L' attacco della governance alla prova dei movimenti

Documento del Laboratorio Aq16 introduttivo al dibattito "L'attacco della governance alla prova dei movimenti" di sabato 30 novembre 2013, Bio-osteria Ghirba via Roma.

21 / 11 / 2013

L' attacco della governance alla prova dei movimenti

- Il pane quotidiano: Troika – Grossekoalition - Austerity - Morte della Rappresentanza

Agosto 2011, recapitata all’allora governo italiano Berlusconi la lettera firmata Draghi/Trichet (ovvero il presidente entrante e quello uscente della banca centrale europea di Francoforte) in cui si delineava la road-map che avrebbe accompagnato le politiche di austerity italiane, indipendentemente dal colore della coalizione che si fosse succeduta al governo. Fu chiaro da subito che quella lettera significava la sostanziale perdita di sovranità politica statale del paese Italia e lo stagliarsi di una nuova fase di gestione della crisi del debito in cui la cosiddetta Troika (BCE, FMI, UE) polarizzata sugli impulsi del governo tedesco Merkel imponeva ai paesi europei in difficoltà (i cosiddetti PIIGS) misure pesanti di tagli alla spesa pubblica, austerity e privatizzazioni senza precedenti. Da li a poco, sotto l’orchestrato attacco speculativo all’economia italiana, si dimette l’esecutivo Berlusconi e si inaugura l’epoca dei governi bipartisan, prima con il governo tecnico Monti e successivamente, dopo lo stallo post elettorale della primavera 2013 e l’elezione del Napolitano-bis al Quirinale, il governo delle larghe intese Pd-Pdl guidato da Enrico Letta. “Governo delle larghe intese” che nonostante la palese mancanza di democrazia e suffragio popolare si replica, in chiave sindacale, con l’allineamento Cgil Cisl Uil e componenti padronali. La retorica della crisi come fattore naturale diventa l’unica chiave di lettura mainstream, e sotto il refrain “siamo tutti sulla stessa barca” ripetuto al parossismo dai mass media filo larghe intese (Repubblica, Corriere…) si consuma lo scempio dei diritti dei lavoratori e del welfare state introducendo in brevissimo tempo il pareggio di bilancio in costituzione e la riforma del lavoro.

In questa situazione, spazzate via tutte le possibilità che vecchie strutture novecentesche di rappresentanze sociali e politiche potessero tornare utili, come strumenti per contrastare l’attacco ai diritti ed ai beni comuni di una classe dirigente venduta agli interessi delle grandi lobby bancarie, ci poniamo la domanda di come costruire nuove istituzioni rappresentative delle battaglie materiali che da nord a sud dello spazio politico italiano/europeo cominciano sempre più a prendere forza e incisività. Per citare le più famose degli ultimi anni le Acampadas spagnole, gli Indignati, i movimenti Occupy, le battaglie per la difesa dei territori, contro le grandi opere e per l’apertura delle frontiere europee ai corpi. Ma soprattutto vogliamo ragionare come dare a questo nuovo soggetto ancora poco configurabile ma molto reale e ben rappresentato dalle giornate italiane di mobilitazione a Roma del 18 e 19 ottobre una generalità e nel contempo una sintesi capace di confliggere con le logiche autoritarie che attraversano il continente europeo. Uno spazio politico europeo dove l’ambito decisionale strategico è agito da organi non democratici  che pertanto producono legislazione ed ordinamenti che sono palesemente contro gli interessi del corpo sociale produttivo a vantaggio della nuova classe dominante parassitaria che nella rendita e nella speculazione finanziaria trova la chiave dell’odierna accumulazione capitalistica.

- Los de abajo. Nuove ricomposizioni sociali e percorsi di lotta.

