Intervista a Paolo Divetta, attivista "socialmente pericoloso"

Analisi dello stato dei movimenti e dell'attacco complessivo cui sono sottoposti

15 / 11 / 2016

GlobalProject ha intervistato a Roma Paolo di Vetta, "sorvegliato speciale" dallo scorso 26 ottobre per ordine della Procura, come Luca Fagiano. Paolo ha l'obbligo di dimora nel territorio del Comune di Roma e non può partecipar a pubbliche riunioni. Ci incontriamo a Porta Maggiore, al capolinea del tram, mentre a poca distanza Piazza San Giovanni si va riempiendo dei partecipanti al corteo nazionale contro il regime di controllo delle migrazioni e lo sfruttamento sul lavoro.

Paolo, Porta Maggiore alle tue spalle simboleggia il limite che ancora per un anno non potrai varcare.

Da poco più di due settimane vivo questa condizione di restrizione della libertà, assieme a Luca. Stiamo ragionando tanto dal punto di vista personale quanto a livello complessivo su come rompere questo formidabie ricatto. È una vicenda, la nostra, inedita nella storia recente in città e non solo. A Roma stanno fioccando gli avvisi orali, l'ex Articolo 1, che sono il preambolo alla sorveglianza speciale: circa quaranta persone sono state "richiamate". Anche le richieste di sorveglianza speciale avanzate dalla questura sono state molteplici, le uniche accolte quelle di Luca e la mia.

La Questura sostiene che siete due individui socialmente pericolosi, la Procura avalla questa visione e vi impone misure preventive eccezionali.

La richiesta parte dal Questore, ma la Magistratura che ha affrontato il dispositivo proposto dalla DIGOS ha fatto sostanzialmente un "copia-incolla", un lavoro di scarsa disponibilità e nessuna applicazione: ha preso le argomentazioni della questure che provano a descriverci come soggetti violenti al di là delle mobilitazioni ed iniziative che portiamo avanti, e quindi ha disposto senza prendere in considerazione le argomentazioni avanzate dai nostri avvocati. Abbiamo provato a dire che la nostra colpevolezza sta nel non aver mai mollato la lotta di fronte al disagio sociale, ai diritti inevasi ma di questo non c'è traccia nel dispositivo, dove si mette da parte qualunque questione attinente al disagio ed alle  mobilitazioni a questo legate. Anzi: si parla di noi come soggetti pericolosi e dediti ad atti di violenza. Addirittura c'è un passaggio dove si dice che aggrediamo ogni divisa che abbia la ventura di trovarsi di fronte a noi. Questa è un'immagine entro cui non ci riconosciamo assolutamente perché pensiamo che le nostre pratiche hanno sempre avuto una relazione diretta con le istanze portate dai movimenti.
Ciò che è vero è che la partita giocata è stata irriducibile ma l'obiettivo finale è sempre stato il conquistare diritti inevasi e la difesa dei diritti primari che questa città sono ridotti al lumicino.

Quale è ora il livello delle lotte sociali in città? Quale il livello dell'azione di magistratura e procura?

Siamo davanti ad un attacco condotto attraverso gli strumenti forniti dal Codice Penale e dalle leggi ordinarie, un'aggressione a livello nazionale alle lotte per il diritto all'abitare il cui obiettivo è far segnare il passo alle lotte di riappropriazione. L'Art.5 del Piano Casa di Lupi, un decreto ricordiamolo, che nega residenze ed allacciamenti alle utenze nelle occupazioni è un atto di vera barbarie anche contro la Costituzione, oltre che ai danni degli occupanti e di chi lotta. Questo attacco trova ora una rappresentazione plastica nel cammino comune che questura ministero e magistratura stanno facendo. Gli avvisi orali a pioggia, le misure preventive cautelari che impongono sorveglianza alle persone e non alle battaglie collettive sono misura del tentativo di ricatto diretto a chi lotta, nella vita quotidiana e nella dimensione umana.
Dobbiamo essere in grado collettivamente di uscire da questa situazione di ricatto, per riprendere fiato e rilanciare una dinamica espansiva di lotte. Il disagio sociale è enorme e l'aggressione arriva proprio perché  è devastante, e non accettano idea che un progetto di lotta possa essere fortemente aggregativo

La dinamica Magistratura-Ministero degli Interni-Questure impone un ragionamento collettivo, così come l'identificazione delle possibili vie di uscita che debbono essere percorse in maniera decisa. Non lasciando soltanto a chi è colpito la soluzione di pratiche di disobbedienza o altre iniziative singole, ma costruendo un quadro analitico ed organizzativo anche in grado di gestire le conseguenze che potrebbero esserci. Come fatto in ValSusa, le iniziative singole non sono mai slegate dal contesto delle lotte e da un quadro collettivo di costruzione e gestione; soprattutto ciò che fa deve essere sotteso da un'analisi all'altezza della portata inedita dell'attacco complessivo che stiamo subendo.
D'altro canto state cercando di ridurre il danno presentando ricorso per le vie giudiziarie.
Sì, i legali hanno presentato ricorso, ma non abbiamo grandi speranze. Noi comunque lotteremo anche sul piano tecnico-giudiziario, oltre che con la lotta; e da questo punto di vista bisogna interrogarci per capire se ci sono ancora quei brandelli di sensibilità giuridica disposti a mettersi in gioco sulle garanzie e tutele. Insomma, che fine ha fatto il garantismo: è ancora possibile, oggi?
Se esiste ancora qualcosa, la sorveglianza con obbligo di dimora è una cosa che non si vedeva da tempo, solo il Bocia a Bergamo è nelle mie stesse condizioni. Gli stadi sono stati il laboratorio delle tecniche di "prevenzione", il caso di Pisa ne è un esempio lampante.
Bisogna essere in grado di rigettare sentenze, dispositivi come questi e dobbiamo farlo in concorso comune anche guardando alle mobilitazioni che nelle prossime settimane ci saranno a Roma e in tutto il Paese.

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