Ladri a casa nostra: saccheggio e devastazione della Pedemontana

31 / 3 / 2017

La vicenda della Superstrada Pedemontana Veneta (SPV) si è arricchita di un altro episodio vergognoso. Il 28 Marzo in Consiglio Regionale a Venezia era in discussione il bilancio regionale ed una trentina di attivisti dei comitati contro la SPV, provenienti da Vicenza e Treviso, hanno preso parte al Consiglio Regionale del Veneto. Appena hanno esposto uno striscione di contrarietà all’opera sono stati strattonati e spinti fuori in malo modo da Palazzo Ferro Fini,.

Uno dei temi di discussione era infatti l’approvazione di un’addizionale IRPEF.

Questo intervento viene mascherato come una semplice modifica del documento di previsione economica e finanziaria, ma in realtà è un autentico aiuto pubblico e una modifica illegittima del contratto per salvare il concessionario della Pedemontana Veneta.

Se questa misura fosse approvata, porterebbe il finanziamento pubblico della SPV ad almeno 915 milioni di euro e sarebbe la terza modifica illegale del contratto d’appalto, che ha visto aumentare il finanziamento pubblico in maniera esorbitante.

Prima di analizzare le cifre, bisogna capire che ci sono due tipologie principali di contributi alle imprese:

- i contributi in conto capitale, che sono finalizzati all’incremento dei mezzi patrimoniali dell’impresa, senza essere necessariamente correlati all’obbligo di effettuazione di specifici investimenti;

- i contributi in conto servizio, che mirano ad integrare i ricavi dell’impresa o a ridurre eventuali costi d’esercizio che le imprese si trovano a sostenere; nel caso specifico si tratta di una cifra annuale che la Regione si impegna a versare al Concessionario, ovvero la SIS.

Nel 2010, la prima convenzione dopo l’assegnazione dei lavori stipulava un finanziamento di circa 175 milioni in conto capitale e 532 milioni in conto esercizio (14,53 milioni/anno per 30 anni + iva); dopo un cospicuo aumento degli aiuti in conto capitale nel 2013 (portati a 615 milioni), in questi giorni arriviamo all’esorbitante cifra di 915 milioni in conto capitale e 7,32 miliardi in conto esercizio (153,95 milioni/anno +iva per 39 anni).

Nel frattempo gli impegni di gratuità e riduzioni del pedaggio per i residenti nelle zone interessate scompaiono totalmente dal contratto, come anche le opere complementari inizialmente previste dalla gara d’appalto.

Tutto questo nella più completa illegalità ed infrazione del codice dei contratti.

Questo nonostante la relazione del 9 novembre 2016 della Corte dei Conti (N°13/2016/G) che ha bocciato su tutta la linea il project financing della SPV, attestando l’incapacità della regione a gestire il progetto.

Il progetto contiene gravi carenze e illegittimità tra le quali:

- manca per diversi tratti la Valutazione Impatto Ambientale (VIA) in un tratto anche per 10 km;

- il competente Ministero dell’Ambiente sta ancora aspettando il progetto Esecutivo e Definitivo per la valutazione dell’ottemperanza alle prescrizioni del CIPE (Comitato Interministeriale di Programmazione Economica);

- l’ex Commissario ha derogato abbondantemente alle prescrizioni del CIPE, anche all’interno dei tratti senza VIA e senza alcuna giustificazione;

- allo stato dei lavori (poco più del 20%) i cantieri hanno ha già causato problemi alle falde acquifere ed in merito si preannuncia un grave dissesto per tutto il sistema di ricarica, che alimenta gli acquiferi delle provincie di Treviso, Vicenza, Padova;

- è già un disastro ambientale, che non si sanerà certo con l’ultimazione dell’opera.

Perché sostenere un progetto che la Cassa Depositi e Prestiti (CDP) e La Banca Europea sugli Investimenti (BEI) hanno dichiarato senza un ritorno economico e sociale e nessuna banca al mondo vuol finanziare perché considerata un’opera fallimentare?

Il perché è presto detto:  grazie agli aiuti in conto servizio, la SIS (Consorzio Stabile Scpa - Itinere Infraestructuras S.A), concessionaria dell’appalto conseguirà un utile netto pari al 47,3%  annuo sul fatturato, senza alcun rischio. Si dà il caso che l’utile nel settore delle costruzioni si attesti mediamente intorno al 10% sull’investimento, mentre nel caso in esame le modifiche al contratto garantiscono, senza alcun rischio sotteso, una percentuale di utile sull’investimento attuato dal Concessionario del 90%.

A fronte di questo, gli aiuti in conto capitale stanno facendo sì che la SIS non debba neppure sborsare la parte di investimenti prevista dal project financing, dato che la Regione sta coprendo la gran parte dell’investimento.

In sostanza si sta portando avanti un’opera inutile, con dei costi enormemente superiori alle previsioni, causando danni ambientali irreparabili, solo per permettere un saccheggio di risorse economiche ed ambientali ad una rete di personaggi corrotti.

Siamo un’altra volta di fronte al capitalismo predatorio ed estrattivo, che spoglia l’ambiente e le persone delle proprie risorse.

Non è una situazione nuova: lo vediamo negli sversamenti di residui tossici della Miteni, che hanno causato svariate morti e intossicato 400 mila persone con i Pfas, composti chimici nati dalla fusione di solfuro di carbonio e acido floridico, inquinando varie falde acquifere.

Lo abbiamo visto nella ragnatela di corruzione creata dal sistema Mose, dove il consorzio Venezia Nuova e molti altri attori hanno messo in piedi una modalità originale di sottrazione di risorse e devastazione del territorio, che è stata riproposta per la bretella di Mestre ed in altre occasioni.

Questa forma di capitalismo ha già portato la Pianura Padana ad essere una delle zone più inquinate del pianeta, con una delle maggiori concentrazioni di morti legate all’inquinamento dell’aria[1].

Quella che continua ad emergere in questo modello, che Unione Europea, governi nazionali e diversi enti locali continuano a portare avanti, è una forma di sviluppo non più riformabile, emendabile tramite controlli più severi o un’applicazione più rigida delle norme esistenti.

È necessario iniziare a immaginare e costruire momenti di rottura, conflittuale e costituente di un nuovo ciclo di lotte e di movimento che approcci la tematica ambientale nel suo compesso paradigma. Dobbiamo, come scrivevamo in un documento poco più di un anno fa, “dichiarare la crisi dal basso”[2].

Questo comporta intraprendere nuovi percorsi che affrontino la devastazione ambientale come conflitto sociale, iscritto all’interno dei rapporti di sfruttamento e dominio; e a partire da questa base definire risposte collettive che si oppongano a quei rapporti, andando a proporre alternative che difendano e rendano indipendenti persone e territori.

Il percorso di lotta contro la Pedemontana non si basa solo su una contrapposizione ad un mero progetto predatorio, ma mira a creare una comunità che si relazioni e che attui forme di autonomia: dai mercatini di Genuino Clandestino alle assemblee del Comitato.

Non staremo con le mani in mano a guardare la predazione e la devastazione del nostro territorio, lotteremo giorno dopo giorno per riprenderci il nostro futuro!



[1]     WHO, Ambient Air Pollution: a global assessment of exposure and burden of disease

[2]     Apocalisse o rivoluzione: cambiamo tutto per non cambiare il clima