Il Referendum secessionista sud-tirolese e l’Europa delle piccole patrie

Il referendum consultivo lanciato dal Süd-Tiroler Freiheit ha visto la partecipazione di oltre 61.000 persone

15 / 1 / 2014

Pochi giorni fa sono stati resi pubblici i risultati del referendum consultivo tenutosi in Alto Adige/ Süd Tirol sulla secessione dall’Italia e l’annessione all’Austria. La consultazione è stata lanciata da Eva Klotz, leader del partito autonomista Süd-Tiroler Freiheit, ed ha visto la partecipazione di oltre 61.000 persone, su un totale di 380.000 “aventi diritto”. Il 92% dei votanti, circa 56.000 persone, si è espresso per la “riunificazione” del Sud-Tirolo con l’Austria.

Il dato politico più rilevante della consultazione sembra essere il suo successo in termini numerici (circa il 16% della popolazione votante), che si inquadra in un trend positivo per il Süd-Tiroler Freiheit, iniziato alle elezioni provinciali del 2008, dove il partito ha ottenuto il 4,8%, e proseguito nel 2013 con oltre il 7% di preferenze.

Sono lontani i tempi del “Los von Trient”, dei movimenti di massa per l’indipendenza sud-tirolese, del gruppo Stieler e del Befreiungsausschuss Südtirol (Comitato per la liberazione del Sudtirolo, il cui leader negli anni Sessanta è stato proprio George Klotz, padre di Eva). Le tensioni etniche tra altoatesini di lingua italiana e popolazione di lingua tedesca, figlie della drammatica italianizzazione dell’area operata dal fascismo e dell’annessione al Terzo Raich avvenuta dopo l’8 settembre 1943, hanno lasciato il passo a spinte autonomiste suggellate dalla nascita della Provincia Autonoma di Bolzano (istituita nel 1972, ma il cui statuto è stato reso pienamente operativo dal 1992).

L’autonomia, sul piano amministrativo, legislativo e finanziario, ha favorito il formarsi di una governance locale che, in Alto-Adige come in Trentino, è stata in grado di auto-conservarsi garantendo una duratura stabilità politica, economica e sociale. Stabilità che in Alto-Adige si è incarnata nella SVP, partito di orientamento centrista, che ha governato ininterrottamente la Provincia dal dopoguerra in poi.

Nonostante la SVP abbia ampiamente vinto anche le elezioni provinciali del novembre 2013, non ha ottenuto la maggioranza assoluta, perdendo un seggio rispetto alle elezioni del 2008 e addirittura 4 in raffronto al 2003. Proprio le ultime elezioni ci hanno consegnato un quadro politico nel quale il partito di Eva Klotz si è affermato come quarta forza, dietro la Svp, il Freiheitlichen (l’altro partito della destra indipendentista, anch’esso in forte crescita) e i Verdi.

La lieve scossa a uno scenario politico storicamente contrassegnato da una forte continuità è diretta conseguenza di una situazione sociale che, nonostante una tenuta generale del sistema economico locale, ha mostrato negli ultimi anni alcuni segni di cedimento. Esemplificativo è il dato del tasso generale di disoccupazione, passato, dal 2010 al 2013, dal 2,7% al 5,4% (dati Istat), con un conseguente aumento della disoccupazione giovanile dal 6,4% ad oltre il 13%. Ovviamente si tratta di dati nettamente distanti dal quadro nazionale, ma che comunque hanno allontanato di colpo l’Alto-Adige da una cifra tecnicamente di piena occupazione.

Tornando al referendum per l’autodeterminazione dei sud-tirolesi, in una recente intervista al portale Lindipendenza.com, Eva Klotz lo considera un passo verso il ricongiungimento all’Austria poiché, a detta sua, la legittimità delle loro rivendicazioni deriva direttamente dalla forzata separazione come conseguenza della Prima Guerra Mondiale. Al di là del tono provocatorio delle dichiarazioni emerge chiaramente il fattore etnico come unico elemento di autodeterminazione territoriale. Nessun accenno ad esempio alla questione del Tav del Brennero, che rischia di devastare totalmente il territorio, dalla Bassa Atesina fino al confine con l’Austria.

La centralità dell’identità tirolese, in chiave anti-italiana e più in generale come spinta anti-europeista, accomuna il Süd-Tiroler Freiheit a quelle forze politiche che cercano di coniugare ataviche rivendicazioni indipendentiste, più o meno legittime, con il lessico populista e xenofobo della nuova destra europea.

Ovviamente non stiamo parlando di una nascente destra che unisce Alba Dorata ai baschi. Proprio questi ultimi hanno dato prova pochi giorni fa, con la grande manifestazione a Bilbao per la liberazione dei detenuti politici, che nell’indipendentismo basco è ancora viva l’opzione politica che ha nella richiesta di democrazia e giustizia sociale i suoi elementi principali. La situazione è complessa e articolata nello stesso Alto Adige/ Süd Tirol, che da anni è terreno di scontri tra i militanti di Casapound ed i secessionisti di Eva Klotz. Uno scontro che ha le sue radici proprio nella travagliata storia altoatesina, teatro tra l'altro, di rappresaglie tra i fascisti locali e gli occupanti nazisti durante la seconda guerra mondiale.

Ma è innegabile, senza voler tracciare una geopolitica esaustiva delle spinte indipendentiste all’interno del “vecchio continente”, che in questi ultimi anni l’Europa delle piccole patrie e dei regionalismi etnici si sia affermata come tentativo omogeneo di articolare una risposta di destra alla crisi politica ed economica europea. Tutto questo desta ancora più preoccupazione se pensiamo alla fase molto delicata che l’Europa sta vivendo. Se sul piano economico è in atto una ridefinizione degli equilibri tra rendita e capitale vivo che sta segnando il passaggio verso una fase di post-austerità, sul piano politico le elezioni di maggio sanciranno per la prima volta un parlamento europeo in grado di esercitare direttamente un’azione legislativa.

Quello che preoccupa non è tanto la capacità delle “piccole patrie” di aggregare un largo consenso su base europea, quanto il fatto che l’unica opzione in questo momento in grado di parlare di indipendentismo territoriale in maniera organizzata abbia un linguaggio di destra e reazionario, in grado di definire il territorio solamente su questioni etniche e identitarie.

Per questa ragione è importante rafforzare nella scena europea dei movimenti un dibattito sul territorio, inteso come comunità viva ed aperta capace di produrre conflitti reali e pratiche del comune. Temi come l’autogoverno e l’autogestione, la gestione comune delle risorse, le nuove forme di democrazia e di welfare devono necessariamente essere la base di una nuova Europa costruita dal basso.