Quando un corteo a Napoli si apre con uno striscione
che dice “Jatevenne” è sempre una cosa seria.
Il No Fornero Day a Napoli ha dato un segnale deciso allo stagno del conflitto
sociale nel paese. Non un segnale isolato. Negli ultimi mesi ce ne sono stati
tanti, su altri territori: l’accoglienza riservata a Mario Draghi a Venezia, le
manifestazioni organizzate per l’arrivo di Mario Monti a Riva del Garda ed in
mezzo mobilitazioni che, nonostante i tanti limiti, sono stati comunque dei
segnali di ripresa del movimento italiano come il No Monti Day del 27 ottobre
scorso.
A Napoli in poco più di sei giorni le realtà di movimento, a cominciare dai
centri sociali e dai collettivi studenteschi, passando per quelle realtà di
lotta che a Napoli come in provincia hanno fatto del territorio il loro
circuito d’azione privilegiato, siamo riusciti ad organizzare nel migliore dei
modi possibili una mobilitazione che ha dato un segnale chiaro non solo alla
Fornero ed al governo Monti, ma alle politiche di austerità a livello europeo.
Jatevenne! Andate via ! Que se vayan todos!
Il Ministro Elsa Fornero è diventato ormai il simbolo delle politiche dettate
dalla troika che chiedono il conto della crisi alle fasce sociali più deboli
del Sud Europa. Dalla dismissione dell’articolo 18 all’aumento della
precarietà, da una idea dei giovani di questo paese che li vuole automi ed addomesticati,
fino ai tagli agli ammortizzatori sociali. Espressione di una nuova casta,
quella dei tecnici, di quelli che “meritano”, che sistema i propri figli in
banche, università e grandi centrali economico finanziarie e chiede il conto
della crisi ai precari ed agli impiegati. Ma la Fornero non arrivava in una
città come le altre. Napoli è oggi probabilmente il contesto socio-economico
che meglio lega il nostro paese con il resto dei PIGS europei. Oltre 140 mila
famiglie in Campania vivono al di sotto della soglia di povertà, in una città
che negli ultimi dieci anni ha visto 108 mila nuovi emigranti. Non solo,
nonostante solo il 30% degli occupati del paese si trova nel Mezzogiorno, qui
si concentra oltre il 60% delle perdite di lavoro causate dalla crisi, con il
20% che riguarda il lavoro industriale in Campania. Una città nuovamente
stretta nella morsa di una guerra di camorra che lascia morti innocenti nelle
strade ed una economia criminale che resta la sola centrale di ridistribuzione
di reddito. Un territorio dove la crisi oltre a portare l’aumento della
disoccupazione ha costruito un meccanismo di accesso al mercato del lavoro
segnato pesantemente dai meccanismi di schiavizzazione e dall’aumento a
dismisura del lavoro nero.
Altro che choosy signora Fornero!
Per questo la sola accoglienza possibile al ministro Fornero non poteva che
essere quella messa in campo per le strade del quartiere di Fuorigrotta il 12
novembre.
Da sempre abbiamo detto che le pratiche di conflitto nelle piazze devono essere
di massa, riproducibili, leggibili da tutti. Il corteo si è svolto come è stato
deciso dalle assemblee che ci sono state ed ha visto la partecipazione
consapevole di tutti in una giornata dove dare un segnale forte non era solo
necessario, ma semplicemente indispensabile. Senza dubbio le 1500 persone in
piazza non rappresentano di per sé né un’eccedenza né tantomeno la complessità
di quei segmenti sociali evocati da quella piazza. Ma è un contributo,
importante, onesto, umile, irriducibile, di tutti coloro che non si rassegnano
all’ineluttabilità delle politiche europee.
Una giornata di scontri, con i ministri chiusi nella Mostra d’Oltremare e la
polizia a lanciare lacrimogeni ad altezza uomo nelle piazze, a rincorrere i
manifestanti sui viali e perfino dentro il Politecnico. Ma è importante capire
anche quali sono state le reazioni per comprendere come il No Fornero Day si
sia sintonizzato nelle corde di un territorio dove anche le istituzioni fanno
fatica a difendere le politiche montiane. Mentre Luigi de Magistris, sindaco di
Napoli si è rifiutato di andare al vertice affidando la spiegazione ad un video
su youtube in cui spiega che "il
governo non ha fatto nulla per il lavoro a Napoli" aggiungendo che "Napoli
è città democratica aperta al dissenso", sorprende come addirittura il governatore di centro
destra Stefano Caldoro, uno che ha chiuso gli ospedali ed ha tagliato tutti gli
ammortizzatori sociali regionali, non abbia potuto fare a meno di commentare
con un "sono
contro la violenza, ma la protesta è giusta bisogna dare risposte". La Fornero da parte sua ha dichiarato che è venuta a Napoli "per
dare un segnale forte". Probabilmente il segnale forte l’ha
avuto lei.
Ma proprio questo contesto, fatto di consenso alle mobilitazioni anche radicali
che non si esplicita in partecipazione diretta, indica anche i limiti delle
realtà di movimento napoletane che non sono ancora in grado di essere punto di
riferimento per un processo di ricomposizione sociale contro le politiche di
austerità. Limiti che riguardano probabilmente tutti coloro che in questo
momento provano non semplicemente ad augurarsi uno scenario da guerra civile
sognando di essere in una fase pre-insurrezionale, ma a configurare una via d’uscita
dalla crisi che possa significare un’alternativa di sistema. Uno sforzo che ad
esempio lega la giornata del No Fornero Day con le mobilitazioni che ci saranno
a Pomigliano il 14 novembre con lo sciopero della Fiom e di altri sindacati di
base davanti alla Fiat. Un ponte di lotta tra i precari ed i disoccupati che
sono scesi in piazza contro la Fornero e quelli, espulsi anche dalla fabbrica, che
fanno i conti con la distruzione di quel mondo del lavoro fatto di garanzie
sindacali e diritti caduto sotto i colpi di Marchionne, Monti, la Bce e l’Unione
Europea a trazione tedesca.
Le mobilitazioni del 14 novembre riguarderanno quei paesi che maggiormente
stanno pagando la crisi in una macroregione ormai irrimediabilmente divisa tra
Nord e Sud Europa. Per questo è stato importante il segnale lanciato da Napoli
e dalle mobilitazioni del No Fornero Day, proprio perché la sola alternativa
possibile si può dare esclusivamente su un livello europeo unendo le lotte di
quei segmenti sociali che in Spagna, Portogallo, Grecia ed Italia vengono
quotidianamente morsi dalla crisi. Un Sud Europa che esprime diverse esperienze
interessanti, dall’esperimento greco di Syriza, alle mobilitazioni spagnole. Un
Sud Europa che ha bisogno di un piano di lotta comune e di nuove pratiche che
riescano a superare l’inefficienza di quelle classiche, dallo sciopero per come
lo intende la nostrana Cgil, alla rincorsa agli accordi al ribasso in un quadro
di compatibilità con quelle forze politiche che, come il Partito Democratico, restano
assolutamente compatibili con le politiche di rigore della troika. Una scelta
fallimentare che può avere il solo scopo di calmierare i conflitti e renderli
innocui. Un processo evidente e chiaro che dovrebbe capire bene anche chi, nel
teatrino della politica, incita i giovani a ribellarsi e poi si accoda agli
amici – traditi - di Marchionne ed a
chi, come Bersani, vorrebbe Elsa Fornero nuovamente ministro.
Considerazioni a margine del No Fornero Day di Napoli
La finestra del Sud Europa
di Antonio Musella
12 / 11 / 2012