La mattonella - Appunti su come non fare la sinistra

Un contributo di Insurgencia

18 / 6 / 2017

La «mattonella», nel gergo del biliardo, è una delle quattro sponde imbottite del tavolo da gioco. Usare la mattonella, dunque, vuol dire «giocare di sponda»: cercare di raggiungere una buca che sarebbe troppo difficile centrare con un obiettivo lineare. Da questo significato della parola deriva l’espressione napoletana «fare ‘a mattunella»: cercare di raggiungere un obiettivo in modo non esplicito, ma tramite un sotterfugio. Anche in politica si può «fare la mattonella»: ad esempio se si fa una manifestazione per ottenere qualcosa che, in realtà, è stato già concesso si fa una mattonella, perché si può dire che è stata la manifestazione a guadagnare il risultato. La mattonella può essere una nobile arte: basti pensare che una delle più grandi rivoluzioni della storia – la rivoluzione francese – ha come simbolo nient’altro che una «mattonella»: anche se pochi lo ricordano, infatti, la famosa presa della Bastiglia del 14 luglio è la liberazione di una prigione già vuota e – conseguentemente – quasi per nulla presidiata.

L’uso politico più diffuso della mattonella resta, comunque, quello delle assemblee. Ci sono diverse ragioni per le quali non è opportuno che un soggetto politico strutturato (un partito, un sindacato, un network di movimento) convochi un’assemblea: perché del tema scelto si occupano troppe realtà con punti di vista troppo diversi, perché il soggetto politico in questione è – su quel tema – sputtanato, perché si vuole puntare sulla sensazione di novità della proposta. In tutti questi casi si fa la «mattonella», cioè si lascia che l’assemblea in questione venga convocata da soggetti apparentemente terzi e neutrali, il cui profilo è garanzia di buona fede, onestà, eventualmente intelligenza. Giornalisti, attori, musicisti, professori universitari: tutti gli appartenenti a queste categorie sono ottimi ingredienti per una mattonella perfettamente riuscita.

L’Alleanza popolare per la Democrazia e l’Uguaglianza è un classico esempio di mattonella. Due promotori, una donna e un uomo, che parlano all’Italia: lei, educata (educanda?) avvocatessa che dorme abbracciata alla Costituzione (con un passato da dirigente del Partito Socialista, poco male). Lui il nuovo volto dell’intellettuale di sinistra trendy all’italiana: storico dell’arte, quindi “sensibile” per definizione, esteta della costituzione, membro del grande think tank italiano del perbenismo (tutti i vari Zagrebelski, Settis, Rodotà: ci manca solo la Dandini) di cui eredita simbolicamente la direzione quando succede a Nadia Urbinati alla presidenza di Libertà e giustizia. Un appello semplice, user friendly, che non fa riferimento al passato e non richiede la conoscenza di alcuna storia pregressa: ricostruire una sinistra “con chi ci sta”, per sconfiggere il renzismo, il centrodestra, cambiare l’Euorpa, salvare il mondo e, con esso, il maggior numero possibile di panda.

Nonostante il buon confezionamento, esistono alcuni modi semplici per riconoscere un’assemblea-mattonella:
1. quest’assemblea, in teoria convocata da illustri sconosciuti, circola ad una rapidità maggiore rispetto a quanto dovrebbe circolare un’assemblea convocata da illustri sconosciuti (volete una prova: chiedete a vostra zia e al suo parrucchiere di convocare un’assemblea a Roma per ricostruire la sinistra e vedete quanta gente ci viene)
2. la circolazione di quest’assemblea avviene a partire da (e in gran parte grazie a) circuiti ben definiti, rispetto ai quali però gli estensori dell’appello sono curiosamente estranei: parliamo decine di attivisti di alcune strutture politiche precise che, come per incanto, vengono sedotti dall’appello di turno e iniziano a diffonderlo su mailing list, social network, reti di contatti telefonici.
3. nonostante l’evidente bizzarria rappresentata dal fatto che due persone vogliono ricostruire la sinistra, queste due persone – ispirate dalla mistica percezione che il loro appello non cadrà nel vuoto – decidono di fittare un teatro per ospitare tutti i partecipanti all’appello (riprovare l’esperimento con vostra zia, chiedendole di fittare un teatro a sue spese)