Oggi, a sei anni dall’inizio della cosiddetta crisi innescata dal crack della bolla immobiliare USA tutto è in drastico cambiamento, se ci voltiamo indietro non vediamo che come un ricordo lontano la conformazione politica di rappresentanza novecentesca, il ruolo dei sindacati, la sinistra comunista in parlamento, il rapporto conflittuale ma solido tra democrazia parlamentare e capitalismo, tra capitale e lavoro, la sovranità territoriale e legislativa degli stati europei. Le nostre città sono oggi attraversate e vissute da settori sociali sempre più precarizzati, non solo componenti giovanili, migranti ed operaie, ma  l’intera classe media che va impoverendosi stritolata dalla contrazione dell’economia reale, dalla pressione fiscale enorme e dallo sgretolarsi della società del debito. Muoversi, confliggere con i nuovi assetti di governance, creare nel contempo una società alternativa a quella presente è un allettante programma ma non è di facile ottenimento, in primis perché decenni di cultura “individualista proprietaria” anche se non più materialmente verosimile (non ci sono più i soldi e il credito) rimane inchiodata nelle teste di tanti e tante come “desiderio motore” civilizzatore. Praticare il comune (ovvero lottare per i beni comuni che ci vengono strappati) mediante il conflitto sociale e la condivisione delle ricchezze è oggi l’unica strada per creare società ed una alternativa all’impoverimento generale a cui saremmo destinati secondo i programmi dei signori dei piani alti di Francoforte. Il primo problema che sorge è l’assetto normativo determinato al di fuori dei nostri territori che oggi è palesemente contro il corpo sociale. Come opporsi allo scempio delle grandi opere, all’avvelenamento dell’ambiente in cui viviamo, allo sfruttamento pesante in ambito lavorativo, alla concentrazione del patrimonio immobiliare in pochissime mani, alla stratificazione del concetto di cittadinanza, alla violenza delle frontiere quando gli attori di queste ingiustizie sono gli stessi che scrivono le leggi che ci governano? In questo quadro è chiaro che la sanzione inflitta ad esempio per la difesa di un territorio dal progetto di un treno ad alta velocità, o la riappropriazione di un bene di prima necessità come un tetto attraverso l’occupazione di una casa saranno pesanti. La stessa democrazia quindi diventa per noi un concetto vitale e radicale, profondamente  “altro” rispetto all’illusoria democrazia delle larghe intese cara al presidente della repubblica, in virtù del fatto che oggi come non mai governi locali e parlamenti non contano più niente perché le decisioni strategiche, come i trattati di stabilità e il fiscal compact vengono prese altrove e semplicemente applicate dalle amministrazioni statali e locali senza la minima condivisione della popolazione che queste misure subisce. La fotografia attuale ci configura una situazione che per chi si muove tra occupazioni abitative, spazi sociali, manifestazioni, presidi permanenti ambientali, rottura di frontiere e comitati solidali alquanto preoccupante, nel senso che se da un lato si allarga sempre più la base interessata a percorsi di autodeterminazione di questo tipo, dall’altro si appesantisce la sordità istituzionale alle rivendicazioni di base e la persecuzione penale degli attivisti diviene spesso sproporzionata tra il reato commesso e la pena inflitta. Una tendenza che merita un ragionamento ed una presa d’atto, perlomeno per avere tutti quanti chiaro che cambiare il presente non è facile e nemmeno gratis, e che i gestori della governance e la classe che trae profitto da questa crisi non saranno disposti tanto facilmente a rinunciare ai propri privilegi.

Il movimento reggiano imputato, il biennio 2009/2010 ad esempio.

