La tragedia greca. Le Antigoni contro Creonte

Syriza chiama al referendum il 5 luglio dopo il no delle istituzioni europee. Intanto la morsa della governance si stringe asfissiando le banche ed i mercati ellenici.

29 / 6 / 2015

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Di tragedie così lunghe durante l’Atene del V secolo non ce ne sono state. E sicuramente nemmeno così articolate, complesse, con una varietà di ruoli psicologici e pubblici che avvicinerebbero l’infinita sceneggiata tra la Grecia e le cosiddette istituzioni dei creditori più ad un’opera televisiva drammatica contemporanea che a Sofocle. 

Nel corso dell’ultimo mese, con l’avvicinarsi della scadenza di martedì 30 giugno, si sono verificate le performance di tutti i copioni possibili: Schäuble, Ministro delle Finanze tedesco, nel suo ruolo dell’antagonista austero e rigoroso ha sempre rifiutato di accettare i programmi e la contabilità presentati dal governo di Syriza; Dijsselbloem, in perfetto stile tedesco seppur olandese, si affibbia la parte della vittima, addossando a Varoufakis la colpa di aver fatto saltare il tavolo dei negoziati; Merkel, sempre accompagnata da un insignificante Hollande, riscopre una sorta di maternage della politica che le fa ascoltare le richieste greche affermando a più riprese la speranza di un accordo, senza tuttavia prendere mai una posizione pubblica nei negoziati, perché del resto non può far vedere troppo il peso della Germania in una decisione che deve essere comunitaria. Senza dimenticarci del conciliatorio Juncker, leader della Commissione che in teoria non dovrebbe avere legami con il mondo della politica, pertanto capace di essere più soft; oppure di Mario Draghi, il quale dall’alto della torre di Francoforte è stato l’amico/nemico, tra aumento della quantità dell’ELA per le banche elleniche ed esclusione della Grecia dal bazooka del Quantitative easing. Relegati al ruolo di comparse tutti i vari falchi lettoni e finlandesi, i Padoan ed i Renzi  che a tratti si appropriano della vittoria di Syriza per chiedere più flessibilità in Europa, salvo poi applicare pedissequamente i trend politico-economici neoliberali a casa loro. 

In questi giorni entra in scena uno dei protagonisti che ha più drammatizzato la situazione, nonostante l’apertura per una possibile ridiscussione del debito greco: Christine Lagarde, presidente del Fondo Monetario Internazionale. Dopo aver fatto abbandonare, con un colpo di scena, il tavolo dei negoziati da uno dei suoi funzionari, l’FMI esige la restituzione del suo prestito di 1,5 miliardi di euro in scadenza martedì. Con la cessazione di ogni tavolo di trattativa, il piano di aiuti europei non può essere esteso oltre la fine del mese, impedendo di fatto alle finanze greche di poter risarcire il debito. Questa è la conclusione del periodo di interlocuzioni, di meeting dell’Eurogruppo e del Brussels Group (che riunisce i governi europei ed i creditori), ciascuno dei quali commentato sia positivamente che negativamente. E nonostante nell’ultima settimana ci fosse stato un barlume di cedimento da parte dell’ex (solo nominalmente) troika, il documento completo e preciso di Syriza ha spaventato. La tutela delle pensioni e dei salari del pubblico, l’abbassamento dell’IVA e la tassazione delle imprese di grande capitale non corrispondono esattamente ai criteri ordoliberali su cui si è costituita l’Europa. 

Come fare a liberalizzare il lavoro, e permettere il profitto del capitale sullo sfruttamento della precarietà, se gli istituti del diritto e la remunerazione non vengono cambiati? E soprattutto: come mantenere le gerarchie inscritte nell’Unione Europea se il ricatto del debito non dovesse più funzionare? La disomogeneità dello spazio europeo non sarebbe più utile al comando della decisione e dell'accumulazione a trazione tedesca, il cui fine è l’aumento della competizione tra zone differenti ma inserite in una stessa area monetaria. 

Le scene di questa grande tragedia, voluta in prima istanza proprio dalle élites europee a dispetto delle loro lamentele mediatiche, si sono susseguite nella speranza di poter piegare il governo di Tsipras e mantenere un ordine sociale, politico, economico. Merkel stessa sa che non può giustificare la sua politica interna se in Europa permette che un’alternativa non è solo pensabile, ma si dà nella realtà. Allo stesso tempo la governance deve dare un segnale verso le spinte centrifughe che dai vari angoli del Vecchio Continente si stanno verificando, tanto a destra quanto a sinistra, in primis Podemos. 

