Comunicato del CSO Pedro di Padova

La libertà di movimento non si condanna

Con Zeno, Gianluca, Alvise, Fabiano e tutt* i/le No Tav. Il dissenso non si misura in anni di condanna

28 / 1 / 2015

 Ancora un volta si abbatte il peso del teorema giudiziario: 140 anni di carcere e 47 condanne per gli imputati del processo No Tav rispetto ai fatti del 27 giugno e del 3 luglio 2011. Un’altra sentenza spropositata come una scure calata sulla vita delle persone  Le ipotesi, i teoremi, le letture che vanno avanti senza alcun tipo di confronto o di modificazione durante il dibattimento siamo abituati, in particolare quando si riferiscono ai movimenti che hanno messo in crisi interi sistemi di interessi mafiosi e di profitti, di devastazione ambientale e di eliminazione della sovranità territoriale. La sentenza di primo grado ha infatti registrato le condanne e l’impianto proposto dall’accusa, scartando qualsiasi tipo di messa in discussione delle istanze della difesa.

Abbiamo ripetuto più volte che quei giorni hanno dimostrato la loro forza non solo per la determinazione di una Valle di opporsi ad una grande opera inutile, ma anche per la capacità di parlare a tutti i movimenti sensibili alla tematica dei beni comuni, che ha caratterizzato gli studenti, i lavoratori e i comitati per l’acqua in mobilitazione per un anno intero. Il 3 luglio a Chiomonte non c’erano i cosiddetti “professionisti della rivolta”: è stata una giornata moltitudinaria dove si sono trovati per i boschi della Valle decine di migliaia di persone, unite nell’obiettivo di rompere con la logica della speculazione e della devastazione (quella vera!) ambientale.

Quello che il giudice Bosio ha sentenziato ieri pomeriggio di certo continua quel lungo filone di criminalizzazione del movimento No Tav; è però anche da inscrivere nella sempre più accurata tendenza repressiva della magistratura. Per quanto riguarda le lotte e i conflitti sociali assistiamo ad un uso strumentale della magistratura, a causa del quale le aule dei tribunali diventano la ratifica di interpretazioni ideologiche che nulla hanno a che fare con la certezza del diritto. Certezza in questi casi diventa pura efficacia, meccanismo automatico che applica a priori una regola ad un fatto evitando di interrogarsi sulle ragioni sociali che vi stanno dietro. Inoltre, la frequenza delle misure preventive e dei fogli di via inasprisce l’atteggiamento verso gli attivisti e i movimenti saltando addirittura il momento del dibattito e dell’espressione della difesa, dando già per scontato che gli imputati siano colpevoli fino a prova contraria, piuttosto che il contrario come vorrebbe il nostro ordinamento penale.

Lo vediamo troppo spesso in Italia e soprattutto nelle nostre città, in cui la marginalizzazione degli attivisti mira a stroncare di netto il dissenso praticato collettivamente cercando di identificare l’antagonista a capo delle rivolte, etichettato dalle varie denunce e provvedimenti fatti nei suoi confronti come un “problema sociale”. Qui vediamo quel filo rosso tra la sentenza di ieri e l’accanimento giudiziario che riguarda il piano locale. Non per niente ad aver subito la condanna del tribunale di Torino c’è anche un nostro compagno, Zeno, che ha partecipato alla grandissima manifestazione assieme a tanti altri il 3 luglio a Chiomonte. Subito viene operato il collegamento, dunque una giustificazione, tra il foglio di via emesso contro Zeno e il pesantissimo verdetto di ieri: la questura padovana, la cui voce è amplificata dai giornali, può trovare quindi legittimazione del divieto di presenza nel Comune della città facendo vedere che è un condannato, che effettivamente è un elemento dannoso per una comunità. Un’ulteriore operazione a favore delle restrizioni della libertà di movimento e del dissentire, che mai vengono interrogate in base alle rivendicazioni sollevate ma considerate come caotiche, un virus da estirpare dall’ordine quotidiano. Quello stesso ordine causa di ingiustizia sociale, povertà e limitazione della democrazia.

Di fronte a questo sopruso che si dichiara verità della legge oggettiva non possiamo che stringerci attorno a Zeno, Alvise, Gianluca e Fabiano e a tutti gli altri condannati No Tav. Come sempre non abbandoneremo mai la nostra volontà di esprimere le contraddizioni e le imposizioni di ciò che giudichiamo ingiusto. E la libertà di movimento, di farlo, è la forma che dobbiamo continuare a tutelare al di là di qualsiasi tribunale.

La libertà non si misura! 

CSO PEDRO