La tendenza ad inasprire le misure repressive nei confronti delle coalizioni sociali e territoriali che si oppongono al disegno dei nuovi assetti di comando europei/italiani è in atto. La strategia criminalizzatrice per i NoTav, processati non a caso nella sinistra aula bunker del carcere delle Vallette di Torino, i respingimenti omicidi alle frontiere e l’odiosa retorica istituzionale dopo la strage del 3 ottobre a Lampedusa e i suoi funerali farsa, gli sgomberi degli spazi sociali, le centinaia di provvedimenti penali per gli studenti ed attivisti dei movimenti contro le riforme dell’università, la facilità con cui le procure si avvalgono del codice penale italiano in particolare in materia di reati associativi per “sedare” le lotte sociali, le ritorsioni per i lavoratori della logistica in lotta, le delocalizzazioni delle aziende e i licenziamenti sono alcuni esempi dell’inasprimento del contesto. Anche nella pacifica Reggio Emilia, territorio non immune dagli effetti innescati dalla crisi, questa dinamica contenitiva delle lotte sociali comincia ad essere tangibile. Un primo assaggio lo si è potuto riscontrare nelle pesanti misure cautelari inflitte a due attivisti del collettivo R60, coinvolti in un procedimento giudiziario che li vede imputati come presunti autori di scritte sui muri della nostra città. Mesi e mesi di obbligo di dimora serale e notturna presso il proprio domicilio in attesa del processo. E poi le decine e decine di condanne e denunce arrivate nel settembre 2013 per l’attività politica del biennio 2009/2010, attività politiche oggi sanzionate ma che allora risultarono partecipate e vincenti. Nell’ordine sono stati denunciati 39 attivisti, procedimento commutato in pena amministrativa di 103 euro a testa, per aver violato il 18 aprile 2009 un ordinanza prefettizia avvallata dalla firma dell’allora sindaco Delrio che vietava l’agibilità del centro storico nei weekend alle manifestazioni di carattere politico. Vale la pena ricordare che da li a poco, grazie a questa ed altre mobilitazioni cittadine, l’ordinanza veniva sospesa e dopo sei mesi non più confermata. Come dire: battaglia vinta, battaglia sanzionata.

Più pesanti invece i 47 decreti penali di condanna commutati in sanzione amministrativa di 23000 euro (pena sospesa) per inottemperanza dell’ordine delle forze dell’ordine a scogliere la manifestazione e concorso morale e materiale in danneggiamento, oltre ad un singolo decreto penale di condanna per danneggiamento, anch’esso commutato in sanzione pecuniaria. Misure relative alla manifestazione antifascista del 24 ottobre 2009. Quel giorno, dopo aver scoperto il raid vandalico notturno rivendicato dall’organizzazione  neofascista CasaPound Reggio Emilia ai danni delle strutture del Laboratorio Aq16, si produsse una manifestazione spontanea di protesta agita da un centinaio di attivisti antifascisti reggiani che chiuse materialmente per tutto il pomeriggio la sede di CP situata allora in via Montefiorino. Battaglia che produsse nell’immediato futuro il coinvolgimento dell’Anpi provinciale promotrice di un odg antifascista, accolto in una ventina di consigli comunali compreso quello di Reggio Emilia ed il consiglio provinciale, che impegnava le amministrazioni locali a non concedere luoghi pubblici  per le attività di organizzazioni di chiara matrice razzista e xenofoba. Da segnalare che gli effetti delle campagne scaturite all’indomani della giornata del 24 ottobre provocò un deciso ridimensionamento dell’attività di CasaPound, organizzazione che ad oggi non risulta più percepibile. Come prima: battaglia vinta, battaglia sanzionata. Sempre di quegli anni risultano i procedimenti nei confronti di decine di studenti protagonisti delle mobilitazioni contro il carovita e le battaglie contro le riforme della scuola e dell’università. Come ribadito in più sedi, e reso pubblico dagli organi di stampa, intendiamo tutti insieme impugnare le condanne e fare ricorso per le denunce a nostro carico, vogliamo andare a processo per poter ribadire la nostra convinzione che agire politicamente quelle giornate in quei modi fu una scelta giusta che tuttora rivendichiamo. Se oggi è possibile per tutti i cittadini reggiani manifestare nelle piazze del centro storico nel weekend e vivere senza la preoccupazione di convivere in città con pericolose organizzazioni di matrice fascista lo si deve senz’altro anche alle giornate del 18 aprile e 24 ottobre 2009. Se è ancora vivo il dibattito su ruolo dell’educazione e la sua matrice centrale per il futuro di un territorio e del nostro paese lo si deve anche al dibattito ed alle vertenze imposte dagli studenti dell’ onda anomala anti-Gelmini.

Laboratorio sociale aq16