4. il giorno dell’assemblea esiste un misterioso ordine degli interventi, evidentemente suggerito dalle intelligenze angeliche che cospirano perché l’evento riesca: un ordine degli interventi in cui casualmente i leader delle organizzazioni politiche di cui al punto 2 si distribuiscono nei punti caldi dell’evento (i primi dieci – gli ultimi cinque interventi): non è raro che anche in questi casi, all’atto dell’intervento, gli speaker non si presentino come militanti di quell’Organizzazione Politica, prediligendo piuttosto di presentarsi come attivisti di base di una campagna o di una vertenza specifica: non c’è niente che fa mattonella quanto l’improvviso desiderio di parlare da un palco dei soggetti reali.
5. è probabile che esista un forum online in cui «arricchire la discussione» per tutti quelli che non sono riusciti ad intervenire a causa dell’«inaspettata affluenza» che, immancabilmente, dimostra che «la strada è quella giusta». Poco importa se i convenuti si conoscono tutti per nome e per cognome e passano la giornata ad ironizzare sul fatto di essere lì: non c’è niente che una foto in diagonale mossa, con effetti e saturazione, di un teatro pieno non possa aggiustare.
6. nonostante tutta questa voglia di partecipazione – e nonostante gli strumenti telematici messi a disposizione per la stessa – il momento della sintesi tende sempre a divenire impalpabile. Non si capisce, effettivamente, chi trarrà le fila dei 50-60 interventi presentati: insomma, dov’è che si decide sul serio. Un piccolo indizio: se uno degli interventi conclusivi inizia con “Provo a dire delle cose, ma dopo un’assemblea così ricca non posso avere l’ambizione di fare la sintesi […]” è probabile che quello sia l’intervento di sintesi.

Come si conclude, di solito, la mattonella? Con un generico riferimento a «tornare sui territori» per «riportare le energie» dell’assemblea nei circuiti di attivismo locale quotidiani per «allargare il percorso» dato che «non si può avere la pretese dell’autosufficienza», ma pronti a «rivedersi per rilanciare». Prosaicamente, di solito, la mattonella di sinistra all’italiana finisce in due modi:
1. Una coalizione di sinistra per le prossime politiche CHE NON SUPERA LA SOGLIA DI SBARRAMENTO.
2. Una lista di sinistra per le prossime politiche in coalizione con il PD che serve a far diventare parlamentare il prossimo Gennaro Migliore.

Per tutte queste ragioni, oggi non eravamo all’assemblea al Teatro Brancaccio. Rispettiamo, ovviamente, le compagne ed i compagni che hanno, eventualmente, scelto di andare ad ascoltare perché non riteniamo che la partecipazione ad un’assemblea sia un giuramento di fedeltà ad un progetto che, tra l’altro, ad ora stentiamo a riconoscere. Crediamo però che l’insopportabile episodio che ha coinvolto le compagne ed i compagni dell’Ex-Opg – messi alla porta senza poter intervenire, mentre dal palco cianciava di bisogno di cambiamento un ex parlamentare del PD che le leggi più drammatiche portate avanti da Renzi le ha votate tutte – ci dimostri che nell’asfissia di quel teatrino romano c’era davvero poco di interessante. L’alternativa vera, non elettoralista, se esiste, parte dai territori, dalle forme di civismo sano che li attraversano e si interroga solo dopo sulle forme di una confederazione tra comunità ribelli, non tra testimoni (e testimonial) della sinistra. Dopo tutto, lo dicevamo all’inizio, la mattonella è un’arte nobile verso la quale nutriamo un profondo rispetto: l’esempio della Bastiglia lo dimostra e, del resto, non esisterebbe politica senza astuzia tattica. Il problema è quando la goffaggine – o la ripetizione infantile dello stesso colpo – fanno «sgamare» (scoprire) la mattonella. Cacciare gli attivisti dell’Ex-Opg dal Teatro Brancaccio, invece di farli intervenire e, magari, applaudirli (per poter dimostrare all’esterno quanto plurale, orizzontale e democratico è il percorso) significa sgamare la mattonella. Bastava un minimo di malizia per neutralizzare ogni intervento critico nel vociare indistinto di decine e decine di interventi più o meno compiacenti (il gioco delle parti tra posizioni radicali e posizioni concilianti è l’essenza stessa di una buona mattonella). È giusto dire allora che queste «mattonelle» da quattro soldi preferiamo lasciarle in quella stanza della casa in cui è giusto chiudere la porta a chi pensa di poter entrare all’improvviso.