'investimento non sia un nonsense economico, la sperimentazione dovrà necessariamente adeguarsi, una volt di più, alla razionalità del massimo profitto, che – come nel caso degli ogm o del nucleare o della chimica – mette di fatto sul mercato la disponibilità del bios globale ad essere esposto ad un nuovo fattore di rischio cieco, con potenzialità dagli sviluppi imprevedibili.

Questo terreno, che attraverseremo andando verso Cancun e oltre, è il prossimo terreno di costruzione del comune attraverso la rivendicazione di un diritto di accesso universale all'energia al di fuori del mercato: una sorta di “reddito di cittadinanza energetico”, che dia corpo e prospettiva al concetto di indipendenza della vita dal paradigma di profitto e accumulazione.

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(1) In Melanesia si sviluppò un movimento religioso che riteneva i prodotti industriali - importati tramite aeroplani da trasporto merci, o "cargo" - come un regalo degli antenati che di cui si sarebbero indebitamente appropriati i bianchi. Da qui la denominazione "cargo cult" (Wiki)

(2) Microfisica del Potere, M. Foucault

(3) si veda su questo l'intervento di Gianni Cavallini sul modello sanitario e le sue implicazioni.

(4) in realtà si potrebbe, e si dovrebbe, discutere se invece a determinare la non neutralità della scienza sia proprio la logica, la struttura dell'approccio conoscitivo, il concepire la conoscenza come scomposizione analitica della natura in singolarità astratte dal loro rapporto /scambio con la complessità del "tutto" (o, almeno, di ciò che le circonda).