IlManifesto: dov’è finito il giornalista?

30 / 12 / 2012

Effettivamente, erano lunghi mesi che il quotidiano Il Manifesto non parlava del movimento NoDalMolin. Eppure, una volta il "quotidiano comunista" era uno dei più assidui narratori delle vicende vicentine; non passava mese senza che un suo cronista passasse in assemblea, telefonasse per sapere le ultime novità o per commentare l’ultimo articolo proposto su nodalmolin.it, chiedesse informazioni sul dibattito in corso e sulle idee per le iniziative a venire.

Poi, un lungo silenzio. I NoDalMolin tagliano le reti. Organizzano fiaccolate. Vanno a processo. Denunciano il nuovo progetto statunitense per la costruzionedi nuove servitù militari a Site Pluto. Ma su Il Manifesto non se ne parla o, al massimo, c’è un riquadrino copiato dall’Ansa. Forse, una questione di spazi: il quotidiano, in fondo, si è ridotto a una decina di pagine.

Fino al 27 dicembre, quando Gigi Roggero e Donato Tagliapietra sottoscrivono due pagine colme di foto e parole dal titolo "Dal Molin, dov’è finito il movimento?".

Beh, vien da dire, è sempre a Ponte Marchese, con i tendoni, e continua a organizzare iniziative, a socializzare idee, proporre alternative, denunciare disastri e illegittimità. Certo, Vicenza e il movimento NoDalMolin non sono quelli del 2007. E non ci voleva un accademico per intuirlo; del resto, tante cose non sono più come nel 2007, nemmeno Il Manifesto che, al tempo, si prendeva il lusso di mandare un inviato. Ma questo non toglie l’interesse a un approfondimento vero dello stato dell’arte, della ricerca di tante donne e uomini di forme e strumenti per opporsi ancora e anche oggi alla militarizzazione. Ma per farlo bisogna prendere il treno e scendere alla stazione di Vicenza, da qui salire su un autobus e raggiungere, in una delle giornate di attività, il Presidio NoDalMolin. Per incontrare persone, ascoltare racconti e opinioni, fare domande. Per dare, come faceva sempre Il Manifesto usando soltanto il nome di battesimo, dei volti alle parole.

Invece, nell’articolo del 27 dicembre non c’è spazio per le donne e gli uomini che si riuniscono al freddo nei martedì sera d’inverno; nè per quelli che tagliano le reti o stanno ai fornelli della cucina, o per chi distribuisce i volantini e prepara striscioni. Chi parla, viceversa, non ha nome, tanto che i virgolettati citati sono anonimi, senza volto, e quindi senza sentimento. Ma il movimento, forte o debole che sia, è sempre una questione di emozioni. Parlare, esprimere giudizi, indicare la linea, come hanno fatto Roggero e Tagliapietra, è un esercizio che lasciamo ai saccenti, a quelli che si considerano “maestri”, buoni o cattivi che siano, di cui il movimento non ha sinceramente bisogno. Il movimento è fatto di donne e uomini che lottano, che si assumono responsabilità, con generosità, con sacrificio, con umiltà. Questi due signori, che adesso ci dicono dove abbiamo sbagliato e cosa dovremmo fare, chi li ha mai visti?

Inchiesta è innanzittutto ascolto. Eppure, nessuno ha voluto prendersi il tempo per domandare, ascoltare. e raccontare. Dov’è finito il giornalista?

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