Il prefetto di Perugia e la narrazione oscurantista sulle sostanze

Giovedì 26 giugno alle ore 21 allo Sherwood Festival trasmissione indipendente "Il frutto negato. Proibizionismo, finanza e libertà"

24 / 6 / 2014

La storia delle sostanze psicotrope, leggere o pesanti, soprattutto nel nostro Paese è intrisa di narrazioni oscurantiste, che ne hanno pesantamente condizionato l’informazione. Il piano pubblico della discussione è stato continuamente normato da una cultura politica proibizionista, fino a diventare una triste liturgia tesa a criminalizzare comportamenti, stili di vita e modus operandi dei consumatori.

Tralasciando le uscite dei vari Giovanardi, Serpelloni, capo del Dipartimento Antidroga fino a pochi mesi fa, o a suo tempo, di Muccioli, fondatore di San Patrignano, l’ultima di queste narrazioni l’ha fatta il prefetto di Perugia, Antonio Reppucci, pochi giorni fa: «Se una madre non si accorge che il figlio si droga dovrebbe suicidarsi». Una dichiarazione talmente scomposta e fuori posto, anche per le istituzioni stesse, che Repucci è stato immediatamente rimosso dal suo incarico.

Il prefetto stava partecipando ad un incontro pubblico cittadino, insieme al procuratore generale della Corte d’Appello perugina Giovanni Galati, al questore Carmelo Gugliotta, al colonnello dei Carabinieri Angelo Cuneo ed a quello della Guardia di Finanza Vincenzo Tuzi, che aveva come oggetto la scomoda questione, da tempo diventata un topos mediatico, di “Perugia capitale della droga”.

Il senso di inquietudine che lasciano le parole dell’ormai ex prefetto, al di là della brutalità dei termini e dei toni utilizzati, risiede nella condanna senza appello chi chiunque faccia uso di sostanze, senza fare distinzione alcuna e stimolando l’ambito familiare a corroborare il suo ruolo antico di pietra miliare del controllo sociale. “Mio padre mi avrebbe tagliato la testa. E invece i genitori dei circa cinquecento assuntori segnalati ogni anno alla Prefettura tendono a giustificare i figli: è solo uno spinello”. Sono le dichiarazioni agghiaccianti di uno che fino a pochi giorni fa era rappresentante del governo su un territorio.

La questione ovviamente è più complessa ed esula dalle singole dichiarazioni, seppure queste coinvolgono un’alta carica istituzionale. Il problema riguarda una retorica complessiva sulle sostanze che ancora oggi concentra la sua attenzione sul consumatore (reprimendolo, condannandolo, ghettizzandolo), tralasciando volutamente di approfondire i nessi che governano  a monte la mercificazione della droga.

Ancora oggi, nonostante la legge Fini-Giovanardi sia stata abolita, le scuole rappresentano un laboratorio di repressione e cattiva informazione, con i blitz della finanza che sono addirittura aumentati negli ultimi mesi, le nostre città continuano ad essere schiave di un modello securitario che tende a vedere la droga solamente come un problema di ordine pubblico.

Perugia in questo rappresenta un vero e proprio paradigma, proprio per l’incredibile intreccio esistente tra mercato della droga e bios sociale all’interno del territorio. In questa città ho vissuto per tanti anni e ho avuto modo di viverne quotidianamente, con la soggettività di attivista politico, le contraddizioni sociali ed i flussi di vita. Per questa ragione posso affermare che la facilità di accesso alle sostanze, che da anni a Perugia rappresenta un dato sostanziale, si lega in maniera inequivocabile a quel nesso virtuoso instauratosi tra distribuzione delle sostanze, finanziarizzazione del territorio e rendita urbana.

Più che “capitale della droga” Perugia può essere considerata “capitale del narcocapitalismo”, nella misura in cui in questi anni mafia e capitale hanno concorso nella valorizzazione della droga-merce, riproducendo un modello sociale nel quale le sostanze e la loro gestione generano costantemente biocontrollo ed il consumatore diventa soggetto unico di repressione. Non dimentichiamoci che alcuni anni, nell’ottobre del 2007, fa proprio a Perugia è stato ucciso in carcere Aldo Bianzino, arrestato per il possesso di alcune piantine di canapa: una vicenda che ancora oggi grida verità e giustizia.

In generale possiamo affermare che le narrazioni oscurantiste sono parte organica di una più ampia relazione sociale legata alla droga, all’interno della quale il legame tra proibizionismo e narcocapitalismo è sempre stato strettissimo.

Come centri sociali in questi ultimi mesi abbiamo provato ad aggredire tutto questo, partecipando alla street antiproibizionista dello scorso 8 febbraio, attraversando la conferenza nazionale sulle droghe di Genova “Sulle orme di don Gallo”, ma soprattutto dando vita a “Seminiamo indipendenza”, una campagna di semina diffusa di canapa avvenuta in tante città italiane tra fine aprile ed inizio maggio. Campagna che valorizzava l’autoproduzione come pratica reale di contrasto al narcocapitalismo, ridando alla canapa dignità di sostanza naturale in grado di inserirsi nei cicli di agricoltura biologica e indipendente dall’agroindustria.

Crediamo sia importante sovvertire le narrazioni oscurantiste, provando a chiederci come è possibile cambiare l’esistente partendo dall’indipendenza politica e culturale. Per questa ragione durante il Festival di Sherwood abbiamo costruito insieme una trasmissione indipendente dal titolo "Il frutto negato. Proibizionismo, finanza e libertà", che andrà in onda giovedì 26 giugno alle 21 su Sherwood.it.

Vogliamo affrontare la questione delle sostanze e dei nessi sociali, politici ed economici che ne sono alla base, innanzitutto ponendo delle domande, a noi ed ai nostri tanti ospiti presenti in studio, tra cui Sandrone Dazieri, scrittore indipendente, Gianfranco Bettin, Assessore Politiche giovanili del Comune di Venezia Domenico Chionetti, Comunità San Benedetto al Porto di Genova Giuseppe Di Pino, educatore sociale del Comune di Venezia, Yuri Crespan, redattore di OverGrow.it E' finito il tempo del proibizionismo? Che senso ha in questa fase storica promuovere politiche proibizioniste quando in tante parti del mondo si sta andando in direzioni opposte, seppure controverse? Che cos’è il narcocapitalismo? Qual è l’intreccio tra mercato della droga, organizzazioni criminali e finanza mondiale? come si nutre il narcocapitalismo nel tempo della crisi? E ancora: che ruolo possono avere i movimenti per contrastare questo sistema?

Ed è proprio su quest’ultimo piano che “Il frutto negato” vuole provare a costruire nuovi immaginari che diano un senso concreto di possibilità che cambiare l’esistente è non solo possibile, ma anche necessario.