Le ragioni dell’austerità si radicano in queste questioni e hanno portato al no secco dell’Eurogruppo di giovedì, scompaginando le iniziali intenzioni di mediazione. Qui c’è l’elemento tragico della vicenda: la frattura che si è prodotta fin dentro le istituzioni della governance. E’ ora di riconoscere, al posto del dramma contemporaneo, un’altra tradizione letteraria. Nella celeberrima opera di Sofocle, Antigone di fronte a Creonte è un pericolo e porta con sé il conflitto perché irrompe nell’agorà, nella scena pubblica riservata agli uomini, sfidando apertamente il potere regio. Syriza ha imposto nelle sale chiuse e ristrette di Bruxelles una rivendicazione che viene da fuori, che ha origine in anni di mobilitazione dei movimenti sociali, mandando in cortocircuito le ristrette discussioni tra sacerdoti dell’austerità. 

Le reazioni delle istituzioni sovranazionali non si sono fatte aspettare all’indomani dell’annuncio dell'iniziativa di referendum popolare della prossima domenica in Grecia. Draghi, riprendendo il suo ruolo sanzionatorio di febbraio, ha decretato che non ci sarà un aumento del fondo per la liquidità di emergenza (ELA), ossia ciò che avrebbe permesso alla Grecia di arrivare in tranquillità al voto di domenica superando la scadenza di martedì. La Banca Centrale Europea, grazie al suo potere di monitoraggio delle quattro banche più importanti nella penisola ellenica, ha praticamente deciso che il circuito finanziario nazionale non potrà essere solvente, dunque non ha diritto all’immissione di liquidità. Il governo di Syriza ha dovuto chiudere le banche ed i mercati per una settimana nel tentativo di applicare un controllo dei capitali ed impedire la corsa al ritiro di denaro dai depositi. La morsa della governance si fa sentire utilizzando tutti i suoi strumenti, facendo gioco-forza proprio su quei meccanismi post-democratici che intervengono sulla vita politica di uno Stato al di là del suo governo. 

Dall’altra parte la scelta di Tsipras del referendum risponde ad una precisa strategia. Syriza vuole far rientrare sul palco un personaggio non considerato che non gioca sul piano delle trattative e dei negoziati, ne è al di fuori perché indipendente, eppure ha un ruolo non marginale. E’ la società civile, non intesa in modo neutro, ma con una precisa volontà che si è espressa nei movimenti e nelle urne di gennaio. Una popolazione che è chiamata a dichiararsi sull’accettazione o meno della nuova proposta di memorandum dell’Eurogruppo; non sulla possibilità di uscire fuori dall’eurozona. E’ piuttosto il contrario: è un modo per interrogare sfacciatamente l’Europa sui suoi cardini di libertà ed eguaglianza, di democrazia reale, perché “l’Europa è la casa comune dei suoi popoli” dove “non ci sono né padroni né ospiti”, come ricorda Tsipras nel suo discorso alla nazione. E’ un richiamo al progetto di un’Europa altra rispetto a quella che conosciamo. 

La tragedia di Sofocle termina con la morte di Antigone, schiacciata proprio da quella mascolinità del potere di cui aveva voluto usare gli strumenti per decostruirlo. Ma Antigone era sola, lasciata ad un gesto che non aveva seguito nella polis. Nel caso greco di oggi non si può dire lo stesso. Il voto popolare e l’attivazione dei movimenti in Grecia come in Europa per renderla finalmente libera parlano di una moltitudine che ha preso posizione, che ha tutto il potenziale per non rimanere sopraffatta dai luoghi e dai mezzi delle istituzioni sovranazionali perché ne è indipendente e fa paura. Il rapporto di forza non può rimanere tra uno Stato e la governance, deve essere tra un’idea diversa di cittadinanza europea e quella attuale fondata sul debito e sul rigore. Dall’entrata in scena del protagonismo dei movimenti, a questo punto, vedremo la possibile riuscita di una vittoria per un’esistenza degna in Grecia e in tutto il Continente. 

Come si sarebbe conclusa la tragedia di Sofocle se ci fossero state molte Antigoni a trasformare l’agorà da luogo del potere di Creonte a spazio costituente per una nuova vita?